“Lei non si voleva pentire. Si voleva vendicare”.
“Lei” è Rita Atria, la diciassettenne siciliana protagonista di una tanto triste quanto nota storia di mafia, morta suicida nel 1992, una settimana dopo la strage di via D’Amelio.
Le parole, invece, sono quelle del giudice Alessandra Camassa, magistrato del team di Paolo Borsellino, la cui preziosa testimonianza, raccolta e videoregistrata dalla regista Tiziana Marsili Tosto durante un viaggio in Sicilia di qualche anno fa, assieme agli scritti lasciati da Rita, è stato lo spunto per la stesura della drammaturgia de “Malacarne”.
Il lavoro è frutto di una ricerca appassionata condotta fin dentro il cuore più ruvido della Sicilia, fino alle faide mafiose del paese di Partanna, dove vive la famiglia di Rita, la ragazza che, dopo l’uccisione del padre e del fratello, denuncia i mandanti ai giudici del team di Borsellino. Entra così nel sistema protezione testimoni, che la costringe a vivere isolata, sotto falso nome, lontana da casa e da una madre che la disconoscerà anche sulla tomba, perché traditrice.
Sola, e con un sistema di valori completamente sfasato (il padre mafioso, riverito e temuto in paese, è un eroe o un criminale?), Rita trova nei magistrati – e soprattutto in lui, Borsellino, il giudice dall’atteggiamento paterno – un nuovo riferimento, una bussola per una svolta nella vita. E la possibilità di vendicarsi verso chi ha fatto a pezzi la sua famiglia.
Ma se una possibilità di salvezza c’è, questa svanisce con l’uccisione del giudice, tanto che una settimana dopo la strage di via D’Amelio, Rita si suicida gettandosi dal balcone della casa dove è custodita, a Roma.
Cruda, necessaria ed illuminante è la trasmissione, prima dello spettacolo, della video-intervista realizzata a Trapani al giudice Camassa, che introduce il pubblico fin nel cuore della vicenda. Muovendo da aneddoti e dettagli legati alla storia di Rita e degli Atria, si riflette sui traguardi e gli errori compiuti negli anni dalla Giustizia nella lotta contro Cosa Nostra.
La pièce allestita dalla regista anconetana trae spunto da questa storia vera, ma dipana i fatti avvalendosi di una grammatica espressiva che sublima la cronaca. Ne consegue un allestimento intenso e minimalista, concreto e visionario insieme, che non descrive i fatti ma li evoca, riuscendo a restituirne però il senso di violenza e di drammaticità.
La vicenda di Rita e della sua famiglia viene frammentata in tanti micro espisodi, come fossero finestre spazio-temporali, come lembi di luce nel buio: gli sguardi, allora, si posano su una passeggiata lungo le vie di Partanna la domenica mattina, sui giochi in casa con il fratello maggiore, sul padre, riverito uomo d’onore al quale tutti si rivolgono per avere indietro le pecore rubate, su quell’uomo che tutti salutano con un inchino, su quel figlio maschio prossimo a diventare papà e che invece muore ammazzato…
Poi succede qualcosa. La tragedia, le denunce, la fuga a Roma, il programma di protezione, la presa di coscienza di essere figlia di un criminale e la scelta di morire dopo la morte di quel giudice che pareva un padre buono, non possono più essere raccontate come finestre di luce. Perché sono, semmai, finestre di buio: la parte più oscura, commossa e commovente di una vicenda che pare già quasi lontana. Non più solo Rita, non più solo gli Atria, non più solo Partanna, ma una storia universale che parla del dolore di tutti gli uomini che hanno smarrito la via, il riferimento, che hanno perso se stessi, padri, fratelli e figli, morti ammazzati dalla mafia.
MALACARNE
produzione: Circo Amalassunta
regia: Tiziana Marsili Tosto
drammaturgia: Tiziana Marsili Tosto, Giulia Zenni
aiuto regia: Clementina Scudiero
interpreti: Loretta Antonelli, Gianluca D’ercole, Tiziana Marsili Tosto, Rosetta Martinelli, Luigi Moretti
tecnico Suoni e luci: Francesco Giarlo e Oskar Genovese
aiuto tecnico: Nicola Venturi
montaggio intervista: Lorenzo Moretti
durata: 50’
applausi del pubblico: 3’ 17’’
Visto ad Ancona, Mole Vanvitelliana, il 3 settembre 2010