Michieletto vince un’epidermica corruzione con L’ispettore generale

L'ispettore generale di Michieletto
L'ispettore generale di Michieletto
I protagonisti dell’Ispettore di Michieletto (photo: Serena Pea)
Provincia ladrona. Così come il suo sindaco, l’ufficiale delle poste, il giudice, il provveditore scolastico, il sovrintendente alle opere pie.

La strada è sporca, si frusta la moglie di un sottoufficiale, l’Ospedale della Pietà non cura i malati, e i soldi per costruire la Chiesa della Carità sono finiti chissà dove.

Ogni forma di potere, nella piccola Russia zarista de “L’ispettore generale” di Nikolaj Gogol, è corrotta, mendace, profittatrice.

Un quadretto all’ordine del giorno facilmente cavalcabile, come ha fatto con colore e ironia, rimanendo in questo fedele all’autore, il regista veneziano Damiano Michieletto nella sua rilettura.

Conosciuto per i suoi azzardi, ripetutamente chiamato giovane nonostante i suoi imminenti 40 anni, più volte definito come colui che con astuzia sta rinnovando il melodramma, Michieletto anche in questa produzione ha incalzato l’eccesso, arrivando sul finale all’apoteosi della pacchianeria. Che in questo caso ci sta tutta, beninteso; ed è pure stata ampiamente apprezzata dal pubblico dello Stabile del Veneto che lo ha coprodotto assieme allo Stabile dell’Umbria, sia da quello del Teatro Comunale di Treviso che ha ospitato le prime repliche fuori provincia.

L’epidermica corruzione che si infila dappertutto, in questa regia, ha la sua “stanza dei bottoni” in un bar. È il bar del paese, con la carta da parati rosicata, tristi luci al neon, qualche malinconica e tradizionale canzoncina russa (le scene sono di Paolo Fantin); un bar sempre operativo – tant’è che il sipario non si chiude nemmeno durante l’intervallo.

La vodka – come nella migliore tradizione russa – “ripara” ogni cosa, mentre la sporcizia si sente ma non si vede perché – come in tutte le migliori tradizioni  – è nascosta sotto il tappeto, guai a sollevarlo.  

Tra pubblico e privato non c’è soluzione di continuità, ogni cosa è un “affare” di famiglia. Il bar è infatti di proprietà del sindaco della città (Alessandro Albertin), un uomo ansioso, collerico, che si protegge dietro ai suoi Ray Ban taroccati, ed è gestito dalla moglie (una spassosa Silvia Paoli), donna dal feromone galoppante, stretta nell’abitino maculato e sgangherata sulle zeppe da night club, che rendono il suo incedere completamente fuori baricentro; e c’è pure la figlia (Eleonora Panizzo) un po’ sfigata, un po’ remissiva, un po’ fuori posto.

È qui che si gioca tutto, equivoco compreso. È qui che giungerà il presunto ispettore, calzato a pennello da Stefano Scandaletti, tanto temuto ma tanto sornione da trovare nella tentata corruzione, da parte di quella gente da bar, la facile risposta a tutti i suoi arlecchineschi problemi e bisogni, corrispondenti a: fame, sonno, denaro e divertimento.

Nel ritmo crescente dei cinque atti, tutto diventa una caricatura di se stesso. Le scene si rivestono della stessa tappezzeria, le luci diventano luminarie a intermittenza, la musica esplode nella peggiore minimal techno, e loro, i protagonisti (oltre ai citati, Fabrizio Matteini, Alberto Fasoli, Michele Maccagno, Alessandro Riccio, Luca Altavilla, Emanuele Fortunati) gabbati a loro volta e a loro insaputa, rimangono in mutande, incellofanati in un’istantanea che vede volatilizzare sotto i loro occhi ogni possibilità di “avanzamento di carriera”.

Ne “L’ispettore generale” di Michieletto tutto è volutamente in vetrina, diviso nella bidimensionalità di quanto arraffare e fino a quando farlo, inutile qualsiasi affondo, il passato si mangia il presente cosicché niente e nessuno può cambiare.
Da stasera fino al 2 marzo al Piccolo Teatro di Milano.

L’ispettore generale
di Nikolaj Vasil’evič Gogol’
personaggi e interpreti:
Anton Antonovič, Sindaco Alessandro Albertin
Anna Andreevna, sua moglie Silvia Paoli
Mar’ja Antonovna, sua figlia Eleonora Panizzo
Luka Lukič, ispettore scolastico – commissario di polizia – mercante Fabrizio Matteini
Ammos Fёdorovič, il giudice -mercante Alberto Fasoli
Artemij Filippovič, sovrintendente alle opere pie – mercante Michele Maccagno
Ivan Kuz’mič, ufficiale postale -servitore – mercante Alessandro Riccio
Pëtr Ivanovič Dobčinskij Luca Altavilla
Pëtr Ivanovič Bobčinskij Emanuele Fortunati
Ivan Aleksandrovič Chlestakov Stefano Scandaletti
Osip – moglie ispettore scolastico Pietro Pilla

adattamento drammaturgico: Damiano Michieletto
scene: Paolo Fantin
costumi: Carla Teti
disegno luci: Alessandro Carletti
regia: Damiano Michieletto

durata: 3h (con intervallo)
applausi del pubblico: 1’ 45’’

Visto a Treviso, Teatro Comunale Mario Del Monaco, il 9 febbraio 2014 


 

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