Ninni Cutaia è un cretino? Di calcoli, leggi e come aggirarle (sempre)

Un'immagine del film "Ladri di biciclette" di De Sica
Un'immagine del film "Ladri di biciclette" di De Sica

Ninni Cutaia è un cretino?” non è solo un titolo ad effetto, ma la domanda che mi è venuta in mente sentendo le sue parole e vedendo come viene trattato, da noi operatori, il Direttore Generale dello Spettacolo dal Vivo del Mibact a seguito della riforma che ha proposto.
Ci fa o c’è?
O meglio: vogliamo continuare a trattare come un cretino chi è sopra di noi, evadendo ed eludendo la riforma, o siamo interessati che essa migliori? O che essa migliori il teatro?
Ci facciamo o ci siamo anche noi?

Per trent’anni abbiamo avuto la stessa riforma (al netto di “restyling” vari, come li chiama lo stesso Cutaia), e per trent’anni abbiamo rubato e mangiato alle spalle di quella riforma.

C’è qualcuno che può dire di non aver mai falsificato un C1? [Per i non addetti ai lavori, il C1 è il modulo della Siae in cui si scrivono il numero di spettatori e biglietti venduti. Da lì si capisce se hai pagato il minimo e su quello si basava la vecchia legge (e anche la nuova), sulle affluenze e sulle date realmente fatte. Era però pratica invalsa, tra gli addetti ai lavori, compilare moduli dichiarando più spettacoli di quelli realmente avvenuti, aggiungendo repliche pomeridiane, di lunedì, di mattina, presentando poi il modulo a spettacolo (falsamente) avvenuto, così da poter dire che invece di aver fatto 5 repliche ne avevi fatte 25, e perciò prendendoti i relativi soldi].
Oppure di aver chiesto i finanziamenti accrescendo il budget previsto (o il proprio contributo previsto)?
C’è qualcuno che può dire di aver sempre pagato la Siae (anche quella musicale), l’Enpals (o di averlo fatto sempre con busta paga e non a titolo gratuito)?
Erano questi, in sostanza, gli escamotage della vecchia legge, e probabilmente molte produzioni non si sarebbero fatte se non eludendola o evadendola.

Poi è arrivata “la grande crisi”. I famigerati tagli. Ecco quindi i lamenti degli ultimi anni: i finanziamenti sono sempre meno, lo Stato investe sempre meno nella cultura.
Ma siamo certi che, se tutti ci fossimo comportati come prescriveva la legge, non avremmo aiutato anche noi il nostro settore?
I soldi dei C1 falsificati avrebbero potuto esser distribuiti meglio, magari premiando di più chi veramente aveva lavorato…
I festival portati avanti con investimenti maggiori sarebbero stati forse più appetibili per il pubblico, più pubblicizzati e più interessanti per eventuali sponsorizzazioni?
Se avessimo inserito nel budget Enpals, buste paghe e Siae ogni volta, avremmo fatto tutte le date della nostra carriera? Ci sarebbero stati meno spettacoli? Ci sarebbe stato un “carico” minore sul pubblico e un rapporto economico differente con i teatri, gli operatori e le istituzioni?

La nuova riforma, come avevamo già ricordato qui, ha la vocazione di spingere gli operatori a cercare finanziamenti esterni, o comunque a tentare di non essere in perdita: la legge prevede infatti di coprire il 70% delle perdite future (previste). Semplificando: perdo 100 e lo Stato mi ridà 70. Concettualmente vuol dire: tu inizia ad investire, e per i primi tre anni noi ti copriamo una bella fetta della eventuale perdita.
Dopo che avrai investito 30 con una spesa effettiva di 100, allora probabilmente farai di tutto per non perdere più nemmeno i 30, ma soprattutto raccoglierai i frutti di un budget molto superiore a quello che ti potevi permettere di spendere (e di perdere).

E da qui la bufera dei teatranti, che pensano che chiunque sia sopra di loro sbagli e sia un cretino, anche il direttore generale dello spettacolo. E allora che si fa per sopravvivere? Lo imbrogliamo!
Ad esempio, come si fa ad essere dei magnifici “Centri di produzione”?

(N.B Per semplificare il discorso anche a chi è “fuori dal giro” i numeri verranno utilizzati a titolo esemplificativo, non rappresentando cifre reali, tuttavia le proporzioni rispettano la realtà).

Io ho un teatro, e viene da me una compagnia, a cui dico: “Ti pago io l’ex Enpals, oltre che pagarti con la percentuale degli ingressi lo spettacolo” (o addirittura, a Roma, fargli pagare il minimo garantito, come affitto mascherato del teatro). Perciò io pago 33 euro all’Inps (perché Enpals) e perciò ad essa risulta che ho pagato l’artista con una busta di 100 euro.

Cosa avviene nel concreto? All’artista propongo un’agevolazione, qualcosa in più del solito, cioè pagargli i contributi previdenziali. Ma essi dimostrano anche che io ho pagato tutta la busta paga all’artista. Così, in sede di richiesta di finanziamento, risulterà che ho speso molto di più e prodotto lo spettacolo.

Se attuo questo meccanismo per 1000 artisti dicendo allo Stato che spenderò 100.000 euro (invece realmente ne spenderò 33.000), lo Stato mi ridarà 70.000 (cioè il 70% della perdita che io ho previsto) e alla fine riuscirò ad “incassare” 37.000 euro.
La perdita contenuta (cioè i soldi che avrei dovuto investire e che invece non sono andati nel teatro, nella comunicazione, nei giornali, nelle poltrone belle, nel materiale tecnico, nei tappeti rossi o in qualsiasi altra cosa che avrebbe reso più confortevole per il pubblico e/o gli artisti il teatro) avrebbe dovuto essere di 30.000 euro, invece ne ho incassati 37.000.
Stando così le cose ho levato al teatro non solo i 30.000 che mi ero impegnato ad investire, ma anche i 37.000 che ho intascato senza investire veramente nulla. In tutto fanno 67.000 euro che non sono entrati nel giro economico del “mondo teatro”.

Io, che faccio tutto ciò, cosa penso? Probabilmente non credo di far male al teatro, anche se lo derubo per campare, e alla fine dimostro a me stesso che Cutaia è un cretino, ma senza rendermi conto che io non sono furbo, semmai un ladro.

L’attore, che cade in questa trappola, è un cretino anche lui? L’attore pensa: “Che fico, non pago l’Enpals!”, e mette magari anche il loghetto del teatro sulla locandina.
Ma fra trent’anni, alla prossima riforma, l’attore dirà ancora che lo Stato non investe nella cultura? Sicuramente sì, ma forse non si sarà accorto che molti soldi non sono stati investiti veramente, e non per colpa dello Stato.
Siamo sicuri che chi sta sopra di noi tenti di affossarci? Il dottor Cutaia è così “malvagio”? E gli artisti sono rivoluzionari? Ma soprattutto, la rivoluzione la si fa ora o quando ormai sarà troppo tardi?

L’operatore onesto, quello che non fa come me, cosa pensa invece di questo nuovo meccanismo? Pensa ancora che lo Stato dia pochi soldi? Che investe poco nella cultura? L’operatore onesto non si guarda intorno? Riesce ancora a far finta che gli altri non imbroglino? Riesce ancora a lamentarsi di non aver avuto i soldi che si merita, senza arrabbiarsi con chi li ha avuti senza meriti? Lui, l’operatore onesto, pensa che il dottor Cutaia sia un cretino? E di sé, pensa d’essere onesto o cretino? È onesto o colluso?

E infine, lei, dottor Cutaia, cosa pensa? Pensa davvero che in un mondo di ladri questa legge avrebbe risolto la questione?

Questo gioco di chiamare in causa direttamente Ninni Cutaia è un po’ per non prendercela genericamente con il “Sistema”, per capire se è più semplice colpevolizzare lui rispetto a noi.
Dovremmo semmai prendere qualcuno che è sul nostro stesso livello, qualcuno di reale e capire se solo lui ha delle responsabilità o anche noi, anziché addossarle a “qualcosa di intoccabile”, un “altro da noi”.
E soprattutto, invece di vedere “il potere” sopra di noi, cercando di sfuggire alle sue grinfie, non dovremmo parlare alle persone che ora rappresentano quel “potere”, così da rendere il nostro ambiente più vivibile?

In questo caso potremmo chiedere seriamente al dottor Cutaia molte cose. Ne lanciamo qualcuna:

Pensa davvero di poter andare a dire alla Commissione Cultura che, incentivando le produzioni degli under 35 (che lui stesso non ritiene più giovani, anche se sta a lui abbassare i limiti di età), gli Stabili spingeranno le produzioni delle giovani compagnie, magari andandosele a cercare?
Forse una soluzione per aiutare veramente il movimento dei giovani artisti sarebbe anche aiutare i teatri dove iniziano, che non sono certamente gli Stabili, i Tric, i centri di produzione, ma più realisticamente gli scantinati da 50/100 posti.

Vien poi da pensare che sarebbe stato il caso di fare una legge in cui non girassero soldi fra teatri, operatori, artisti… insomma, tra tutti quelli che, per anni, hanno rubato, imbrogliato, evaso ed eluso le leggi. Non sarebbe stato meglio, forse, evitare di dare solo i soldi (magari anche in ritardo) e semmai pagare a compagnie e teatri Enpals, Siae e altre tasse a spettacolo certamente avvenuto?
E come mai non è prevista una totale corrispondenza tra Enpals, Siae (C1) e buste paga?

Se proprio non vogliamo cambiare la legge, perché non obblighiamo i soggetti che richiedono i finanziamenti del Fus ad essere SRL e perciò ad avere delle rendicontazioni più ferree?

Insomma, Cutaia è un cretino, o forse in Italia sarebbe ora di non eludere costantemente le leggi?

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2 Comments

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  1. says: Franco

    L’articolo è molto “confuso”, ma rilevo solo un particolare. Nella esemplificazione del “raggiro” finto produttore-attore, il giornalista dimentica un piccolo particolare.
    Nel momento in cui si versano (solo) i contributi a uno o più attori, si diventa (anche) e a tutti gli effetti (finti) titolari dello spettacolo e quindi anche degli incassi da botteghino o da cachet. Quindi, ai fini del bilancio, risulteranno pure delle (finte) uscite ma anche delle (reali) entrate…
    Comunque chi opera in questo senso, oltre a rischiare penalmente, è destinato a fallire. Le cose sono molto, molto più complicate di come si crede… Saluti.

    1. says: Dario

      Mi spiace che risulti confuso l’articolo, ma purtroppo per tentare di semplificare e sintetizzare abbiamo omesso molte cose.
      Quella da te esposta era una (tra l’altro non è così se intercorre un contratto che regola la sitazione degli incassi tra le parti), un’altra (e si è verificato in alcuni casi) ed esempi è data dal fatto che ad esempio se io pago solo i contributi all’attore come se avesse avuto busta paga e non regolo la sua situazione irpef chi ci rimette è poi l’artista con un eventuale controllo della finanza