Luca Ronconi, Leone d’Oro per un teatro senza etichette

Luca Ronconi riceve il Leone d'Oro alla Carriera
Luca Ronconi riceve il Leone d'Oro alla Carriera
Luca Ronconi riceve il Leone d’Oro alla Carriera
Un regista di poche parole e allergico alle definizioni, è quello che forse si potrebbe dire di Luca Ronconi, che ieri sera, lunedì 6 agosto, nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian a Venezia, ha ricevuto il Leone d’oro alla Carriera.
Un solo “grazie”, semplice e nemmeno tanto emozionato. É quello che il regista si è sentito di dire quando, alla presenza di Paolo Baratta, presidente della Biennale di Venezia, e di Àlex Rigola, Direttore del settore Teatro, ha messo sottobraccio il rinomato leone alato.
Ma se le parole non contano, i fatti, qui, ci sono tutti. Cinquant’anni di carriera registica, più di cento regie di prosa e di altrettanti spettacoli di lirica, una grande quantità di testi dimenticati o sconosciuti riportati alla luce, e un film, una anomalia nella sua attività «da non ripetere», come ricorda nella chiacchierata con il giornalista Gianfranco Capitta nel dopo premiazione. Ma anche tanti anni di insegnamento, di dedizione a trasmettere esperienza ai nuovi arrivati e a quelli già in cammino.

Un uomo che non ama le etichette: «Mi chiamano Maestro, ma io non faccio lezioni, faccio delle proposte e ognuno le prende come vuole»; più interessato allo scambio, al fare formazione assieme a «colleghi», anziché costruire un modello che dovrebbe assicurare un buon esito, preparare dei giovani attori al teatro. «A quale teatro poi? – si domanda Ronconi – Non c’è un teatro a senso unico… e l’etichetta giovani è equivoca… Mi rapporto con le persone, lavoro con individualità e non con un manipolo di giovani». 
Nessuna idea preconcetta, quindi, sul come fare teatro, nessuna didattica, nessun limite, ma teatro come luogo delle domande, fatto di corpo, voce, spazio e tempo.
Non chiamiamolo insegnante e non chiamiamola scuola allora, ma grande guida e grande vocazione pedagogica che dura da una vita. Dagli anni ’70 a oggi; passata attraverso la direzione della scuola del Piccolo Teatro di Milano, la creazione del Centro Teatrale di Santa Cristina a Gubbio, le “Lezioni” al Festival dei due Mondi a Spoleto, e di ritorno oggi a Venezia.
Quello di Ronconi nella bella e calda città lagunare è infatti un importante ritorno. Era il 1977, cinque anni dopo l’Orlando Furioso, lo spettacolo che ne decretò il successo a livello internazionale (ma anche cinque anni in cui il regista racconta di non aver battuto chiodo), quando Ronconi viene nominato Direttore della sezione Teatro e Musica alla Biennale di Venezia. Una nomina importante per la grande trasformazione che apportò al festival, e che sollevò non poche polemiche per la ritenuta mancanza di qualifica di Ronconi nel settore musicale.
Sta di fatto che, in quei tre anni di direzione, il festival subì una grande svolta, trasformandosi da semplice rassegna a vero e proprio laboratorio del fare teatro. Si deve a Ronconi, infatti, l’apertura della Biennale alla sperimentazione di nuovi spazi, testi, di innovative idee registiche, e a lui si deve anche l’arrivo in città di grandi registi: da Eugenio Barba a Grotowsky, che proprio durante l’edizione ronconiana presentò l’ultima replica di “Apocalypsis cum figuris”.
Dopo questo meritato premio, Ronconi rimane a Venezia, alla Biennale, per fare ancora teatro. Si svolge in questi giorni il laboratorio “Questa sera si recita a soggetto” condotto dal regista; una analisi su Pirandello, un laboratorio sui generis della durata di una decina di giorni, rivolto sia a registi che ad attori, che verrà  presentata al pubblico sabato 11 agosto alle ore 20, all’interno dell’ Ex Cotonificio di S. Marta.
La Biennale di Venezia conferma e sostiene così, quest’anno più che mai, la matrice di laboratorio internazionale data allora da Ronconi. Un vero e proprio college, come la definisce il presidente Baratta, che se da una parte piace e ci va benissimo per l’alta formazione proposta, dall’altra – dove l’offerta di spettacolo vero e proprio si riduce notevolmente – un po’ dispiace, perché qui da noi, se non li porta la Biennale i “grandi” spettacoli internazionali, chi ce li farà vedere?
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