Più critica che pubblico a questa prima nazionale di “Muerte y reencarnación en un cowboy”, spettacolo debuttato a Rennes nel 2009 e arrivato a Torino in occasione di Prospettiva2. Una proporzione impietosa che offrirebbe diverse riflessioni (a cui daremo magari spazio in un’altra occasione) sul senso del teatro contemporaneo, oggi. O, forse, potrebbe anche manifestare una condizione tipicamente torinese. Ma ora non ce ne vogliamo preoccupare.
Per questo, nel decifrare i connotati della messa in scena sul palco del Teatro Carignano, decido di pormi dalla parte dello spettatore “normale”, di colui che addetto ai lavori non è, di colui che, nell’inseguire i molteplici incontri, conversazioni ed aperitivi dell’amico a cui si accompagna per la serata (presenza di “peso” su Klp), si sente ancor meno parte del gioco.
Un sospiro di sollievo, quindi, arriva nell’annullarmi completamente fra le poltrone della platea in balia dei nostri eroi, i due cowboy protagonisti (Loriente e Navarro) di questo nuovo lavoro etichettato Rodrigo Garcia e La Carniceria Teatro.
Distorsione di chitarre, un toro meccanico da idolatrare come un vitello d’oro.
Due cowboy ci presentano il loro repertorio di azioni casuali: schegge impazzite che camminano, corrono, cadono, si rialzano, si accoppiano e si azzuffano in un rituale semicomico di pura demenzialità. L’evidente stato confusionario è lo specchio di una nuova frontiera della contemporaneità. Danza, feedback di chitarre, strumenti etnici, culture orientali, animalismo ed antianimalismo convergono ed implodono, coesistono in apparenza ma collidono nei fatti, virando nel grottesco di una civiltà occidentale rimasta in mutande.
La successione di entrate e uscite di scena apre a nuove dimensioni, in una commistione indecifrabile di finzione e realtà. Pulcini (o quaglie?) vanno a riempire una teca di vetro dove, poco più tardi, farà la sua comparsa anche un altro ospite (un marchio di fabbrica quello di García per gli animali). Non succederà nulla di tragico, comunque; la produzione assicura che tutto andrà per il meglio e, bisogna dire, si tratta di una scelta che non aggiunge nulla alle sorti dello spettacolo.
Lo sconclusionato avvicendarsi di scena e schermo riproduce la frammentata schizofrenia del presente, o meglio del presente che si barcamena nell’inventarsi un possibile (ed improbabile) imminente futuro. Un avvenire in cui il cowboy si trova a dominare il toro meccanico davanti a un fondale tutto deserto, colline rocciose, sole del Texas e suggestione.
La parola, prima assente, comincia a prender vita passando anche per un goffo tentativo di bondage alla lingua, che rende il senso di una comunicazione incomprensibile, mutilata dalle convenzioni. Ma è una volta slegati i lacci e aperte le birre che i due cowboy possono finalmente concedersi allo strabordante torrente di bizzarre “analisi sociologiche”: – Come si misura la felicità di una relazione? In base all’ordine con cui alternare ristorante giapponese e sesso -. La cinica trasformazione della risata, il suo opportunistico utilizzo, la sua pericolosa deriva verso il falso. Un lungo elenco di concetti elargiti come una sorta di “filosofia con cappellone a tesa larga e stivaloni”.
La spettatrice seduta accanto a me, addetta ai lavori anche lei naturalmente, lamenta che Garcia ripete da dieci anni lo stesso spettacolo. E non ha tutti i torti. Seppur nella seconda parte il lavoro si mostri più interessante, ci si aspetterebbe senz’altro di più.
Da suggerire a chi Garcia non l’ha proprio mai visto.
MUERTE Y REENCARNACIÓN EN UN COWBOY
di Rodrigo García
con: Juan Loriente, Juan Navarro, Marina Hoisnard
luci: Carlos Marqueríe
direzione tecnica: Roberto Cafaggini
tecnico del suono: Vincent Le Meur
road manager: Diego Lamas
direttore di produzione: Jean Pierre Timouis
produzione: Teatro Nacional de Bretaña – La Carnicería Madrid (Spagna)
durata: 1h 22’
applausi del pubblico: 1’ 24”
Visto a Torino, Teatro Carignano, il 19 ottobre 2010