Con Michele Santeramo, che è stato tra gli esponenti della “meglio gioventù” della nostra drammaturgia, ci soffermiamo oggi, soprattutto dal punto di vista delle emozioni e delle suggestioni, sulla grave situazione culturale e sociale venutasi a creare con la diffusione del Coronavirus.
Dopo aver fondato con Michele Sinisi la compagnia Teatro Minimo, per cui scrive “Accadueò”, “Vico Angelo custode”, “Murgia”, vincitore Generazione Scenario 2003, Santeramo si impone nel 2011, conquistando il Premio Riccione, con il testo “Il Guaritore” e successivamente nel 2013 vincendo il Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT) e nel 2014 il premio Hystrio alla drammaturgia.
Pubblica nel 2014 il romanzo “La rivincita”, edito da Baldini e Castoldi, poi in scena con la regia di Leo Muscato. Nel 2015 il Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale Pontedera della Fondazione Teatro della Toscana produce lo spettacolo “La prossima stagione” e nel 2017 “Il Nullafacente”, che lo vede anche in scena come protagonista, per la regia di Roberto Bacci. Nel 2018 scrive e interpreta “Leonardo da Vinci, l’opera nascosta”. Solo per citare alcuni dei suoi lavori.
Come stai passando questo tempo sospeso?
Sto lavorando molto, con gente che mi entusiasma.
Tre cose che stai facendo e consiglieresti di fare?
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”. Così Pavese. Sto cercando di dare senso a questa meraviglia.
Tre libri, tre film, tre musiche che suggerireste per questo periodo.
“Il Barone rampante”, “Triste solitario y final”… in quanto a libri. Per i film: “La sottile linea rossa”, “Barry Lindon” e “Manchester by the sea”. In quanto a musiche, non pezzi ma musicisti: Paolo Conte, Glenn Gould, Mingus.
Come giudichi un tuo testo visto in streaming?
Sono scritti per un altro contesto. Se si vuole che il teatro occupi la rete forse si dovrebbe scommettere su linguaggi nuovi: non credo si possa prendere un testo teatrale e farlo funzionare senza presenza fisica di attori e spettatori. Bisognerebbe forse scrivere e ripensare tutto per quel mezzo, se lo si vuole fare, e accettare tutta la sfida.
Tre parole che avranno meno significato, tre che muteranno di significato e tre che avranno più significato.
Meno significato: consapevolezza, scelta, libertà. Perché sono parole che per essere riempite di senso vanno frequentate ogni giorno.
Muteranno: passeggiata, territorio, comunità. Perché ne riscopriremo forse la bellezza appena fuori dalla ripetizione dell’abitudine.
Più significato: violenza, sopravvivenza, egoismo. Perché temo siano le cose che, in embrione, ci stanno abitando adesso.
Quali sono le cose positive che potremmo imparare da questa situazione?
Forse possiamo conoscere meglio i sentimenti di cui siamo fatti. Se siamo stati sufficientemente zitti in questo periodo, probabilmente abbiamo avuto modo di frequentare un po’ più del solito quel che siamo più profondamente. Credo che alla fine di tutto questo chi era buono sarà più buono, chi era generoso sarà più generoso, chi era stronzo sarà più stronzo.
Prova a scrivere un breve racconto, di poche righe, che potrebbe contenere suggestioni per come ricostruire in modo migliore il mondo che abbiamo lasciato alle spalle.
Come va?
Ti interessa?
Sì.