Sul podio Michele Gamba che, dopo i successi con Mario Martone e al Metropolitan, è tornato al Teatro alla Scala
Ancora una volta la nostra curiosità di melomane incallito ci ha spinto al Teatro alla Scala per assistere, per la prima volta, alla “Médée” di Luigi Cherubini, un’opera di cui avevamo solo ascoltato alcuni brani interpretati da Maria Callas.
L’opera più celebrata, fra le 36 del compositore fiorentino, è chiaramente ispirata al famoso personaggio della tragedia greca, tramandatoci non solo da Euripide ma, nel corso dei secoli, rivisitato, tra gli altri, anche da Seneca e Corneille. L’opera fu presentata per la prima volta a Parigi il 13 marzo 1797 al Théâtre Feydeau in forma di opéra-comique con i recitativi parlati.
Maria Callas, nel ‘900, ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia nella versione italiana con i recitativi di Franz Lachner, con le memorabili esecuzioni del 1953 sotto la direzione di Leonard Bernstein, e del 1961 con quella di Thomas Schippers.
E’ la prima volta che il Teatro alla Scala ospita, nel suo cartellone, “Médée” nella sua originale versione di opéra-comique in francese. Il libretto fu scritto in versi alessandrini da François-Benoit Hoffmann. Musicalmente “Médée” è un’opera figlia del classicismo del suo tempo, che si pone come tramite tra Gluck (con un occhio, secondo noi, anche alla divina “Clemenza di Tito” di Mozart) e l’opera ed il sinfonismo ottocentesco di Beethoven e Brahms, che apprezzarono molto la musica di Cherubini.
L’autore dell’allestimento scenico, Damiano Michieletto, con originale intuizione, e drammaturgicamente aiutato da Mattia Palma, sostituisce i ridondanti versi dei recitativi di Hoffmann con nuovi dialoghi (che ascoltiamo registrati) offerti ai figli di Médée, che esprimono, sussurrando, le rispettive emozioni: il risentimento per la nuova famiglia, voluta dal padre Jason, e l’amore indiscusso per la madre, concepita poi come donna dai magici poteri. I bambini sono infatti, come vedremo, i protagonisti di questa particolare regia scaligera di grande suggestione.
Scenicamente, a fare da sfondo a tutta l’opera è un elegante ed enorme salone, arredato solo un grande sofà: è la magione borghese di Creon, il padre di Dircé, la nuova promessa sposa di Jason che ha ripudiato Médée. Sul fondo, da una porta, intravvediamo la camera da letto dei figli di Medea, con la fedele governante Néris che li accudisce con amore.
La casa, insieme ai bambini, è protagonista di tutta l’opera, e il regista per ricordarcelo proietta all’inizio, su un velo bianco, in greco la scritta: “La casa non c’è più, la casa è distrutta”. Michieletto, con le scene del fido Paolo Fantin, trasporta dunque ogni “affetto” in un ambiente familiare, cercando di approfondire, in modo contemporaneo ma sempre fedele alla vicenda di riferimento, i sentimenti che attraversano i personaggi.
Da segnalare anche l’uso espressivo delle luci, dovuto a Alessandro Carletti.
Al centro del dramma vi è una donna ferita, tradita che, come tenera madre, per un momento ha abbandonato le sue arti magiche (durante la fremente e bellissima ouverture la vediamo materna e amorevole con tanto di carrozzina). La protagonista, suo malgrado, sarà costretta ancora ad utilizzare i suoi poteri stregoneschi per vendicarsi, in quanto donna, come accade anche nel film di Pasolini a lei dedicato, che è stata catapultata in un mondo assai diverso dal suo.
Michieletto ce la presenta all’inizio vestita con scarpe da tennis e agghindata con un misero vestito, così diversa dagli altri amici di Creon dagli abiti moderni color pastello, disegnati da Carla Teti.
Jason entra in scena trionfante con il cranio dorato dell’ariete, che lo caratterizza, da cui ha trafugato il vello d’oro, chiaro simbolo di potere e denaro, osannato come un dio dai presenti e che, per mezzo di quella conquista, è riuscito ad essere accettato nella nuova casa di Creon (che sia estraneo anche lui a quel mondo, lo si nota dal suo chiassoso, improbabile, vestito) di cui ha sposato la figlia, che è sinceramente innamorata di lui.
Médée arriva a guastare le feste del fidanzamento di Jason e Dircé irrompendo, ad un certo punto, nella casa di Creon, gettando pietre sul trofeo dorato, mentre i suoi figli, prima recalcitranti con il padre e il nonno, l’abbracciano.
Poco dopo, sul muro del salone, compare la scritta “Maman vous aime” che verrà poco alla volta sfregiata e sulla quale, nel terzo atto, si apriranno delle crepe.
Michieletto dissemina il risentimento della donna maga attraverso segni semplici ma di effetto: davanti alle ramazze del coro degli astanti che intendono bruciarla, dalla porta di fondo fa emergere tra i fumi una specie di carrozzina malefica che li terrorizza; poco dopo la furia della protagonista si abbatte sui giochi dei figlioletti, dopo aver acceso un cerchio di fuoco.
Il terzo atto è interamente dedicato ai suoi tormenti, con la famosa aria “Du trouble affreux qui me dévore”, tormenti che alla fine tuttavia non la faranno desistere dai suoi propositi funesti: il dono malevolo di una corona alla rivale e l’uccisione dei figli.
Alla fine Michieletto, come un vero e proprio terremoto, farà piovere dall’alto la maledizione di Médée, sotto la forma devastatrice di sassi, con tutti i personaggi che disperatamente vi si perdono dentro.
La morte dei bambini è narrata attraverso un video in bianco e nero in cui si vede Médée nella camera da letto somministrare loro uno sciroppo avvelenato che li farà morire nel sonno, come accadde per i sei figli di Goebbels, mentre il padre Jason picchia inutilmente i pugni sulla porta chiusa della camera.
Il regista, ancora una volta, riesce in modo profondo e appassionato a rendere viva e contemporanea un’opera del passato, ricordandoci che il melodramma non è un museo in cui rinchiudersi, ma ha dentro di sé una forza sempre viva e presente.
Nella nostra replica la parte musicale ha visto subentrare, nel ruolo della protagonista, all’indisposta Marina Rebeka, Claire de Monteil, che ha superato brillantemente la prova, pur dovendo esibirsi all’improvviso e in una parte così altamente impervia. Il soprano francese è riuscito nell’intento di esprimere con il canto tutta la forza tragica insita nel personaggio, tra l’amore per i figli e il suo desiderio di vendetta.
Martina Russomanno è una Dircé di altrettanto risalto, che si esprime in modo confacente già dal primo atto, indecisa tra amore gioioso e paura del futuro, con il suo “Hymen! Viens dissiper une vaine frayeur”, gareggiando con il suono melodioso del flauto.
Molto brava anche Ambroisine Bré come Néris, a cui Cherubini regala un’aria sola ma meravigliosa: “Ah! Nos peines seront communes”, accompagnata dal lamentoso fagotto concertante, in cui esprime benissimo tutta la sua vicinanza alla protagonista.
Meno convincenti ci sono sembrati gli interpreti maschili: Stanislas De Barbeyrac come Jason, e ancor meno ci è piaciuto Nahuel Di Pierro, senza nerbo e autorità nel ruolo di Creon.
Tenerissimi e sempre in parte invece i piccolissimi attori Thomas Nocerino e Elisa Dazio, a cui fanno da contraltare i dialoghi parlati di Timothée Nessi e Sofia Barr.
Michele Gamba dirige la partitura di Cherubini dandole sempre i giusti accenti, a partire dai pezzi orchestrali, e infondendo già alla bellissima ouverture in forma di sonata tutta quella forza intrinseca che sa avvicinarci da subito alla tragicità dell’opera. Nel terzo atto accompagna in modo perfetto tutti i sentimenti contrastanti che divorano Médée (come il già citato “Du trouble affreux qui me dévore”) sino alla sua scelta estrema, dopo aver ucciso i figli, di incendiare ogni cosa (“Plus hereuse que toi, je vais dans les enfers”), accompagnandola con suoni sincopati di grande risalto emotivo.
Di pari passo è stato magnificamente in sintonia anche il coro diretto da Alberto Malazzi, sia nel suo essere festoso per le nozze di Dircé (“Fils de Bacchus, descend de cieux”), sia invaso dal terrore nel finale: “O Dieux, secourez nous! O foudre vengeresse!”.
Médée
Luigi Cherubini
Opéra in tre atti
Libretto di François-Benoît Hoffman
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Nuova Produzione Teatro alla Scala
Direttore MICHELE GAMBA
Regia DAMIANO MICHIELETTO
Scene PAOLO FANTIN
Costumi CARLA TETI
Luci ALESSANDRO CARLETTI
Drammaturgia MATTIA PALMA
Cast:
Médée Marina Rebeka (14, 17 gennaio e 26 gennaio 1° atto)
Maria Pia Piscitelli (20 gennaio)
Claire de Monteil (23 gennaio, 26 gennaio 2° e 3° atto, 28 gennaio)
Jason Stanislas de Barbeyrac
Créon Nahuel Di Pierro
Dircé Martina Russomanno
Néris Ambroisine Bré
Confidantes de Dircé Greta Doveri, Mara Gaudenzi
Si ringrazia il FAI – Fondo Ambiente Italiano per la gentile concessione di Villa Necchi Campiglio per le riprese della stanza dei bambini
durata: 2 ore e 35 circa incluso intervallo
Visto a Milano, Teatro alla Scala, il 28 gennaio 2024