A Short Theatre 2022 la performance diretta da Luiz Fernando Marques, autobiografia di un corpo
Smettete di guardarmi – anzi, guardatemi, ma piano.
Il “Manifesto Transpofágico” di Renata Carvalho, in scena a Short Theatre 2022, è insieme lezione, dettagliatamente suddivisa in parte teorica e pratica, spettacolo, storia del travesti brasiliano nell’ultimo mezzo secolo, progetto didattico di ridefinizione sociale del corpo trans e atto, riconferma di liberazione personale.
Si situa davvero in un punto in cui la teoria e l’autobiografia sono il precipitato di un unico, travagliato oggetto: il corpo, per l’appunto. È parte di quel novero di lavori che, in questo primo Short Theatre a guida esclusiva di Piersandra Di Matteo, aprono alla prassi e rinforzano la caratterizzazione performativa di un’azione curatoriale non limitata alla compilazione di un programma.
“Manifesto Transpofágico” parte dal corpo, come si diceva, un corpo inevitabilmente, dolorosamente – ma, si vedrà, generosamente – aperto all’altro: è in scena seminudo, e una doppia coppia di sagomatori di taglio ce ne consegna fin da subito i confini, ponendolo come sotto un ulteriore ordine di sguardi, in una ostensione non banalmente provocatoria, ma che non esclude l’agonismo, la sfida di stare nell’altra metà campo rispetto a chi guarda, di giocare la prima palla dell’incontro.
Il racconto è sociale, nutrito e insieme sospeso tra l’eterna curiosità di fronte a un ibrido (un corpo che si sceglie da sé la propria forma, si costruisce contro, si decide al livello del sottopelle, si plasma, un corpo progettuale, rivoluzionario) e la presa di distanza frutto della sconvenienza sociale del desiderio, capace di inserirsi e scardinare le identità precostituite. È un corpo che, ci racconta l’attrice e registra brasiliana, esplode tra i fasti del carnevale alla luce di un mondo capovolto dal rito liberatorio del semel in anno, ma che torna a nascondersi nel buio della vita di tutti i giorni, nella non-scelta della prostituzione; che si inietta siliconi industriali per pompare le forme e usa il suo stesso sangue, letteralmente, come arma contro la repressione della polizia nei tempi più cupi dell’epidemia di AIDS, in cui i travesti erano additati come untori, capri espiatori.
Sostenuto da un buon ritmo, dall’intervento di video d’epoca (interviste della televisione brasiliana, brani di documentari e autobiografici), il racconto si interrompe bruscamente: Carvalho esce dalle luci di scena, entra in quelle della platea, chiama a tradurre un’amica (non impeccabile) e parla direttamente col pubblico. Vuole sapere se ha avuto esperienze con persone travesti, anche di natura sessuale – ma in realtà è lei che vuole dire, mostrare.
Il messaggio è chiaro, espresso apertamente: “Io voglio naturalizzare il corpo travesti“. Per farlo non esita a portare il proprio, sempre seminudo, tra gli spettatori, in un atto di engagement estremo, a mettere quella carne a loro disposizione, perché possano non più solo sbirciare, ma vedere, sentire con le loro mani cos’è un corpo come il suo, per sottrarlo alla categoria del mostrum, della curiosità, del pruriginoso, dell’alieno (la violenza nasce dal privare l’altro dello status di essere umano, ci dirà qualche giorno dopo Gisèle Vienne alla presentazione del suo “Jerk”).
Segue un finale in cui Carvalho rientra in scena, attiva una sorta di voto del pubblico sulla necessità di mostrarsi in un nudo integrale – e il pubblico vota per il no, in una dinamica chissà quanto ormai compromessa dalla vicinanza, dall’intimità, dall’amor proprio, dal desiderio di non essere (o non sentirsi) parte del problema.
Diviso in queste tre parti, “Manifesto Transpofagico” soffre, è vero, di qualche automatismo nella drammaturgia, di qualche facilità nella scrittura testuale (come l’anafora del sostantivo “corpo” seguito da un aggettivo sempre diverso – a che serve tornare a ridurre in formule la complessità di un racconto? Non è possibile lasciare alla molteplicità di dati il compito di descriverla?), e soffre anche di qualche inconveniente tecnico, di qualche farraginosità nella trovata finale del “voto del pubblico”, che sembra addirsi più a un televoto che alla generosa opera di avvicinamento portata coerentemente avanti per tutto il lavoro. Ma il filo col pubblico, soprattutto con quello meno “scafato”, è teso. Il corpo travesti di Renata è stato accanto ai nostri, la vita che l’ha costruito ci ha sfiorati, e magari, anche nella forma di un leggero odore di cosmetico, resterà con noi.
Manifesto Transpofágico
drammaturgia e performance Renata Carvalho
regia Luiz Fernando Marques
luci Wagner Antônio
video art Cecília Lucchesi
produzione Corpo Rastreado
co-produzione Risco Festival, MITsp e Corpo Rastreado
diffusione Corpo a Fora e FarOFFa
In complicità con Città delle 100 scale Festival, Mercurio festival, Primavera dei Teatri, Asteroide Amor + Palazzo Grassi – Punta della Dogana
In portoghese brasiliano con sovratitoli in inglese e italiano
durata: 60′
Visto a Roma, La Pelanda, il 9 settembre 2022