L’autore, oltre che praticare l’arte della scrittura e la regia, insegna teatro in questa nazione del Latinoamerica, il Cile, dalla storia ricca di sconvolgimenti recenti e quindi osservatorio privilegiato del cambiamento, ma anche testimone della fatica spesso enorme necessaria a favorirlo.
La trama di Neva racconta di una giornata particolare vissuta da tre personaggi in bilico fra dramma e situazione grottesca. A sei mesi dalla scomparsa di Checov, durante la celebre Domenica di sangue del 9 gennaio 1905, la moglie del drammaturgo, Olga Knipper, attrice del Teatro d’Arte di Stanislavskij, tenta di tenere in vita il teatro con due attori, proseguendo nelle prove de Il Giardino dei ciliegi nonostante i sanguinosi eventi che stanno avendo luogo a San Pietroburgo.
Ma la storia incombe e spalanca le porte di questo opprimente mondo chiuso, che cerca calore in una stufa accesa più che nella vicinanza umana, e che vive il contrasto di tre personalità diverse, una legata ai ricordi (la Knipper), una legata alla vecchia aristocrazia (l’attore Aleko) e una legata ai nuovi fermenti anarchico-rivoluzionari (l’attrice Masha).
La pièce introduce la necessità di una riflessione sul mondo esterno che diventa, nella visione del regista, una critica al teatro che si chiude in se stesso, impotente davanti ai cambiamenti del mondo, e destinato a soccombere, un po’ come l’idealista anarchica.
Abbiamo incontrato Calderón per facilitare una riflessione sui temi di questo suo lavoro e del teatro, e la chiacchierata è diventata presto un discorso ampio che, partendo dalla scena, è arrivato alla storia recente e all’economia, al senso di impotenza nella società globalizzata e alla pratica artistica.
La video-intervista, in inglese, è un punto di indagine, a nostro avviso significativo, per capire il linguaggio di questo gruppo e alcune questioni sul senso dell’arte nel nostro tempo.