Orietta Notari è la Medea di Leonardo Lidi. Intervista

Medea (ph: Luigi De Palma)
Medea (ph: Luigi De Palma)

In prima nazionale al Teatro Stabile di Torino fino al 21 aprile

È in scena in questi giorni, alle Fonderie Limone di Moncalieri, in prima nazionale, “Medea”, interpretata in modo struggente da Orietta Notari. Una Medea che non ci si aspetta, fragile e spaventosa allo stesso tempo, madre e fanciulla, nobile e folle, lontana dalle interpretazioni ieratiche a cui siamo abituati. Una Medea che non ha bisogno di trucco né di apparati scenografici maestosi, ma predilige l’essenzialità. La regia di Leonardo Lidi è asciutta, tutta volta a valorizzare l’arte dell’interpretazione e dell’immedesimazione. Una Medea che parte da Euripide ma che è anche un dramma contemporaneo, perché mette in scena sentimenti e sfumature dell’inconscio in cui lo spettatore, con un misto di stupore e terrore, ha la possibilità di riconoscersi. In cui il bisogno d’amore si confonde con l’idea di possesso e l’abbandono viene vissuto come un oltraggio, un attentato al proprio orgoglio e una sottrazione di potere. Una Medea spettinata, vestita in modo trasandato, che si confronta con una giovane rivale, tremendamente bella e seducente. Il pensiero di essere madre non riesce ad alleviare la sua sofferenza, al contrario i figli, loro malgrado, gliela acuiscono, e diventano alla fine strumento attraverso cui Medea maldestramente e invano tenta di riscattarsi attraverso la vendetta. Cosa rimane del testo greco e, soprattutto, cosa di quella tragedia appartiene ancora all’oggi? Lo abbiamo chiesto a Leonardo Lidi, che firma la regia dello spettacolo.

“La possibilità di avvalersi della traduzione del professore Umberto Albini rappresenta di per sé già un grande aiuto nel farcela sentire più vicina – ci racconta il regista – In sostanza, a parte il monologo finale, che è una riscrittura del dramaturg Riccardo Baudini, e qualche ulteriore avvicinamento qua e là, il testo dello spettacolo è molto vicino a quello di Euripide. Abbiamo scelto di sostituire il personaggio di Creonte con Glauce, la novella sposa di Giasone, perché mi interessava indagare la relazione tra le due donne, tra Medea, tradita e abbandonata, e la giovane donna che le porta via il marito.
Questo perché ciò che supera i secoli e i millenni, ciò che sento a me e a noi vicino in questi classici (in Euripide, come in Molière e in Čechov) è l’amore nelle sue dimensioni più umane e talvolta estreme, ed è questo tipo di indagine che ha guidato i miei ultimi lavori. Dire che Medea è una storia d’amore può creare sconcerto se si pensa all’epilogo della tragedia, ma di fatto è così. Medea supera ogni ostacolo, rinnega il suo passato, si macchia di atti orribili in nome dell’amore e, quando viene abbandonata per un’altra persona, il suo amore la porta a compiere un altro delitto, un delitto d’amore, perché distrugge la cosa che ama più di tutte”.

Il fil rouge con il Misantropo, diretto dallo stesso Lidi per il Teatro Stabile di Torino nel 2022, è immediatamente riconoscibile, oltre che nello stile registico, soprattutto per la volontà di affrontare il sentimento dell’amore nella sua connotazione dolorosa, l’amore quando diventa sofferenza, quando non è più controllabile e diventa ossessione.
Medea piange molto più di quanto non urli, genera tanta empatia quanto terrore. Quando trascende, la temiamo, ma allo stesso tempo ci pare di comprenderla: è una donna tradita e abbandonata, che scopre di non suscitare più il desiderio dell’uomo che ama e non riesce ad accettarlo. Quando, in una scena dello spettacolo, tenta di riallacciare a sé il corpo del marito, lo fa in maniera violenta e allo stesso tempo goffa. La nutrice (magistralmente interpretata da Valentina Picello) confessa di preferire rimanere vergine, pur di non correre il rischio di attraversare un dolore analogo.
Nella Medea della Notari convivono il dramma umano della “vecchia imbellettata” di Luigi Pirandello, dipinta nel saggio sull’umorismo, ma anche il coraggio e l’autodeterminazione di Nora in “Casa di bambola” di Ibsen, anche se Nora si limita ad abbandonarli i figli. Medea li uccide. Può davvero una madre pensare a rinunciare ai propri figli perché non si sente riconosciuta come donna e come persona? Chi è Medea oggi? Lo chiediamo proprio a lei.

“‘Come ti ho fatto ti disfo’. Accade, accade nelle famiglie, accade anche oggi. Ci sono molte sfumature del nostro universo femminile in Medea. C’è senz’altro la disperazione di una donna che sente di non essere più amata e desiderata dal proprio uomo, ma c’è anche la rabbia dell’abbandono, la paura della solitudine, la consapevolezza di avere fatto tutto per l’uomo amato, avere dato tutta la propria vita per lui e vedere che questo viene ricambiato con il tradimento. Medea è veramente una donna con le spalle messe al muro, non solo perché il suo compagno, il suo sposo l’ha tradita, ma anche perché la società nella quale vive la relega come tutte le donne in una situazione subalterna rispetto all’uomo. C’è inoltre l’orgoglio ferito. Le sfumature di questo personaggio sono davvero tante, più lo affronto e più mi appassiona. Quindi, mi sono ispirata alle donne, alle donne che conosco. Quello che mi interessa esplorare è la sofferenza d’amore e andare giù lì e vedere dove si arriva”.

Il teatro è per natura il luogo in cui viene messo in scena un conflitto e, di fronte a questa Medea, ci si chiede quale sia il conflitto più forte che attraversa la tragedia. Quello tra Giasone e Medea, tra maschio e femmina, oppure tra Glauce (Marta Malvestiti) e Medea, o ancora tra il ruolo di moglie e quello di madre? “Il conflitto in Medea – ci racconta la Notari – nasce dal bisogno di amore, di essere amati. Siamo di fronte a un archetipo e a contatto con il nostro inconscio collettivo e personale”.
“La mia necessità di mettere in scena l’amore non nasce tanto per una ragione personale quanto per un discorso politico – interviene Lidi – In questo momento storico, segnato dalla pandemia che ci ha distanziato emotivamente oltre che fisicamente, e da un boom tecnologico che continua a farci sentire vicini stando distanti (penso, per esempio, alle chat e ai social su cui facciamo a gara ad accumulare amici, ma poi alla fine ci ritroviamo soli a casa nostra), sono convinto che sia compito del teatro ricordare che è possibile ritrovarsi in una stanza dove si condividono le emozioni, anche quelle più nere, che poi possono sfociare in tragedia, senza averne paura. E qui arrivo a Medea. Secondo me la cosa più interessante è il conflitto che Medea ha con sé stessa, con le proprie emozioni. Io credo che il teatro debba, per essere forte nella propria contemporaneità, elevarsi a luogo dove si parla a tutti e non in termini elitari e si parla di emozioni”.

La stanza a cui fa riferimento Lidi richiama quella riprodotta in scena: una scatola a forma di parallelepipedo più o meno regolare, con una quarta parete che, pur essendo trasparente, materialmente esiste e dà l’impressione agli spettatori di spiare ciò che accade in quella stanza. Una scena volutamente spoglia, grigia, che mette al centro le attrici, gli attori e le loro emozioni.

“Con Nicolas Bovay lavoriamo sempre nel cercare di creare delle lenti di ingrandimento per sottolineare il lavoro degli attori e il rapporto che vogliamo instaurare con il pubblico – prosegue il regista – In questo caso lo sguardo, il giudizio che Medea si sente addosso e che arriva dal pubblico, al di là della scatola, come da un buco della serratura, ce la fa percepire come l’ospite di un carcere o di un manicomio. Non serve altro per descrivere quel conflitto interiore di Medea di cui parlavo prima. Medea è messa all’angolo, in una stanza anonima, non importa che sia stanza da letto o altro. E nella stessa direzione va il lavoro sui costumi di Aurora Damanti, che procede per sottrazione e punta all’essenzialità. Quello che sappiamo è che Egeo è fuori, la salvezza è fuori, il domani è fuori e Medea non lo raggiungerà”.
Egeo non entra nella stanza ma riesce per un attimo a comunicare con Medea, attraverso la parete trasparente. Qual è la sua funzione? Ce la spiega la Notari: “Quel luogo è un carcere, un manicomio. Egeo è un passante che incontra una persona disturbata e, per Medea, rappresenta la ricerca di un contatto con quello che è fuori di lei, la ricerca di un aiuto, di una risposta negli occhi di chi la guarda”.

Straordinariamente efficace e potente, l’incipit dello spettacolo fonde armoniosamente il pianto di Medea e le parole pronunciate dalla nutrice con gli accordi di chitarra suonati dal pedagogo (Alfonso De Vreese), che sembrano evocare i lamenti delle donne di Corinto. Due brani si innestano poi nella drammaturgia: “Put your head on my shoulder” di Paul Anka e la notissima “Eternità”. Chiediamo a Lidi cosa ha guidato le scelte musicali:
“In quasi tutti i miei spettacoli c’è una canzone riconducibile agli anni di Eternità, che in parte giustifico con il divertimento personale, con il desiderio di utilizzare le canzoni che fanno parte del mio vissuto e che da bambino ascoltavo d’estate al mare, seduto sul dondolo, mentre fantasticavo e nella balera accanto gli anziani ballavano. Quando leggo i testi, i classici specialmente, il mio cervello va lì. Eternità era una canzone che sapevo prima o poi avrei trovato il modo di utilizzare e qui l’ho trovato. C’è poi la volontà di condividere una base popolare, che è quella che a mio avviso il teatro non deve mai dimenticare per non diventare un luogo elitario. Il brano di Paul Anka è invece tematicamente legato al lavoro del pedagogo, del bambino, del musicista.
Quando si parla di tragedie, la musica è, secondo me, molto importante, nella misura in cui ci consente di esternare il dolore e talvolta alleviarlo”.

Giasone, interpretato da Nicola Pannelli, è verosimilmente un uomo che ha smesso di desiderare sua moglie ed è attratto da una donna più giovane, non è un malvagio. In fondo, non ci sono malvagi in questa tragedia. L’amore è rappresentato nella sua dimensione più crudele, ma richiede da parte nostra una sospensione del giudizio.
“Infatti, non ce n’è bisogno – sottolinea Notari – Certo l’ultimo gesto di Medea è di per sé ingiustificabile, ma la si può comprendere. Si può comprendere una donna, una persona così sofferente e si può sospendere il giudizio”.
“Il giudizio è un’altra cosa tipica della contemporaneità – interviene Lidi – Io penso che se questi testi, questi spettacoli riescono a incontrare il favore del pubblico è perché partono dalla convinzione che il teatro non è un tribunale, a differenza di Facebook, ad esempio, dove proliferano tagliatori di teste pronti a condannare chiunque al primo errore. Il teatro è un luogo dove l’umano viene preso in considerazione, dove viene guardato e ascoltato anche quando compie nefandezze. I personaggi più grandi del teatro non sono mai né buoni né cattivi, perché il teatro è il luogo dove si ascolta e si guarda, dove si condividono le emozioni.

Il teatro di Lidi mette dunque in scena l’umano. Non ha bisogno di eroi. “E neppure di atleti, che è un’altra cosa che io condanno – conclude il regista – Mi viene talvolta criticato l’uso dei microfoni. A me piace condividere le anime di questi personaggi e non la forza, non i muscoli dei loro interpreti. La vera capacità di un attore e di un’attrice non risiede, secondo me, nelle sue abilità fisiche, ma è quella di sapere mettere la propria anima al servizio del teatro. Ad esempio, io non ho avuto il minimo dubbio nella scelta di Orietta per interpretare Medea, perché Orietta ha una capacità, una generosità così nobile rispetto alla sua anima che può arrivare anche a farci tremare dalla paura”.

Qual è la difficoltà più grande per Orietta Notari nel vivere ogni sera l’esperienza di Medea, che è una grande e dolorosissima esperienza d’amore? “È quella di arrivare a un’emozione sincera – ci risponde – Sì, arrivarci ancora prima di entrare in scena, e lavorare con quella. Per poter raccontare quella storia, che è una storia anche nostra”.

MEDEA
da Euripide
traduzione Umberto Albini
regia Leonardo Lidi
dramaturg Riccardo Baudino
con Orietta Notari, Nicola Pannelli, Valentina Picello, Lorenzo Bartoli, Alfonso De Vreese, Marta Malvestiti
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Aurora Damanti
suono Giacomo Agnifili
Teatro Stabile Torino – Teatro Nazionale

Durata: 1h 40’
Applausi del pubblico: 3’

Visto a Moncalieri (TO), Fonderie Limone, il 7 aprile 2024
Prima nazionale

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