Non è un caso che a Milano, in contemporanea, vengano presentati a gennaio due capolavori del teatro americano novecentesco: il primo è “Lo Zoo di Vetro” di Tennessee Williams, di cui vi parleremo oggi, messo in scena da Arturo Cirillo, mentre all’Elfo Elio De Capitani propone “Morte di un commesso viaggiatore” di Miller.
Non è un caso si diceva, forse una necessità, poichè ambedue i testi, ormai considerati classici, si collocano, pur non nominandola, sullo sfondo di una crisi epocale, quella americana del ’29, che in qualche modo ricorda significativamente quella che stiamo vivendo oggi, parlandoci di famiglie in difficoltà ma anche e soprattutto di un futuro che, soprattutto per giovani, appare più che mai incerto.
Il dramma di Williams, scritto nel 1944, è incentrato sulle vicende della famiglia Wingfield, che si palesano in scena uscendo dalla memoria del suo più giovane componente, Tom, che le racconta direttamente al pubblico.
I ricordi restituiscono le figure, ormai lontane ma sempre presenti, di Amanda, madre possessiva, ancorata al ricordo di una giovinezza da tempo sfiorita e ad un marito che se ne è andato per altri lidi troppo presto, e della sorella zoppa Laura, creatura gentile e fragile, proprio come le figurine dello zoo di vetro che conserva gelosamente tra le sue cose più preziose. Senza aspirazioni e progetti futuri, la ragazza è spinta dalla madre a cercare una relazione che la faccia uscire dalla costante apatia che la possiede.
Ma ecco che poi i ricordi si concentrano su una sera particolare, quando l’improvviso agognato invito a cena di un collega di Tom, Jim, viene accettato e sembra accendere le speranze di un futuro migliore per le due donne.
Sarà solo un piccolo lampo, presto oscurato dalla dura realtà della solitudine, e Tom deciderà finalmente di smettere di nutrirsi di cinema e di andarsene come il padre, lasciando il modesto lavoro che lo occupa e le due donne per cercarsi un futuro migliore, anche se pieno di incertezze.
E’ la melanconia nostalgica, corroborata dalle canzoni di Luigi Tenco, il sentimento che pervade tutta la scena, dove “Il futuro diventa presente, il presente passato, e il passato un eterno rimpianto”; e dove la solitudine la fa da padrona, mentre il ricordo della giovinezza, come tempo perduto, nutre lo sguardo emotivo dello spettatore.
Tutti i personaggi, alla stregua di un album fotografico, vivono come fantasmi che solo il teatro rende reali. Arturo Cirillo coraggiosamente raddoppia il suo ruolo di regista proiettandosi sul palcoscenico nella parte di Tom, e dettando da lì le leggi della scena, che non concede nessun intervallo, facendo in modo che l’illusione possa invadere pienamente una scena spoglia, senza quinte.
Solo Jim entra da fuori palco, dalla vita vissuta, ponendo crudamente e crudelmente i personaggi davanti allo svelamento de “l’inganno dell’immaginario”.
Milvia Marigliano, Monica Piseddu ed Edoardo Ribatto assecondano pienamente le intenzioni del regista, riuscendo a conferire a tutto il realismo dell’impianto scenico la giusta dimensione onirica che il dramma di Williams possiede.
In scena fino al 26 gennaio.
LO ZOO DI VETRO
di Tennessee Williams
traduzione: Gerardo Guerrieri
con: Milvia Marigliano, Monica Piseddu, Arturo Cirillo, Edoardo Ribatto
regia: Arturo Cirillo
scene: Dario Gessati
costumi: Gianluca Falaschi
luci: Mario Loprevite
assistente regia: Giorgio Castagna
assistenti scenografo: Elena Beccaro e Denise Carnini
produzione: TieffeTeatro
durata: 1h 40′
applausi del pubblico: 3′
Visto a Milano, Teatro Menotti, il 14 gennaio 2014
Prima nazionale