Giulia Odetto e il suo monte: la testardaggine dell’utopia

Photo: Andrea Macchia
Photo: Andrea Macchia

Lo spettacolo è stato presentato a Romaeuropa Festival, che lo coproduce insieme al Festival Mirabilia

Fortunatamente La Pelanda, nell’ex mattatoio romano di Testaccio, ha più palchi, altrimenti nessuno avrebbe voluto trovarsi nei panni dei tecnici di Romaeuropa Festival addetti a preparare la scena dopo “Il mio corpo è come un monte” di Giulia Odetto / Collettivo EFFE per “Ok boomer” di Babilonia Teatri, che debuttava a seguire.
Si sarebbero trovati a dover ripulire chili di polvere di roccia impastata con acqua, e a rimuovere qualche quintale di sassi. Il lavoro proposto dal giovane collettivo ha a che fare con questi elementi, la roccia, la carne, l’acqua, i suoni e la grana della loro materia.

“Il mio corpo è come un monte”, progetto vincitore di Powered by REf 2021, parte da una tensione incrollabile, una specie di imperativo utopico del desiderio: l’essere una montagna, «non come» una montagna, chiarisce la stessa Odetto al microfono, in apertura. «Proprio una montagna».

L’origine del desiderio non è scontata, ma per gli artisti del collettivo deve avere a che fare con una dimensione del tempo alternativa a quella quotidiana. Infatti nel lavoro è proprio in questa dimensione (in queste, si dovrebbe dire, una per ogni sezione del lavoro) che si è trascinati.
In scena, sulla destra è posta la consolle audio, dalla quale Giulia Odetto elabora live il suono; sulla sinistra una pista di rocce che dal proscenio arriva fino quasi al fondo, sagomata al millimetro dalla luce. Il fondo è uno schermo da proiezione, e in scena, insieme al corpo ruggente e nudo di Lidia Luciani c’è quello dinoccolato di Daniele Giacometti, scalzo, che fra le altre cose imbraccia la telecamera. Essa, quarta performer in scena, percorre il corpo di Luciani a distanze ravvicinatissime, rimettendo sullo schermo in fondo un corpo-orografia fatto di picchi-scapole, crepacci-labbra, pinete-pelurie, dietro i quali albe, tramonti e lune si succedono.

Ora, dalla sinistra del palco, Giacometti maneggia i grossi massi che cozzano in pieno microfono, e una tempesta di sabbia e polvere soffiata da un potente ventilatore investe quel corpo già picchiettato da un inflessibile gocciolio d’acqua, sotto un piombo di luce, in un drammatico parto orogenetico. Le pietre poi aderiscono alla sua schiena, sistemate con garbo, come a costruire una creatura interspecie (o interregna, per usare uno sgangherato neologismo), carne-pietra respirante, traspirante.

L’ossessione per una materia esplorata, sperimentata, si travasa, come dicevamo, nell’ossessione per un tempo che a quella materia è consustanziale: alla lentezza dinamica ma potenzialmente interminabile dell’esplorazione segue la tempesta delle rivoluzioni della terra, che scaricano tensioni geologiche nel boato di pochi secondi; alla pazienza quasi zen della composizione dei massi sul corpo, qualcosa come la ciclica ripetizione di una partitura che ritorna su sé stessa senza giunzioni (è sempre Lidia Luciani che la compone sul fondo, parallelamente allo schermo), una spirale che potrebbe far pensare alla liberazione delle rigide angolazioni della materia inanimata a favore della morbidezza di un corpo riconquistato alla flessibilità animale, e invece è forse nuovamente metafora di un tempo circolare che richiama sé stesso all’infinito. O, per tornare all’assunto iniziale, per ridursi nuovamente, come in un volontario ritorno al dettato di questo, una traccia che, riprodotta sul fondale, restituisce la sagoma di una ulteriore catena montuosa.

La molteplicità dei media, che trascolorano l’uno nell’altro e palleggiano quell’assunto, consente di costruire un ampio spettro di variazioni sul tema-desiderio espresso in apertura, senza recedere di un millimetro dal lineare, anzi puntiforme presupposto, declinandolo potenzialmente all’infinito, per guadagnare, nello scarto tra utopia e materia, la possibilità di uno stare al mondo nuovo, creato e maneggiato con vero ardore di libertà.

Il mio corpo è come un monte
di Giulia Odetto
con Daniele Giacometti, Lidia Luciani, Giulia Odetto
aiuto regia e drammaturgia Antonio Careddu
ambientazione sonora Lorenzo Abattoir
disegno luci Daniele Giacometti e Elena Vastano
con il tutoraggio di Filippo Andreatta
Progetto vincitore di Powered by REf 2021
coprodotto da Romaeuropa Festival e Mirabilia – International Circus & Performing Arts Festival
in partnership con Romaeuropa Festival nell’ambito di ANNI LUCE osservatorio di futuri possibili
In collaborazione con Carrozzerie | n.o.t
Co-realizzazione residenze Periferie Artistiche – Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio In network con ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini con il supporto di KOMM TANZ/PASSO NORD progetto residenze Compagnia Abbondanza/Bertoni in collaborazione con il Comune di Rovereto ospitato in residenza da Officine CAOS, Residenza ArteTransitiva con il sostegno di TRAC Centro di Residenza Pugliese – Coop. Crest Taranto
In collaborazione con OHT – Office for a Human Theatre
durata 55′
applausi 2′

Visto a Roma, La Pelanda, il 19 ottobre 2022
Romaeuropa Festival

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