La loro durata, la lingua, il modo di porsi degli attori sul palcoscenico conferivano ogni volta all’incontro un alone misterioso di sacralità.
Oggi, che le sue creazioni percorrono le stagioni italiane in lungo e in largo, l’abitudine ha in qualche modo appannato quello sguardo con la destrutturazione dello stile – quasi sempre di altissimo livello – con il quale il Maestro ci porge i suoi spettacoli. E ciò ovviamente ci trascina a scorgere in quanto vediamo una specie di “maniera”, che soprattutto nelle creazioni che non consentono sottotesti immaginifici (per esempio l’Idiota) danno risultati, a nostro modo di vedere, meno eclatanti.
Non così ci è parso per il “Caligula”, da poco presentato a Vicenza.
Al Teatro Olimpico, spazio già di per sé ricco di suggestioni, abbiamo assistito alla sua regia del capolavoro di Albert Camus. Iniziamo col dire che quando ci mettiamo in contatto con questo testo rimaniamo sempre conturbati per la sua estrema bellezza, soprattutto se pensiamo alla poca fortuna che gli altri testi teatrali di Camus hanno avuto, almeno in Italia.
”Caligula”, scritto nel 1938 sull’onda della sua adesione all’esistenzialismo, andò in scena per la prima volta nel 1945 al Théatre Hébertot di Parigi, portato in scena da un giovanissimo Gérard Philipe. In Italia è famosa l’interpretazione (quasi tautologica) di Carmelo Bene, al quale Camus concesse i diritti in cambio di un biglietto alla prima, a cui non poté per altro assistere.
L’edizione vista a Vicenza è prodotta dal Teatro delle Nazioni di Mosca ed è stata appositamente riallestita per l’Olimpico (di cui Nekrosius è attuale direttore artistico) con l’interpretazione dal grande attore russo di cinema e teatro Evgenij Mironov.
Caio Giulio Cesare Germanico, meglio conosciuto con il soprannome di Caligola (affibiatogli dai soldati del padre Germanico e derivato dalla “piccola caliga”, la calzatura da legionario che indossava) fu il terzo imperatore romano ed è universalmente noto per la sua eccentrica crudeltà.
Camus trasforma questa sua essenza facendone un eroe romantico che vuole essere vicino agli Dei, anzi volendo essere egli stesso Dio, e tentando così di conseguire l’impossibile attraverso l’estrema libertà delle sue azioni. Azioni che, piano piano, lo porteranno però ad una specie di follia autodistruttiva, e a disfarsi anche delle persone che lo amano, come l’amante Cesonia e l’amico filosofo Scipione.
Con l’amico Scipione, che dovrà necessariamente abbandonare, Caligula intesse una specie di lotta danzata da cui traspare tutta la loro fraterna concordia. E poi c’è Cesonia, che segue il suo amato sino alla morte, messa a tacere con infinita pena con una pietra sulla bocca.
Caligola esalterà il proprio desiderio di ergersi sopra a tutto e tutti, aspirando ad una bellezza che non può essere circoscritta dalle convenienze razionali, fino a possedere la luna che il fido Elicone, l’unico che lo comprende nella sua disarmante umanità, intende porgergli, a gridare il senso di schifo che tutto il mondo gli trasmette.
L’unica presenza solare che lo potrebbe salvare è quella della sorella Drusilla, morta tragicamente anzi tempo, e che con geniale intuizione Nekrosius fa rivivere in scena.
Alla fine questo anelito intriso di sangue porterà Caligola, consapevolmente ed inevitabilmente, ad andare incontro alla morte che Cherea e gli altri cortigiani gli hanno preparato.
Il testo di Camus, fortemente poetico, deve necessariamente essere accompagnato ad una recitazione altamente espressiva, oltrettutto per un pubblico che non conosce la lingua, anche se aiutato dai sovratitoli.
Nekrosius, conscio di dover allestire lo spettacolo in uno spazio del tutto particolare ed evocativo come quello dell’Olimpico di Vicenza, sceglie la via della semplicità accuratamente calcolata, dividendo la scena su due livelli. Caligola, il matto, l’eterno bambino, vestito quasi sempre di rosso, vive di teatralità dentro e in stretto connubio con le illusioni create dal Palladio, mentre i cospiratori, quando non sono in contatto con la sua luce, si muovono oscuri, in penombra, al di sotto di lui.
Evgenij Mironov e i suoi comprimari riescono nell’impresa di restituirci tutta la grande suggestione che le parole di Camus possiedono proprio perchè il regista lituano si affida semplicemente, quasi senza orpelli, alla loro gestualità, ai loro corpi che si scontrano, all’esaltata vocalità, in grado di rompere il possibile naturalismo, affinché possano diventare materia viva sulla scena.
Pietre, corde, sassi, vetri – pochissimi gli elementi scenici, ma altamente significativi – capovolgono e accecano, vivono autonomamente nella loro evidente e sempre diversa simbologia, mentre le musiche di Wagner e Bruckner, che accompagnano tutto lo spettacolo, gli imprimono quel senso di fatalità esasperata.
Il Caligula di Nekrosius si nutre soprattutto di questi semplici gesti, di queste piccole accortezze che amplificano teatralmente i sottotesti presenti in Camus, rendendo l’imperatore romano personaggio universale e contemporaneo.
CALIGULA
di Albert Camus
riallestimento per il Teatro Olimpico di Vicenza
regia: Eimuntas Nekrosius
disegno luci: Audrius Jankauskas
assistente alla regia: Tauras Cizas
direttore di scena: Evgenia Antoniuk
con: Evgeny Mironov e gli attori del Teatro delle Nazioni di Mosca
Visto a Vicenza, Teatro Olimpico, il 27 ottobre 2012