Alfred Jarry ne sarebbe soddisfatto: è una versione dell’“Ubu Roi” più che originale, quella presentata come quattordicesimo appuntamento della stagione del Teatro Stabile di Torinoe firmataDeclan Donnellan(regia) eNick Homerod(scenografia), fondatori nel 1981 della compagnia britannicaCheek by Jowl.
L’“Ubu Roi” di Donnellan-Homerod celebra l’attualità di un mito del teatro moderno che, nel 1896 così come nel 2014, si pone per dissacrante contrasto con il contingente: la ri-attualizzazione del testo di Jarry è quindi possibile e qui anche ottimamente riuscita.
“Apparteniamo a una specie che preferisce evocare l’innocenza dell’infanzia piuttosto che ricordare la sua potenziale crudeltà (…) Ecco ciò che mette in scena questo spettacolo: un infantilismo minaccioso, il potenziale di violenza che esiste nel profondo di ciascuno di noi” scrive Donnellan.
E infatti l’Ubu Roi cui assistiamo per opera della Cheek by Jowl è una minuziosa rappresentazione delle nevrosi contemporanee, la loro esplosione senza esclusione di colpi all’interno di un salotto di una casa altamente benestante, minimalista, istericamente igienizzata.
Le avventure sbracate di Père Ubu e Mère Ubu contro il re di Polonia, il figlio Brugelao e lo zar di Russia s’inseriscono come verità marcescente che si nasconde dietro i composti convenevoli di gentilezze in formaldeide di una cena borghese, spesa tra inutili conversazioni (sussurrate dagli attori e rese un borbottio scenico effimero, indistinguibile e morente) e cibi d’élite a base di noia alimentare.
Madre, padre e figlio, vestiti elegantemente, e gli altri tre invitati si trasformano, in cambi scenici surreali e schizofrenici, in Padre e Madre Ubu, nel capitano Bordure, in re Vencesalo, nella regina Rosmunda. Il salotto si trasforma in campo di battaglia, cripta dei regnanti di Polonia, e viene lentamente distrutto nella lotta per il potere condotta da parossistici personaggi, qui resi ancor più evidentemente allusione di meccanismi psichici e di morbose ossessioni.
Come nel “teatrino dei bambini” e nei giochi d’infanzia, gli oggetti vengono stravolti del loro uso domestico: così il divano si fa trincea, la pellicola d’alluminio diventa prezioso argento regale, gli spazzoloni del water si trasformano in scettri e infine un frullatore nella famosa “pompe à merdre” con cui svuotare il cervello degli avversari.
La dimensione è quella del gioco, ma il surreale della violenza gratuita predomina, e le dinamiche che trapelano fra il pantagruelico sventramento degli spazi e i “Merdre!” urlati nel vuoto logico ricordano il lento e traumatico climax di “Festen”, film del regista danese Vintenberg, che mette in scena l’implosione degli isterismi di una famiglia di magnati dell’acciaio che lentamente svela le interne relazioni di ricatto.
Ed il riferimento non è casuale: l’Ubu Roi di Donnellan e Hamerod è profondamente cinematografico, per citazioni e tecniche, tra le quali anche l’uso di una videocamera, usata dal Figlio-Brugelao per proiettare sullo sfondo i primi piani sconvolti e distorti dei personaggi in scena, come se fosse un Peeping-Tom un po’ sadico. Ci sono i film splatter, l’atmosfera di Funny Games di Haneke, quella de “L’Angelo Sterminatore” di Buñuel e degli effetti delle sostanze psicotrope (la prepotente luce verde di uno dei leit-motif dell’Ubu, la candela, colora moltissime scene).
Numerosissimi sono i dettagli da nominare per omaggiare l’originalità divertita di questa rappresentazione dell’Ubu Roi (Alfred Jarry precursore del punk?), che sarebbe degna di nota anche solo per la bravura complessiva della compagnia, ma l’attualità delle scelte registiche non si limita ai tecnicismi: Donnellan distrugge e sgretola di fronte al pubblico la finzione del benessere materiale, l’illusorietà delle certezze economiche, della calma domestica, dell’élitaria abbondanza, dei costumi coatti, della civilizzazione priva di etica ma piena di bon-ton.
Cosa ci può essere di più attuale di un Père Ubu in camicia elegante che uccide finanzieri, contadini, giudici, lotta contro il dispotismo per diventare egli stesso un despota volgare? Cosa c’è di più attuale di un’allegoria così esacerbata sul crollo delle menzogne del progressismo, della tanto difesa istituzione familiare, della morale e dei meccanismi democratici in questo “Teatro delle Phynanze” che è la nostra cronaca quotidiana?
Cheek by Jowl firma un’interpretazione ed un allestimento accattivanti e per niente scontati che rendono l’Ubu Roi ancora provocatorio ed assolutamente divertente.
UBU ROI
Con: Xavier Boiffier, Camille Cayol, Vincent de Boüard, Christophe Grégoire, Cécile Leterme, Sylvain Levitte
Regia: Declan Donnellan
Scenografia: Nick Ormerod
Collaborazione artistica: Michelangelo Marchese
Coreografia e movimento: Jane Gibson
Luci: Pascal Noël
Compositore: Davy Sladek
Musiche supplementari: Paddy Cunneen
Video: Benoit Simon, Quentin Vigier
Costumi: Angie Burns
Produzione: Cheek by Jowl
Coproduzione con: Les Gémeaux/Sceaux/Scène Nationale, The Barbican e La Comédie de Béthune – Centre Dramatique National du Nord-Pas-de-Calais
durata: 1h 30
applausi del pubblico: 3’35”
Visto a Moncalieri (TO), Fonderie Teatrali Limone, il 5 dicembre 2014