Maqam: Michele Di Stefano traccia con i corpi il luogo della convivenza

Maqam (photo: Andrea Macchia)
Maqam (photo: Andrea Macchia)

Sospesa fra ambiente sonoro e spazio fisico, una coreografia-concerto firmata da mk, Lorenzo Bianchi Hoesh e Amir ElSaffar

Cosa sia il maqam, inteso come melodia tradizionale araba, si può leggere in rete, come ha fatto chi scrive queste note: qui scoprirete l’esistenza degli ajnas, frammenti di scale su cui si basano le melodie, qui leggerete notizie storiche, approfondimenti, e la spiegazione di tutte le famiglie di maqam, basate sull’esordio nel segno di una o un’altra scala.
Pochi minuti per averne un’idea, appena un’idea. La conoscenza teorica è un’altra cosa, così come è un’altra cosa la capacità di ascoltare nel profondo non solo il ritmo dei maqamat, ma gli intervalli, le modulazioni, e arrivare alla pacificazione con questioni culturali talmente radicali da farsi tangibili e oggettive, ad esempio la presenza dei quarti di tono.

“Maqam”, il nuovo lavoro di mk/Lorenzo Bianchi Hoesh/Amir ElSaffar, debuttato l’anno scorso a Reggio Emilia e a Roma per la rassegna Grandi Pianure al Teatro India prima di arrivare alla Triennale di Milano, è costruito su questo mondo musicale.
Si dispone in scena con relativa semplicità: a metà palco nel senso della profondità i due musicisti, coautori con Michele Di Stefano, sono ai loro strumenti per l’intera durata del lavoro, che la musica impregna completamente, non concedendo al silenzio ritagli apprezzabili.

I sette danzatori di mk si alternano in scena, ora in assoli ora in assiemi, accompagnando i diversi brani nati dall’unione del live-set di Bianchi con il santur, la tromba e la voce di ElSaffar, in un ambiente di palco tendenzialmente oscuro, in cui ora tintinnano i contorni dei corpi, sbalzati dai controluce, ora più morbidamente le forme si aggirano tra tenui disegni cromaticamente vari, che fanno dello spazio scenico una sequenza di parallelepipedi contrastanti; infine capita che guizzino sotto le cascatelle minime di sagomatori strettissimi, a piombo, che scattano sui corpi vorticanti, addosso ai quali sembrano sgorgare.
Le luci di Cosimo Maggini e Giulia Broggi hanno per l’appunto un ruolo non secondario in “Maqam”, tale che sono loro, quando i corpi abbandonano lo spazio, a danzare, persino a mimare, verso il finale, le luci che un nostro automatismo pittoresco, da finto suk-etnico della domenica, non può che ricondurre ai vetri policromi delle lanterne arabe.

Sulla questione del “mimare”, e dell'”accompagnare”, due verbi che possono uscire incontrollati dalla penna ma che non sono neutri, occorre tentare di dare più precisamente conto nel modo di stare in scena dei sette corpi.
Sempre in un ritmo piuttosto sostenuto, sempre impegnati in un movimento che ha il carattere principale nella rotazione attorno all’asse verticale (rotazione progressiva, avvitata, non sempre omogenea o priva di altri spunti direzionali), con rapide e frequenti inversioni di senso, la descrittività dei corpi nei rapporti con la parte musicale è spesso dichiarata. Una descrittività “generica”, di ambiente (tanto che non si troverebbe fuori luogo chi decidesse di fruire di “Maqam” come di un lavoro esornativo), che non rifugge però nemmeno il dettaglio sbozzato, come quelli di un corpo che freme rapido insieme a un trillo del santur.
Ma della decoratività non è che un primo strato, un primo sapore di “Maqam”, una crosta che si rompe. Nei momenti in cui i danzatori si ritrovano in ballo tondo, in una formazione che può far balenare alla memoria alcune esperienze di Claudia Castellucci, sono loro a tessere e contemporaneamente incarnare quell’essenza del ritmo che i danzatori della coreografa cesenate introiettano direttamente dal suono che li circonda – mentre l’elemento ritmico del maqam ha minore robustezza, minore evidenza, una regolarità meno immediata. Quella componente ritmica è legata, nei sette di Maqam, più che alla relazione dei corpi con la musica (piuttosto un mare alto che una campana ribadita), alla presenza degli altri corpi, alle diverse possibilità del contatto, della coesistenza, della tangenza e dell’incrocio dei rispettivi vettori sul palco.

Queste possibilità di incontro si traducono per l’appunto in un groviglio rapido e multiforme, le cui qualità non sono solubili a freddo, in un ritrovarsi in insiemi fluidi, fatti di componenti che si incontrano, si evitano, escogitano rapidi compromessi, mantenendo una struttura composita, fatta di anime diverse: “luogo”, “posizione” sono altri significati, a leggere le note di sala, del termine arabo che dà il titolo al lavoro.

Probabilmente un più approfondito studio delle questioni legate alla composizione dei maqamat eseguiti in scena, alle modalità in cui i diversi piccoli frammenti di scale con i loro ambienti emotivi si compongono a formare melodie più complesse, e il rendere con termini tecnicamente avvertiti quella sensazione di costante aggiramento di un punto che le continue peregrinazioni, gli andirivieni, le mezzelune della melodia evocano, darebbero una descrizione più accurata di questo ritrovarsi dei corpi in un insieme che non li annulla, in cui fissare punti d’arrivo non è imprescindibile, per riconoscere in “Maqam” la necessità di unire la questione della descrizione corporea di un fatto musicale con la profondità di un simbolo più generale di convivenza, che porta nel finale quei quattro corpi, sotto una luce meno artefatta, una luce finalmente qualsiasi, a mostrarsi persone.

MAQAM
di Michele Di Stefano e Lorenzo Bianchi Hoesch
con Biagio Caravano, Andrea Dionisi, Sebastiano Geronimo, Luciano Ariel Lanza, Laura Scarpini, Francesco Saverio Cavaliere, Francesca Ugolini
composizione e musica elettronica Lorenzo Bianchi Hoesch
canto, tromba e santur Amir ElSaffar
coreografia Michele Di Stefano
disegno luci Giulia Broggi e Cosimo Maggini
mk / KLm 21-22
coprodotto nell’ambito del progetto RING da Festival Aperto – Fondazione I Teatri Reggio Emilia, Bolzano Danza – Fondazione Haydn, FOG Triennale Milano Performing Arts, Torinodanza Festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
partner associato Lavanderia a Vapore – Fondazione Piemonte dal Vivo
in collaborazione con Teatro di Roma – Teatro Nazionale
con il sostegno del MIC

durata: 60′
applausi del pubblico: 2′ 45”

Visto a Roma, Teatro India, il 6 marzo 2022

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