Pinocchio, si sa, aveva come più grande desiderio diventare un ragazzo fatto di carne e ossa, vivere come tutti gli altri ragazzi. Vivere, appunto.
Il burattino scolpito dal legno di Armando Punzo e la Compagnia della Fortezza ha invece un altro desiderio: il proprio funerale.
Questo Pinocchio, impersonato dallo stesso Punzo, vuol tornare indietro, riavvolgere il nastro: da uomo a tronco di legno, materia senza vita. Un mondo che va all’incontrario, dove prevale il non-essere e il non-avere, tanto da restare esterrefatti dalla “meravigliosa visione” del soffitto mentre si viene trasportati pancia all’aria dai becchini.
Niente favole e niente fatina, che anzi più volte viene esortata a “svanire”.
Una sottile e profonda riflessione sul vivere (o meglio, non-vivere) dietro le sbarre, in celle di tre metri per nove come quelle del carcere di Volterra dove la compagnia si è formata. Gli attori fanno parte di quel mondo, lo hanno vissuto e lo vivono ancora.
La sfida della Compagnia della Fortezza, nata come Laboratorio nel 1988 sotto la direzione di Punzo, è di portare il teatro in carcere, sfida vinta oltre 20 anni fa. Tanti i testi affrontati e tanta la voglia di reinventarsi una vita, vestendo i panni di chi non si è, fuggendo dal nulla che si ha, anche se poi si torna “dentro”.
Pinocchio-Punzo tra l’amico asino, l’amico volpe, gatto e coniglio, si agita e si modifica, salta, ride, cambia timbro vocale come se dentro avesse un miscuglio di personaggi e personalità che si fanno spazio spingendosi l’un l’altra per venir fuori.
Non tutti sanno che il romanzo di Collodi termina con un triste finale: l’impiccagione del burattino a causa delle sue troppe bugie.
Ed è proprio con una corda al collo che il protagonista dal lungo naso si aggira per il palco, sperando che il suo desiderio si esaudisca. Ma la corda è legata a un’ancora, forse di salvezza dalla tempesta che improvvisamente si scatena e, come su un’arca di Noè, i personaggi si fanno forza per combatterla, insieme nel disperato tentativo di non affondare.
Nonostante lo spettacolo a cui abbiamo assistito sia solo un estratto del “Pinocchio” integrale presentato al festival Volterrateatro 2008, questi Materiali da Pinocchio sono davvero incisivi e riescono a portare anche nel piccolo teatrino universitario di Venezia l’amarezza e l’insensatezza rappresentate dal vivere senza poter fare ciò che si vorrebbe.
Gli attori-detenuti, nei loro costumi buffi e grotteschi, sanno lasciare il “ruolo” da carcerati nelle loro celle, creando uno spettacolo di grande spessore che esplode in un’ovazione del pubblico al momento degli applausi.
Non c’è più spazio per la ragione, ed ecco che il burattino collodiano si trasforma in Don Chisciotte, con un asino ragliante che gli fa da scudiero.
Un percorso all’indietro per cercare qualcos’altro: se andando avanti non si trova nulla per cui valga la pena esistere, forse retrocedendo si capirà che cosa è stato perso nel cammino, tra errori e bugie.
E nel “rewind” è coinvolto anche il linguaggio. La drammaturgia, scritta da Punzo, è fatta di parole e frasi private di senso, ridotte al minimo, altro dei punti forza della compagnia: eliminare il superfluo per ritrovare la funzione originaria del teatro e riscoprire il vero significato di essere “uomini liberi”.
Stupisce, stordisce quasi la voglia di vivere di questi attori-detenuti che nonostante le “catene” sembrano molto più leggeri di noi.
MATERIALI DA PINOCCHIO
di Armando Punzo
produzione: Compagnia della Fortezza
interpreti: Armando Punzo, Aniello Arena, Jamel Soltani, Dino Calogero, Santolo Matrone
regia: Armando Punzo
durata spettacolo: 1 h
applausi del pubblico: 3’ e 51’’
Visto a Venezia, Teatro Universitario Giovanni Poli, il 5 febbraio 2010