“Caro padre, […] anche quando scrivo mi bloccano la paura e ciò che comporta, e più in generale perché la vastità dell’argomento supera la mia memoria e la mia intelligenza”.
(Franz Kafka, Lettera al padre)
Quanto resta delle turbe filiali dell’Edipo di Praga nell’ultimo lavoro di Barbara Altissimo?
Nulla (Sigmund Freud non ce ne voglia). Già, perché quella di Barbara – figlia di un padre noto più come politico che come imprenditore – è un’Elettra brillante, amabile, a tratti scanzonata, luminosa. Innamorata, ma senza morbosità. Un candore spirituale e d’incarnato, il suo, che si oppone saggiamente all’umbratile scenografia che le fa da sfondo. Un’Elettra che però, nel momento clou, si lascerà andare – angosciata – ad una corsetta a mano armata contro un invisibile nemico. È atterrita dalla paura questa Elettra. Dalla morte. Dalla paura della morte.
Non la sua, ma quella di un padre. Renato Altissimo, deputato e più volte Ministro, diventa infatti lo strumento, il pretesto, attraverso cui esplorare – come promesso dalle note di regia – «un distacco» (generico, universale, diremmo noi), che si verifica puntualmente tra ogni figlio e ogni genitore. Un appuntamento ineluttabile, insomma, che richiede “l’abito buono” delle grandi occasioni. Quello del teatro. Quello di un funerale.
Della vita dell’ex-ministro Altissimo (scomparso il 17 aprile 2015), esponente di spicco del Partito Liberale, rimasto poi coinvolto nello scandalo di Tangentopoli, la figlia rievoca le maggiori tappe “pubbliche”; tuttavia – e fortunatamente – quel che resta al centro è la relazione con un padre. Uno qualsiasi, che potrebbe essere chiunque. Il mio, il vostro, il suo. È l’idea di “paternità” a farsi spazio nella vicenda esemplare (cioè adottata a mo’ di exemplum) della famiglia Altissimo.
Barbara Altissimo, performer, coreografa, regista e naturopata formatasi tra Europa e Stati Uniti, ha riproposto il suo “Neverending” – dopo il debutto di novembre – all’interno della rassegna #CAOS2017, organizzata da Stalker Teatro a Torino.
Con lei in scena Ivana Messina, ora maestra di scuola, ora accompagnatrice musicale, ora conduttrice di un ironico e quanto mai tragico “Chi l’ha visto?”. Le corde della sua chitarra producono un leitmotiv particolare, tra il melanconico e il ritmico, che fan venire quasi voglia di stringersi tutti attorno a lei.
Nello spazio scenico (quello di venerdì 17 almeno, visto che – ci spiega la Altissimo – «il giorno successivo abbiamo fatto qualche spostamento per evitare ingombri») c’è una predominanza di vuoti. Sul nero diffuso si stagliano però due strutture interessanti: la prima è una bara bianca, una sorta di cassapanca color betulla, che in realtà subisce svariati processi di funzionalizzazione, venendo utilizzata dapprima come lettino balneare su cui piantare un ombrellone, poi come banco di scuola e infine come panca della corsia di rianimazione.
La seconda è l’altarino semicilindrico che incornicia la Messina, fatto di cromie accese, composizioni floreali e reliquie infantili. Una bella trovata, fra il kitsch e il cristologico.
Com’è nato questo lavoro? «Da un’esperienza forte, una delle più intense della vita. Dopo la morte di mio padre ho iniziato a fare lunghe camminate, anche di due o tre ore al giorno. Annotavo quanto emergeva dal profondo, dentro di me». A curare la drammaturgia è stata Emanuela Currao, alla quale Barbara Altissimo offriva i suoi racconti e appunti: insomma, “Neverending” nasce «da una condivisione: io portavo il mio materiale verbale ed emotivo ed Emanuela lo elaborava in una forma teatralmente efficace. Così, ad esempio, è nato il segmento della montagna, i tre step attraverso cui rievoco la mia genealogia, dall’avo al padre, passando per il nonno».
Tra le scene iconiche di questo lavoro ricordiamo innanzitutto quella della sala d’attesa all’ospedale: un momento drammatico volto al buffo, all’ironico. Su questa panca rotante si affollano tutte le donne di Altissimo, moglie, figlie, sorelle, cugine e amanti. È un “va e vieni” di parenti e congiunti, che debbono sedersi con cura per evitare beghe. E poi c’è la sequenza della pistola, vana arma per mettersi in salvo dalla Morte e da ciò che essa implica: «Si tratta della traduzione fisica dei miei movimenti emotivi, di ciò che provai quel giorno. Il vicino di letto di mio padre stava per morire, ma riuscì a restare aggrappato, sia pur in maniera flebile, alla vita. Ero contenta per lui, per la sua famiglia. Ma sapevo che la Morte era ancora lì in reparto, pronta a riscuotere una vita». Un personale “Elì, Elì, lemà sabactàni?” che Barbara Altissimo rende con uno stile sempre a metà tra il pregevolmente trasognato e l’eccessivamente spontaneo.
Nel complesso, dunque, un lavoro interessante, che oltre al rapporto padre-figlia, esplora anche il valore del teatro come strumento terapeutico, utile per la razionalizzazione delle proprie sofferenze: «Ogni volta che lo rimetto in scena, faccio un po’ più pace con quel momento». Possiamo allora definire “Neverending” come un diario di scena che, “vivendo la morte”, prova ad esorcizzarla, a superarla. Uno spettacolo «semplice ed essenziale» consegnato all’assorto dottor S(pettatore).
Quanto c’è dunque in questo “Neverending” della “Morte di mio padre” della “Coscienza” di Svevo? Forse, di nuovo, nulla. D’altronde, la domanda più pregna sta nell’Aldiquà, come scrive Altissimo: “Com’è la vita, papà? La vita è bella, Barbara…”.
NEVERENDING Partitura per un corpo che racconta e un corpo che accompagna
un progetto di Barbara Altissimo (Liberamenteunico)
drammaturgia Emanuela Currao
progetto musicale Barbara Altissimo e Ivana Messina
spazio scenico e disegno luci Massimo Vesco
messa in scena Barbara Altissimo, Emanuela Currao, Ivana Messina
in scena Barbara Altissimo e Ivana Messina
in collaborazione con Stalker Teatro / Officine CAOS
durata: 1h
applausi del pubblico: 3′ 48”
Visto a Torino, Officine CAOS, il 17 marzo 2017