L’ultimo sogno di Traps: per una sera fuori dal carcere

|L'ultima cena di Alfredo Traps
|L'ultima cena di Alfredo Traps

L’avevamo incontrata all’indomani di “Io non sopporto niente e nessuno, nemmeno Spoon River”. Era il 2012.
Sono passati poco più di due anni e torniamo a parlare di “Io ci provo”, il percorso teatrale laboratoriale coordinato da Paola Leone e rivolto ai detenuti della sezione maschile della Casa circondariale Borgo San Nicola di Lecce.

In realtà quello che allora era solo progettualità è andato oltre il termine della laboratorialità, fino a diventare una vera e propria compagnia di attori: «Il lavoro non si è mai fermato – spiega la regista – Ho continuato a costruire intorno a noi fiducia e relazione, non solo con i detenuti, ma anche con la direzione, la polizia penitenziaria e la popolazione fuori».

Le ore da dedicare al percorso sono aumentate, fino a dar vita ad una vera e propria consuetudine nel tempo del carcere: i momenti per le prove ma anche la trasformazione del personale interno, che da sonnecchiante spettatore è diventato vero e proprio pubblico.


Moltissimi anche coloro che hanno deciso di andare oltre le mura, in questi anni, per assistere alle rapresentazioni e a “Ubu R1E”, il cortometraggio di Mattia Epifani presentato l’anno scorso alle Manifatture Knos di Lecce.

La prossimità con l’evoluzione di questo progetto non può non attestare l’entusiasmo dei suoi protagonisti (fra cui anche l’aiuto regista Antonio Miccoli). «L’entusiasmo mi piace – spiega la coordinatrice – ma ho visto tante persone spegnersi subito, e quindi preferisco dire che semplicemente amo questo lavoro perché non posso farne a meno. È il privilegio della scoperta. La condivisione della lettura di un testo nuovo con altre 20 persone e il tentativo di raccontarlo senza avere un modello in testa. E questo per me è bellissimo».

L’ultimo testo esplorato è “La panne” di Friedrich Dürrenmatt, modellato insieme fino a diventare “L’ultima cena di Alfredo Traps…”.
«Un testo che ho incontrato per caso ma che ho deciso di proporre perché sembrava molto adatto a mettere in scena il diritto e la giustizia. Un diritto e una giustizia molto diversi da quelli raccontati dal diritto e dalle istituzioni… Ma il teatro e l’arte hanno questa funzione: rimescolare le carte e riattivare possibilità rimosse permettendo di vedere il possibile nell’impossibile».
Ecco dunque come nasce l’osservazione di quella che forse è una ‘panne’ nel funzionamento di quel meccanismo di riflessione sul momento presente che è il pensiero critico.

La dimensione del paradosso quasi surreale esplode molto bene nella resa di questo copione presentato in quattro repliche lo scorso aprile in carcere, ma riallestito per una sera ‘oltre le mura’ al Teatro Paisiello di Lecce (nuova replica il 18 novembre).
Una conquista importante, ma anche un contenitore adattissimo (il piccolo elegante teatro abitato per l’occasione da una folla di agenti) ad arricchire in maniera quasi meta-teatrale l’originaria drammaturgia.

L’intelligente ed interessante meccanismo infatti offre allo spettatore due diverse prospettive che sono anche due diverse tonalità emotive: da una parte la rappresentazione, che porta dentro alla narrazione in maniera quasi sognante, complice la bravura di chi la agisce, facendo dimenticare d’essere di fronte a una compagnia di ex imputati ora detenuti – quello stare ‘comodi’ nella modalità teatro che molto assomiglia a quell’essere ‘come in una favola’ che il protagonista (interpretato da un attore-detenuto) afferma ad un certo punto; d’altra parte il testo continuamente ricorda l’identità di imputato (potenzialmente detenuto) di colui che agisce la rappresentazione (l’attore-detenuto) e che inevitabilmente ridesta da quella illusione momentanea – il microfono da tribunale, la tattica processuale, ‘Ma io non ho commesso nessun reato!’, ‘Un reato lo si trova sempre…’).

L’illusoria sensazione di sicurezza, quel ‘sentirsi al sicuro’ di fronte alla giustizia (incarnato dagli affabili ex giudici che mettono in scena i loro antichi mestieri), viene riprodotta in scena e coinvolge l’osservatore su questo duplice registro emotivo. Una dinamica che molto bene conosce l’imputato-detenuto qui (anche) attore.

Chissà che prima o poi non arrivi una tournée e, magari, anche un teatro nuovo all’interno del carcere dove poter provare ogni giorno, capace di diventare ambiente permanente della formazione oltre che occasione di lavoro concreta per chi ‘dentro’ abita. «Un teatro ‘aperto’ alla città».

L’ultima cena di Alfredo Traps…
tratto dal racconto La panne di Friedrich Dürrenmatt
con: Gjeli Luftar, Alessio Pallara, Giuseppe Ballabene, Gertian Zaho, Gaetano Spera, Maurizo Mazzei, Marco Errini, Francesco Chiarillo,Pierluigi Bolognese,
e la straordinaria partecipazione di Luca Pastore
progetto e produzione: Factory Compagnia Transadriatica, Io ci Provo
ideazione e regia: Paola Leone
drammaturgia: Mariano Dammacco
assistente alla regia e non solo: Antonio Miccoli
costumi: Lapi Lou
scenenografia: Luigi Conte e Paola Leone
costruzione scenografie: i falegnami-detenuti sezione AS e il loro mastro
luci: Davide Arsenio
progetto grafico: Simone Miri e Francesco Maggiore
riprese video e foto: Mattia Epifani

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