Un Caronte vestito di rosso, cappello a larghe tese a coprire il volto; una pertica in mano, a spingere una barca immaginaria che lentamente si sposta tra la nebbia, e una invocazione ripetuta: “Padre… aspetta, aspetta, aspetta, ti vedo in lontananza, lasciami cantare il canto del desiderio”.
E poi monete, monete per poter pagare il transito, appoggiate agli occhi, alle mani, ai piedi, sulla bocca, accompagnate da parole che segnano le due vite che si rincorrono, quella del padre il cui tempo è finito, quella del figlio che sta prendendo corpo tra desideri, aspettative, tentennamenti, vagheggiamenti.
Tra le parole il corpo vibrante messo in scena da Jan Fabre è quello, teso, di Cédric Charron, che dà segno alla voce, trasfigura i pensieri in una partitura di movimenti trascinanti che non danno tregua.
Su tutto, il fumo, denso, pregnante, unica scenografia che si apre a svelare o si chiude a coprire, che ci fa rimanere nel senso di quest’Ade da attraversare nel faticoso cammino per affrancarsi da tutti i padri che ci accompagnano.
Ma l’obolo è pagato, il nome viene detto, l’identità si trova e si riconosce. Il fumo sparisce, come per incanto: nella scena pulita, tersa, solo lui di rosso vestito.
Scroscia l’applauso, lunghissimo, sul quale Cédric Charron si apre lentamente a un sorriso.
C’è molto di intimo e personale in questo “Attends, attends, attends… (pour mon père)”, nuovo spettacolo di Jan Fabre presentato in prima nazionale a Civitanova Danza. Che chiama in causa non solo il rapporto tra padre e figlio ma il rapporto stesso tra il danzatore e il suo coreografo, la loro storia di collaborazione ormai più che decennale, la possibilità di tracciare nuovi territori dove rinnovare il proprio incontro.
Il titolo stesso è una celebrazione di ciò: “Attends, attends, attends…”. “Aspetta, ho un’idea” è una frase ricorrente durante la preparazione degli spettacoli, nel momento in cui i danzatori sono chiamati a produrre materiali che possano dar forma e sostanza alle visioni del coreografo.
Piccoli aneddoti che vegono svelati al pubblico grazie a un incontro organizzato, come sempre con lungimiranza, dall’Amat presso la biblioteca Zavatti, e condotto dalla professoressa Cuppini dell’Università di Urbino, a cui interviene lo stesso Charron.
Si parla così delle similitudini tra l’arte figurativa fiamminga e l’opera di Jan Fabre, artista eclettico che rivendica la sua appartenenza proprio a quei territori, ma anche del lavoro della compagnia Troubleyn, del metodo di creazione degli spettacoli, di cosa significhi un percorso di collaborazione così lungo e dei concetti di estetica e ovviamente di bellezza, visto che Cédric è stato definito, proprio da Jan Fabre, “guerriero della bellezza”.
E se la bellezza è, secondo la definizione che lo stesso danzatore ci offre, quel momento assoluto e spesso fallito in cui si “è”, lo ringraziamo d’essere stato con noi a cercare quel momento sia nell’informalità dell’incontro che sul palcoscenico.
Attends, attends, attends… (pour mon père)
testi, direzione, coreografia: Jan Fabre
performance: Cédric Charron
musica: Tom Tiest
drammaturgia: Miet Martens
luci: Jan Fabre, Geert Van der Auwera
costumi: Jan Fabre, Andrea Kränzlin
direttore di produzione: Ilka De Wilde, Mark Geurden
traduzioni: Michèle Deghilage
produzione: Troubleyn /Jan Fabre
co-produzione: Festival Montpellier Danse
durata: 1h
applausi del pubblico: 5’
Visto a Civitanova Marche, Teatro Annibal Caro, il 19 luglio 2014
Prima nazionale