Il “Macbeth” in francese di Pierre Audi al 24° Festival Verdi di Parma

Macbeth (ph: Roberto Ricci)
Macbeth (ph: Roberto Ricci)

Roberto Abbado dirige la Filarmonica Arturo Toscanini, con il coro del Teatro Regio di Parma

Siamo stati molto felici quest’anno di essere presenti alla 24^ edizione del Festival Verdi, promosso dal Teatro Regio di Parma, per assistere alle due opere del Maestro che amiamo di più: “Macbeth” e “Ballo in maschera”, per di più proposte in modi veramente inusuali e unici.

Cominciamo dunque ad approfondire la nostra visione di “Macbeth” a cui abbiamo assistito in una variante assai diversa dal solito, cioè nella sua versione francese, che debuttò per la prima volta in epoca moderna nel 1865.
Questa versione fu allestita su richiesta di Léon Carvalho, direttore del Teatro Lirico Imperiale, che voleva proporre l’opera a Parigi. Giuseppe Verdi sfruttò l’occasione per riprendere in mano lo spartito della sua creazione che aveva debuttato quasi vent’anni prima, al Teatro alla Pergola di Firenze nel 1847. Il compositore infatti, non essendone completamente soddisfatto, anche rispetto alla maturazione compositiva nel frattempo acquisita, ne rielaborò alcune parti in modo più confacente alla sua nuova sensibilità. Inoltre, dovendo essere rappresentata in Francia, nel solco del grand-opérà, vi aggiunse dei ballabili, tre danze notturne.
Verdi quindi musicò di nuovo il libretto italiano, elaborato da Francesco Maria Piave, a sua volta traduzione del libretto firmato da Piave e revisionato da Andrea Maffei, e su questa base venne effettuata la traduzione in francese di Charles Louis Étienne Nuitter e Alexandre Beaumont.
In Italia questa definitiva edizione del 1865 andò in scena solo nove anni dopo, alla Scala nel gennaio 1874.

Già in un’altra occasione avevamo sottolineato il nostro incondizionato amore per quest’opera che, attraverso una musica sublime, che si innerva prepotentemente nella vicenda scespiriana, ce ne restituisce, arricchendola con la musica, tutto il suo pathos, rendendolo se possibile ancora più potente.
Le modifiche principali, nella nuova versione, riguardarono la sostituzione dell’aria di Lady Macbeth del primo atto “Trionfai” con “La luce langue”, uno dei momenti a noi più cari, la scena delle apparizioni, il duetto del terzo atto “Ora di morte” al posto del precedente “Vada in fiamme” e il finale, in cui l’aria di Macbeth “Mal per me che m’affidai” fu soppressa in favore dell’inno corale della vittoria di Malcom, Macduff e soci.

Così un’altra volta, e in un’altra lingua, abbiamo potuto ritrovare in tutta la sua bellezza quest’opera che racconta le gesta nefande della coppia iniqua, la loro ascesa al potere attraverso i continui delitti, e la loro definitiva sconfitta, con la morte per follia di lei e per mano di Macduff, del feroce Signore di Cawdor. In più con la curiosità e la sorpresa di vederla proposta in una metrica diversa e inaspettata.
Tra i momenti che amiamo di più di questo capolavoro il sublime preludio che risentiremo nell’ultima aria della Lady, il cupo e sommesso dialogo tra i due sciagurati sposi (“Fatal mia donna un murmure… Tout est fini! Fatale épouse écoute au loin ce cri terrible et sombre ….”), la scoperta dell’assassinio di Duncan, con il susseguente meraviglioso concertato (“O gran Dio… Ah frappe un traitre, o divine Justice..”), il tragico brindisi prima che si palesi l’ombra di Banquo (“Si colmi il calice… Par toi, vin généreux….”), lo stupendo e commovente coro condotto dagli scozzesi sulla tragica situazione del loro paese (“Patria Oppressa… Oh patrie, oh noble terre…”) e quella inaspettata di Macbeth (“Pietà, rispetto, onore….Honneurs, respect, tendresse”), oltre alle due struggenti della Lady (“La luce langue… Que sur la terre …douce lumière” e “Una macchia è qui tuttora… une tache que rien n’efface”), che entrano nella carne stessa di questa straordinaria icona del teatro d’opera.

L’allestimento di questo Macbeth è stato affidato al regista francese Pierre Audi, su scene di Michele Taborelli, con il disegno luci di Jean Kalman e Marco Filibeck. Audi impronta una regia senza particolare mordente, ma che tuttavia riesce lo stesso, in modo semplice e accorto, a raccontarne i fatti, attraverso una intuizione di fondo: mescolare realtà e finzione dietro le apparenze.
Infatti i primi due atti utilizzano come ambiente riflesso la sala del Regio di Parma: è lì che le streghe, di nero vestite, sedute sulle sedie del teatro, nella scena iniziale offrono a Banquo e a Macbeth i responsi del loro futuro.
Spesso “la coppia iniqua” è poi circondata da un sipario rosso, che rimanda al sangue di cui sono infette le loro mani. Negli altri due atti dell’opera la scena ingloba i personaggi in una specie di inferriata, svestendo, per riportarlo alla normalità, un mondo fintamente opulento, pervaso invece dall’orrore.
I costumi di Robby Duiveman in questo senso ci trasportano dall’epoca paludata originaria ad una più misurata, di sapore contemporaneo: in questo modo anche i sontuosi costumi precedenti si risolvono in abiti più disadorni.

Macbeth è sempre succube della moglie, è lui, non lei, che all’inizio legge la lettera che descrive le profezie delle streghe, anticipando con il pensiero il dialogo che intratterrà con il marito al suo rientro. Lady Macbeth, che all’inizio è una specie di statua algida senza sentimenti, si trasforma piano piano in un essere devastato dai sensi di colpa.
Una grande botola, al centro del palco, da cui impera Lady Macbeth, consente diverse apparizioni e cambi di scena, trasformandosi anche in una specie di inferno, da cui escono cadaveri di bambini. Essi, come simbolo di morte e di rimpianto per la coppia di non aver procreato, sono al centro anche della scena delle apparizioni e delle danze. Come accennato, infatti, è presente nel terzo atto anche la danza attraverso quattro ballerini convolti nelle coreografie di Pim Veulings, che rimandano ad un Macbeth in balia di tre streghe del tutto simili alla moglie e al loro desiderio di avere un figlio.

Passando alla parte vocale e musicale, Ernesto Petti nel “title role” è sempre in parte, sia con il canto sia con l’interpretazione, disegnando un Macbeth che non sa mai cosa fare veramente, succube della moglie, una Lidia Fridman che poco alla volta si spoglia della sua gelida freddezza per diventare in modo concreto e verosimile la vittima degli incubi creati dai suoi stessi delitti. Michele Pertusi si conferma qui, come ogni volta, interprete di gran classe, cesellando la sua aria principale del secondo atto “Come dal ciel precipita… Par une aussi terrible nuit …”.
Luciano Ganci è un perfetto Macduff, con la sua voce tenorile sempre adeguata ad esprimere in modo teneramente possente nel quarto atto “La paterna mano… Ah c’est la main d’un père…”.

Il coro del Teatro Regio di Parma, istruito da Martino Faggiani, impegnato in un’opera non certo facile e in una lingua nuova, regge benissimo la prova, rendendo emozionante il bellissimo coro già ricordato “O Patrie… Oh noble terre…”.
Roberto Abbado, alla guida della Filarmonica Arturo Toscanini che nel 2020 aveva già diretto l’opera in questa versione, conduce in modo convincente l’orchestra, entrando efficacemente nelle viscere di tutte le variegate e complesse atmosfere che la compongono.

MACBETH
Musica GIUSEPPE VERDI
Revisione a cura di Candida Mantica sull’edizione critica a cura di David Lawton
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano
Macbeth ERNESTO PETTI
Lady Macbeth LIDIA FRIDMAN
Banquo MICHELE PERTUSI / RICCARDO FASSI (13)
Macduff LUCIANO GANCI
Malcolm DAVID ASTORGA
La Comtesse NATALIA GAVRILAN
Un serviteur / EUGENIO MARIA DEGIACOMI
Un sicaire/ Premiere fantôme Deuxième fantome AGATA PELOSI
Troisième fantôme ALICE PELLEGRINI
Direttore ROBERTO ABBADO

Regia PIERRE AUDI
Scene MICHELE TABORELLI
Costumi ROBBY DUIVEMAN
Luci JEAN KALMAN, MARCO FILIBECK
Coreografie PIM VEULINGS
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Spettacolo con sopratitoli in italiano e inglese

Visto a Parma, Teatro Regio, il 17 ottobre 2024

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