Manfredi Perego: dal Premio Equilibrio in poi

Grafiche del silenzio|Manfredi Perego
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Manfredi Perego
Manfredi Perego
A margine della quarta tappa di W4DNA, progetto di Romaeuropa riservato alla danza autoriale italiana (di cui vi parleremo nei prossimi giorni), abbiamo incontrato Manfredi Perego, vincitore del premio Equilibrio 2014, con l’intento di conoscere meglio questo danzatore che si affaccia alla scena autoriale dopo numerose esperienze da interprete.

Eccovi il racconto della piacevole chiacchierata avuta negli uffici di Romaeuropa.

Online non ci sono molte notizie sul tuo conto. Ci racconti qualcosa di te?
Online ci sono pochissime note perché preferisco che si vada a scoprire vedendo. La fruizione delle cose online è un riferimento facile e pericoloso, utile se non si ha modo di muoversi, ma preferisco la curiosità che spinge a spostarsi.
Che dire di me? Ho iniziato danza nella scuola di mia madre, dove continuo a studiare tutte le cose che mi interessano e mi incuriosiscono. Fino a 18 anni non ho deciso di “fare danza”, facevo danza per gioco, e poi judo, sci, calcio. Finché a 18 anni ho preso questa decisione.

Decisione nata da cosa?
E’ una cosa che non ti lascia mai. A un certo punto ho dovuto allontanarmi da tutto il mondo della danza per capire che la normalità per me era il lavoro su un palco. Quindi sono tornato alla danza, ho deciso di fare solo quello, per poi reintegrare lo sport perchè è una dimensione pratica, leggibile, dove ci vuole umiltà sia nella vittoria che nella sconfitta; è una dimensione così lontana dall’arte… ma dove all’improvviso, quando non te lo aspetti, puoi rintracciare anche la poesia. Sono tanti binari che poi racchiudo in quello che è il mio modo di elaborare tutte queste informazioni.
Questa estate ho fatto un training in un bosco imparando da ciò che trovavo, misurandomi con la difficoltà di essere un animale, non imitandolo in un ambiente protetto come la sala di danza, ma in un habitat reale. Ho dovuto quindi ritrovare proprio l’animale umano, che è poi la strada che mi interessa, un animale molto poetico.

Mi sembra di capire che la tua ricerca sia molto legata al corpo, al movimento e alla sua necessità, lontana da quel filone in cui la concettualità diventa più importante della danza stessa.
Assolutamente, il corpo è già un concetto incredibile, la poesia di un ginocchio, di una scapola…  Ovviamente poi il corpo si relaziona con un mondo esterno, ma è anche il mondo esterno che si relaziona con me, con la mia visione della vita. Questo mi dà una grande libertà di dire quello che voglio, come voglio.
Ovviamente può essere rifiutato dal pubblico, sia esso generico o di addetti ai lavori, ma sono convinto che l’energia che muove la necessità di dire una cosa venga letta, e io punto su quello; è una concetto talmente semplice che può dar fastidio. La raffinatezza a cui può attingere il corpo è data da tutti gli elementi dello studio che accumuli negli anni, ma la tecnica che ripete la tecnica non mi interessa, deve essere un mezzo per esprimersi: questo mi interessa.
Il mio è un lavoro semplice, con una base di partenza semplice, dove io vado ad articolare concetti che mi interessano e che spero interessino le altre persone. Mi sento quindi lontano dal filone più concettuale, pur rispettandolo.

Il passaggio da interprete a creatore come è stato?
Naturalissimo e tumultuoso. Naturalissimo perchè, data la modalità sempre più diffusa da parte dei coreografi di utilizzare l’improvvisazione come strumento creativo, ti ritrovi alla fine con scene costruite in larga parte con tuo materiale, e inizi ad avere dei pruriti. “Grafiche del silenzio” (progetto vincitore del Premio Equilibrio) è nato così.
Tumultuoso perchè a un certo punto non accetti più imposizioni, anche se poi, mentre crei, vorresti avere qualcuno che ti guidi per poter respirare; per questo sono ancora un interprete. Ovviamente interprete di persone con cui ho scelto di lavorare; sono fortunato a lavorare con Simona Bertozzi, perchè con lei si tratta proprio di collaborazione: nel processo creativo si crea quello spazio di libertà che poi si chiude nel momento delle scelte che lei si assume come coreografa.

Grafiche del silenzio
Grafiche del silenzio

Ormai sono tre anni che continua questa collaborazione. Ti senti condizionato dal suo lavoro o pensi di essere già in un ambito diverso?
Sì, penso proprio di essere in un ambito diverso. E’ ovvio che il suo lavoro fisico, incredibilmente profondo e stratificato, mi condizioni; è una fortuna lavorare con una persona con una sapienza del corpo simile, ma il percorso è mio. Sento una differenza profonda tra i nostri lavori, e questo probabilmente è una tutela del nostro rapporto.

Aver vinto il Premio Equilibrio che cosa ha rappresentato per te, in questo momento?
Speravo che questa domanda non arrivasse. Ho apprezzato [durante le riflessioni nel terzo appuntamento di W4DNA, ndr] la notazione fatta da Ada d’Adamo sulla necessità economica di realizzare un solo. Hai il desiderio di relazionarti con più persone ma non hai fondi per pagarle, e quindi viene fuori il “solo”, anche se “Grafiche del Silenzio” è nata da una mia intima esigenza, che contemplava proprio il fatto di essere solo.
Vincere il Premio Equilibrio è stato fare centro, non per il successo ma per aver ottenuto la possibilità di prepararsi bene, in una condizione che non sai se ti potrà ricapitare. Grazie a questo premio voglio avere il processo più simile a quello che si può sperimentare in una piccola compagnia, voglio poter vivere questa esperienza, anche se per una parte piccola della mia vita.

Le tue prospettive future sono quindi legate a questa produzione?
No, le prospettive future sono legate a quando apro la posta la mattina, sono legate all’arte ma anche alla vita normale. E’ riuscire a fare un calendario che abbia un senso, un calendario dove inserire i desideri veri che vuoi realizzare. Questo implica un percorso su di sé, i premi danno una spinta in più. Sono molto semplice in questo, perchè so cosa voglio e mi piace cercarlo con calma.
 

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