Il secondo weekend di luglio regala bel tempo alla Brianza, e un folto pubblico fa da cornice alla XII edizione de Il Giardino delle Esperidi, quest’anno più che mai in sinergia con natura e paesaggio.
Doveroso il tributo iniziale a Shakespeare nel quarto centenario della morte. “La tempesta”, suo canto del cigno, si presta all’ambientazione naturalistica scelta da Teatro Invito, Piccoli idilli e Campsirago Residenza, le tre compagnie del circondario, che operano sulla falsariga del recente successo di “Sogno di una notte di mezza estate”. Una rappresentazione itinerante, il pubblico dentro lo spazio scenico, l’interazione con il bosco e la sua flora incontaminata. Una favola pastorale avulsa dal tempo “La tempesta”, collegata al presente attraverso temi universali come il potere, la colpa, l’amore, il confronto con lo straniero.
Le numerose scene corali sfruttano le possibilità dello spazio architettonico e sono esaltate dal contesto naturalistico. All’imbrunire, i costumi diventano più festosi e variegati, mentre l’accompagnamento musicale di strumenti a percussione asseconda la verve registica di Luca Radaelli coadiuvato da Michele Losi. Un progetto-mosaico intrigante, con la difficoltà di armonizzare in tempi brevi le anime eterogenee delle compagnie, e i disparati livelli d’abilità attoriale e canora.
Il collaudato “Esodo” della Confraternita del Chianti apre uno squarcio su una delle tragedie a lungo sottovalutate del XX secolo, quella delle foibe e della diaspora degli italo-istriani dopo l’8 settembre.
Diretto da Marco Di Stefano, un ispirato Diego Runko giostra tra quattro lingue – italiano, sloveno, croato, inglese – svelandone la musicalità intrinseca, l’inflessione, il ritmo più o meno incalzante, estrinsecazione del diverso temperamento dei rispettivi popoli.
I violini di Lorenzo Brufatto creano una lieve liturgia del suono, che svela delicatamente la psicologia dei personaggi narrati. La drammaturgia di Chiara Boscaro interroga lo spettatore senza fornire risposte, né imporre letture politiche di parte.
Brioso e originale “Every brilliant thing – tutte le cose per cui vale la pena vivere”, nuova produzione di Tri-Boo in collaborazione con Teatro Sotterraneo.
Vivacità e humour venano il testo del britannico Duncan Macmillan. Inappuntabile Michele Panella nella traduzione e nella messa in scena, mentre una Daniela D’Argenio Donati versione mattatrice coinvolge ripetutamente il pubblico, trasformando il cortile di Palazzo Gambassi in palcoscenico, gli spettatori in attori e coro classico. Abilissima a trovare la spalla ideale in mezzo al pubblico, l’attrice si lancia in un gioco interattivo e metateatrale garbato, solo a tratti esasperato.
La pièce ripercorre la vita di una donna attraverso le prove di suicidio della madre. Tema angosciante, se non fosse che questa gemma di drammaturgia contemporanea emula i tragediografi greci nella ricerca della catarsi, evidenziando le infinite ragioni per cui vale la pena vivere. D’Argenio Donati è un’ironica Amelie vintage, che sdrammatizza il topos del suicidio senza mai banalizzare.
Al giro di boa, il piatto forte di Esperidi 2016 è la tenzone poetica, “A cosa serve la poesia (canti per la vita quotidiana)”, sul retro di Palazzo Sirtori a Olginate.
Le voci di Gianluigi Gherzi e Giuseppe Semeraro duettano amabilmente, snocciolano versi leggeri alla maniera di Palazzeschi, a rappresentare momenti di vita quotidiana: da quelli più ordinari (lo svegliarsi, il cibarsi, l’incontrarsi, il riconoscersi) a quelli onirici dell’amore, del mistero e del sogno. Con una finestra su istanze più impegnate: il lavoro che manca, la difficoltà di procurarsi il necessario per vivere. Fanno capolino drammi contemporanei come l’immigrazione. Sullo sfondo, emerge la dimensione del poeta dal talento mai abbastanza riconosciuto o pagato, di una cultura spirituale reietta dai contabili del sapere pratico. Sono storie d’ordinaria solitudine che si guardano da lontano; la Milano di un Gherzi fanciullesco; il Salento terra di frontiera, di un Semeraro assorto e intimista. Voce squillante Gherzi, geometrico e visuale; voce vellutata Semeraro, capace di rarefazioni introspettive.
Un ponte emozionale unisce la penisola attraverso tonalità graffianti, alternate a gradazioni chiaroscurali. Le parole scivolano attraverso una paratassi nitida, senza languori descrittivi o ridondanze aggettivali o avverbiali. È poesia, è teatro, esaltato da una sinergia amicale tenue, così diversa dal ritmo reboante di molti (sedicenti) poeti contemporanei. Questo spettacolo è tante voci insieme: gesti custoditi nel tesoro che è la voce, capace di molteplici escursioni esistenziali senza un briciolo di (auto) commiserazione.
Il lungo weekend che chiuderà il festival inizia oggi a Olgiate Molgora con “My Place” di Qui e ora residenza teatrale. Tre corpi nudi esprimono il concetto di casa, con ironia visiva tipicamente femminile.
Sabato 16, dopo la presentazione del libro “TeatroNatura – Il teatro nel paesaggio” di Sista Bramini, con la performance “Atteone e la verità dis-velata” (alle 17), ecco l’atteso “Wolf Safari” del collettivo finlandese Other Spaces con “Wolf Safari” (alle ore 21 a Villa Sirtori, Olginate), lunga performance partecipativa errante che esplora il mondo dei lupi e i loro comportamenti.
Nello stesso arco temporale, due eventi si succedono a Palazzo Gambassi a Campsirago: “Carne” della compagnia Frosini/Timpano, acuminata contesa matrimoniale tra un carnivoro e una vegetariana (alle 21); e poi “Esilio”, della Piccola Compagnia Dammacco, che racconta la disarmante e surreale privazione d’identità di un uomo che ha perso il lavoro (ore 22.30).
Epilogo domenica 17 luglio a Olgiate Molgora. Nella Sala Civica, alle 16.30, Riserva Canini sarà in scena con lo spettacolo per ragazzi “Little Bang”, traccia un’ipotesi immaginaria di come tutto abbia un inizio e una fine, partendo da suggestioni infantili fatte di gesti, suoni, materie e colori.
Sipario alle 19 al Mulino Tincati, con O Thiasos TeatroNatura in “Tempeste – Trilogia della rinascita: l’olivo, il vino, le pietre”, ispirato alle “Metamorfosi” di Ovidio. Si raccontano miti di catastrofi e rinascite, con accompagnamento di canti tradizionali. Sista Bramini invita a riflettere su un nuovo modo di vivere: riscoprendo il piacere di riunirsi intorno a storie antiche, eppure sempre nuove da raccontare.