Ci sono piccoli grandi festival, orgogliosamente provinciali per collocazione e non per intenti, in qualche modo snobbati dalla critica ma assolutamente speciali per le modalità in cui si svolgono e, soprattutto, importanti per il pubblico di tutte le età, che li invade con curiosità.
Sono festival che vivono ogni anno nella precarietà di risorse, ma che caparbiamente, da molti anni, pur con estrema fatica ma con grande fantasia di idee, propongono la loro varia e interessante programmazione, diventando un appuntamento fisso per le centinaia di persone che lo frequentano.
Stiamo parlando de L’ultima luna d’estate, il festival del teatro popolare di ricerca organizzato dal Teatro Invito, che da 17 anni attraversa i paesi che circondano in Lombardia il bellissimo Parco Del Curone, situato tra Como e Lecco.
Anche quest’anno, dal 23 agosto al 7 settembre, ville, chiese, cortili e piazze di Bulciago, Calco, Carnate, Casatenovo, Lesmo, Lomagna, Missaglia, Montevecchia, Olgiate Molgora, Osnago, Sirone, Sirtori, Usmate Velate, Viganò sono state popolati non solo da spettacoli teatrali per adulti e ragazzi ma anche da musica, recital, aperitivi teatrali, degustazioni enogastronomiche, mercatini della terra e laboratori.
Dopo l’amore, argomento che ha percorso le proposte dell’anno scorso, il tema scelto quest’anno è stato l’eroismo. Come ha ben sintetizzato Luca Radaelli, direttore artistico del festival, nella sua presentazione, “in un mondo in cui le vite sembrano appiattite e banalizzate, torna il bisogno di qualcuno che si ponga come punto di riferimento, la cui vita sia esemplare, fuori dall’ordinario, nel bene e nel male. Come diceva Andy Warhol, oggi tutti hanno diritto a un quarto d’ora di celebrità, e tutti sono disposti a fare carte false per ottenerla, questa celebrità effimera, per entrare a far parte del reality o del talent, insomma dello show. Allora noi ci siamo chiesti che cosa significhi oggi la parola “eroe”, quali potessero essere le biografie da mostrare, quali le imprese eccezionali che il teatro può raccontare, chi siano stati i vincenti o gli sconfitti memorabili. Perché il teatro che non si lascia travolgere dallo show business rimane per noi ancora uno spazio di riflessione, di poesia, di senso e quindi di vita”.
Ed è su questo tema, sul fatto che sia “Beato il paese che non ha bisogno di eroi”, che hanno discusso a inizio festival Daniele Biacchessi, Piero Colaprico e Vittorio Colombo.
Attraverso il teatro sono ritornati dalla memoria diversi eroi che hanno costruito la forza emotiva, distintiva del nostro Paese, da Placido Rizzotto, sindacalista siciliano che dà vita alla prima forma di antimafia sociale del dopoguerra, celebrato in “Ossa” da Alessio di Modica a Peppino Impastato, interpretato da Stefano Annoni, da Giordano Bruno, martire per un ideale, arso vivo dalla Santa Inquisizione di Assemblea Teatro, fino a Fausto Coppi e Gino Bartali, ricordati da Ortoteatro.
Poi ti capita anche di vedere Eugenio Allegri che dà luce alla figura di Berlinguer, diretto da Giorgio Gallione, e di partecipare ad un recital dedicato alla canzone milanese degli anni ’60/’70, o d’essere spettatore attivo di imprese alpinistiche come quelle di Bonatti attraverso il toccante racconto di Luca Radaelli, o della conquista del Cervino narrata da Roberto Anglisani sullo sfondo dei colli lecchesi (coperti purtroppo da una brutta sagoma in gesso della vetta alpina protagonista dello spettacolo).
Ma ci sono anche gli eroi sconosciuti della grande guerra, di cui quest’anno ricorre il centenario, con Giuseppe Cederna, omaggiati attraverso memorie, poesie, racconti, lettere dal fronte.
Il teatro, per più di quindici giorni, si espande così per tutto il territorio raccontando storie di uomini e donne.
Perché il festival ha celebrato anche l’insostituibile presenza delle donne: ecco allora “Nostra Italia del miracolo” su drammaturgia e regia di Giulio Costa che, partendo dalle parole di Camilla Cederna, compie un insolito report sull’Italia descritta dalla grande giornalista o, traslocando per un momento in Francia, lo spettacolo su Camille Claudel, moglie dello scultore Auguste Rodin, in “L’Age mur nié” di Scenaperta.
Poi capita, nell’ultimo week-end del festival, di arrivare in un luogo veramente magico, il Monastero della Misericordia di Missaglia, dove la piccola grande Lucilla Giagnoni, con l’ausilio di Luca Maciacchini, rende omaggio alla sfortunata poetessa milanese Antonia Pozzi, le cui composizioni sono uscite dall’oblio solo da pochi decenni, restituendoci finalmente tutta la sua arte.
E’ poi una davvero notevole Giorgia Cerruti, distesa per tutto il tempo su un letto, con commovente adesione di sentimenti, ad impersonare Zelda, la moglie di Francis Scott Fitzgerald.
Sono piccoli spettacoli, sempre interessanti, che la gente riempie di applausi, come quelli tributati ad Andrea Brunello che, ne “Il principio dell’incertezza”, interpreta il grande fisico premio Nobel Richard Feynman, svelando i misteri della meccanica quantistica, sempre in correlazione con pensieri rivolti alla grandezza dell’infinito. Ed anche noi, lontani mille miglia da quei calcoli e formule che ci hanno sempre imbarazzati, siamo presi in un turbinio di suggestioni inaspettate, potendo poi discutere anche dopo lo spettacolo con il musicista Enrico Merlin sulle corrispondenze tra Schonberg e Bach.
Il festival ha terminato la sua ricca programmazione a Villa Taverna Pegazzano Riccardi di Bulciago, dove Corrado D’Elia ha interpretato a suo modo, tra narrazione ed interpretazione, la complessa figura di Ludwig Van Beethoven. L’attore milanese, che seguiamo fin dai suoi esordi, in questa notevole performance raggiunge la sua piena maturità espressiva, entrando direttamente nelle viscere del grande compositore, e compiendo nel medesimo tempo un’alta operazione didattica, di commovente intensità.
Conclusa un’edizione si pensa già alle prossime, che avranno come temi portanti il cibo, altro tema che peraltro ha sempre attraversato il festival, e Shakespeare, di cui ricorrono in questi due anni gli anniversari di morte e nascita.