Mittelfest 2016. Culture artistiche fra terra e fuoco

|Simone Cristicchi (photo: Giorgio Bulgarelli)
|Simone Cristicchi (photo: Giorgio Bulgarelli)

Ci sono festival che vivono in simbiosi con le città che li ospitano, senza paura di mostrarsi. Uno di questi è il Mittelfest, che si svolge a Cividale del Friuli colorando di sé tutta la città, popolandone anche i luoghi più nascosti. E’ un festival “all’antica”, dedicato ai paesi della mitteleuropa poiché vive in una città imbevuta di tre culture: l’italiana, la friulana e la slovena.
Qui convivono pacificamente insieme danza, marionette e burattini, concerti, teatro di ricerca e prosa, con un pubblico che accorre numeroso da tutta la regione e non solo.

Quest’anno il Mittelfest ha compiuto 25 anni e ha scelto come sottotitolo: “Terra! e all’orizzonte i fuochi”: “Terra è l’elemento che ci offre le sue risorse, il nutrimento essenziale. Terra è la materia, cioè la madre: la nostra origine, la nostra sicurezza – scrive nelle note di presentazione al festival il direttore Franco Calabretto – Perciò sempre più necessario diventa occuparsi della sua manutenzione. Mentre all’orizzonte si accendono fuochi”.
Lo stesso fuoco che colora di rosso tutti i manifesti del Mittelfest; ma anche quello che covava dentro, come in un vulcano, a David Lazzaretti, personaggio complesso e multiforme a cui Simone Cristicchi ha dedicato il suo nuovo spettacolo, una delle primizie di questa edizione.

Cristicchi rappresenta una curiosa e fervida anomalia nel campo del teatro di narrazione italiano. Vincitore del Festival di Sanremo nel 2007, si è sempre insinuato, con la sua voce e musica, con estrema pervicacia e continuità nelle pieghe amare della nostra società, fin dal 2009 con i “Canti di miniera, d’amore, vino e anarchia”, realizzato con il coro dei Minatori di Santa Fiora; per non parlare del discusso e contestato “Magazzino 18”, scritto in collaborazione con il giornalista Jas Bernas e diretto da Antonio Calenda, sul dramma delle foibe e sull’esodo giuliano-dalmata.

Qui, in “Il secondo figlio di Dio”, ci riconsegna la memoria di un’esistenza del tutto speciale, quella del barrocciaio David Lazzaretti, conosciuto come il “Cristo dell’Amiata”, fondatore della comunità Giurisdavidica, ossia “Del diritto di Davide” che, con i caratteri di un socialismo mistico e utopistico, costruì sulle pendici del monte Labbro “La Società delle famiglie cristiane”, comunità utopica che metteva in comune i beni e dava il voto alle donne.  Accolta prima con favore dalla Chiesa, fu poi osteggiata, in sintonia con lo Stato, finché la mattina del 18 agosto 1878, al termine di una pacifica processione, Lazzaretti fu colpito a morte da un soldato, che Cristicchi immagina il narratore della storia.

Scritto con Manfredi Rutelli, le musiche dal vivo create con Valter Sivilotti, sempre per la regia del fido Antonio Calenda e con l’espressiva presenza del coro Ensemble Magnificat di Caravaggio, Cristicchi, interpretando efficacemente  i diversi caratteri presenti nello spettacolo, imbastisce un vero e proprio oratorio laico, in cui il carretto del barrocciaio diventa semplice e multiforme scenografia per rappresentare la vicenda umana di uomo così particolare.

Simone Cristicchi (photo: Giorgio Bulgarelli)
Simone Cristicchi (photo: Giorgio Bulgarelli)

La prosa, nel senso più classico del termine, è stata rappresentata, nei giorni in cui abbiamo seguito il festival, da “Play Strindberg”, per la regia di Franco Però, originale riscrittura di “Danza di morte” di August Strindberg per opera dello scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt, rappresentata per la prima volta nel 1969 in forma di incontro di pugilato.

Il dramma rappresenta in qualche modo l’archetipo teatrale dell’impietosa analisi di coppia, che avrà molto successo negli anni successivi, all’affermazione del drammaturgo svedese, con echi giunti sino ai nostri giorni. Basti pensare a “Chi ha paura di Virginia Woolf” di Albee o, cinematograficamente, a “Carnage” di Polanski, o ancora agli ultimi film italiani sulla disgregazione della famiglia.

Qui la pièce di Durrenmatt, nell’entrare nelle viscere del rapporto in decomposizione di due anziani coniugi, stempera i toni nerissimi di Strindberg colorandoli d’ironia, e avvalendosi dell’interpretazione di tre grandi attori come Maria Paiato, Franco Castellano, invecchiatosi per l’occorrenza, e Maurizio Donadoni.

Per la danza, nel parco del Convitto Nazionale, abbiamo visto “Primavera e Estate”,  primi due tasselli del progetto “Le quattro stagioni” su ideazione e coreografia di Roberto Cocconi e Marta Bevilacqua della compagnia Arearea, danzati sui celebri concerti di Vivaldi, ricomposti dal compositore tedesco Max Richter.
L’ensemble udinese ci dona, attraverso una danza di grande e suggestiva evocazione, due pezzi di rarefatta atmosfera, che si sposano in modo perfetto con la natura del parco. Soprattutto il secondo, dedicato all’estate, ci ha davvero ammaliato: qui il famoso temporale, magnificamente espresso dalla musica vivaldiana, con l’aria impetuosa originata da due potenti macchine del vento, infonde una vitalità davvero originale alla coreografia.

Molto stimolante ci è sembrato anche il progetto “Il Sapore della terra”, che con la regia e  il coordinamento di Claudio de Maglio ha visto misurarsi in quattro performance itineranti altrettante accademie teatrali europee: la polacca National Academy of Dramatic Art Varsavia, la russa Boris Shchukin Theatre Institute, la Scuola Teatro del clown svizzero Dimitri (che ci ha da poco lasciato) e la National Academy of Theatre and Film Art “Krastyo Sarafov” di Sofia, che si sono confrontate con gli allievi del 2° e 3° anno della Civica Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe.

E’ stato corroborante vedere tanti giovani misurarsi in modi diversi con le armi del teatro facendoci sperare ancora una volta che l’arte da noi così amata e difesa possa avere un futuro.
Abbiamo assistito ad un vero e proprio viaggio teatrale attraverso tecniche assai diverse tra loro, che ben rappresentano i vari modi con cui ciascuna scuola si propone, esprimendo nel contempo lo spirito di ogni nazione, terminato con un rituale simbolico che ha visto la piantagione di alcuni alberi, nati in quei diversi Paesi.
Nello spirito del festival la manifestazione si è conclusa in musica nella grande piazza che accoglie il Duomo. Accanto a celeberrime pagine di Čajkovskij, de Falla, Stravinsky (“L’uccello di fuoco”), l’Orchestra Filarmonica di Lubiana diretta da Nir Kabaretti ha eseguito l’inedita partitura del compositore pordenonese Cristian Carrara, “The Waste Land”, tratto dall’omonima opera di Thomas Stearns Eliot. Un concerto che ha ulteriormente dato modo di riflettere sul tema proposto e sullo spirito di quest’edizione del Mittelfest, con un pensiero già al futuro e al prossimo elemento: l’Aria.

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