I non luoghi del teatro 1. La Fabbrica, un’officina di qualità

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La Fabbrica
‘Quando saremo grandi’ (photo: Davood Kheradmand)

L’incontro con Fabiana Iacozzilli e Giada Parlanti, componenti e fondatrici, insieme a Elisa Bongiovanni, della compagnia teatrale La Fabbrica, avviene a Roma in quella che da anni rappresenta la loro sede, il luogo non teatrale dell’associazione Ex Lavanderia all’interno di Santa Maria della Pietà, ex manicomio della Provincia di Roma.
Ecco la nostra prima tappa di questo viaggio alla ricerca del teatro professionistico che non ha una sede artistica propria, ma viene ospitato in numerosi “non luoghi”, gli spazi occupati e autogestiti di Roma.

Il non luogo definisce due concetti complementari, ma assolutamente distinti: da una parte gli spazi costruiti per un fine ben specifico (i teatri istituzionali o ufficiali), e dall’altra il rapporto che viene a crearsi fra gli individui e quegli stessi spazi.

I non luoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo in campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio, e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei non luoghi, ma nessuno vi abita. Una realtà ancora più ostica per l’arte teatrale e per quei gruppi che non accedono ai finanziamenti pubblici. Ci troviamo di fronte a teatri che non solo resistono alle dure condizioni economiche, ma producono talvolta prodotti di alto livello qualitativo riconosciuti, in alcune occasioni, non solo in Italia ma anche all’estero.

È il caso della compagnia La Fabbrica. Il gruppo nasce nel 2002 dall’incontro di due attrici (Elisa Bongiovanni, Giada Parlanti) con una regista (Fabiana Iacozzilli) decise a fare del teatro il loro territorio comune. Si conoscono durante il triennio di studi del “Centro Internazionale La Cometa”, dove si diplomano, scuola che nasce dal fortunato incontro della metodologia russa con quella inglese. Qui hanno la possibilità di studiare con registi e maestri appartenenti alla scena internazionale: Natalia Zvereva, Nikolaj Karpov, Alan Woodhouse, Natalia Orekhova… Questi incontri multipli le pongono a confrontarsi, ancora giovanissime, con quella che è la realtà dell’arte del recitare: il conflitto tra il pensiero e l’azione.

Decise ad “agire il pensiero” da anni portano in giro lo spettacolo “Aspettando Nil”, il loro “cavallo di battaglia”, come la stessa Iacozzilli lo definisce, che vanta numerosissimi successi: vincitore all’Undergroundzero Festival 2010 a New York; vincitore del premio del pubblico Ermo Colle 2008 di Parma; vincitore del primo premio del concorso Le Voci dell’anima 2007; primo classificato alle selezioni per la seconda edizione del City Hide Project.
Lo spettacolo, che verrà replicato il 25, 26 e 27 marzo prossimi al Ciro Menotti di Milano, è inserito all’interno di un progetto più ampio, definito “La Trilogia Dell’attesa, Ovvero L’epopea Degli Infelici”, con “Quando saremo GRANDI!” (spettacolo finalista al Premio Scenario 2009) e l’ultimo capitolo, ancora in fase di costruzione, “Io non ho altra mira che vivere…(povero me!)”.

La Fabbrica
‘Hamlet Circus’ (photo: Emanuela Bongiovanni e Julien Delime)

Il tema centrale di “Aspettando Nil” è la profonda insensatezza dell’esistenza umana e la beffa di cui è vittima l’uomo, in un senso pienamente beckettiano, quello della lunga attesa dei personaggi di Godot. In “Quando saremo GRANDI!” invece l’uomo non è più solo vittima dell’esistenza umana, ma anche responsabile in prima persona del proprio fallimento. L’inettitudine, dunque, diventa tema centrale. Da Beckett si passa così a personaggi ispirati anche a Svevo, a Zeno… dove potrebbe esserci la possibilità di modificare la propria condizione esistenziale, ma non si è intimamente in grado. “Inettitudine come incapacità di affrontare la realtà e tendenza a non voler riconoscere la propria sconfitta. Inettitudine come voler rimanere dove si era, attaccati con le unghie al passato, terrorizzati al solo pensiero di dover fare un passo in una nuova direzione. Inettitudine come paura”.

Un’indagine dell’esistenza umana e dei meccanismi mentali che determinano i comportamenti interpersonali, tra personaggi sospesi in un universo proprio, in una bolla invisibile in cui ognuno di essi vive una realtà sospesa. Non solo un tempo di attesa, ma un cannocchiale interiore che rovescia l’intimità di ogni personaggio mettendola a nudo.
Un’analisi umana che la compagnia realizza con sensibilità, ironia e professionalità, attraverso un’esplorazione in azione, durante le improvvisazioni, secondo un procedimento di drammaturgia ancora poco utilizzato, in contrasto con il metodo classico di scrittura a tavolino. Durante il fare teatrale ci si lascia invece sorprendere dalle soluzioni sceniche inattese, aprendo nuove possibilità drammaturgiche e arricchendo la soluzione spettacolare finale. “Il corpo dell’attore è al centro dell’attenzione creativa, siamo in ascolto del materiale scenico – spiega la regista – la cosa più interessante è sempre il percorso”.

E se un braccio è teso verso altri progetti creativi (come la realizzazione dell’ultimo capitolo della trilogia), l’altro tende a considerare l’aspetto economico: “In questo momento stiamo affrontando il problema dell’autoproduzione. Vorremmo realizzare il terzo capitolo, ma è una questione al momento alquanto complessa. Gli attori del prossimo progetto non ci mancano ma la questione è capire quando ci sarà la possibilità di far partire questa produzione”.

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‘Aspettando Nil’ (photo: Emanuela Bongiovanni)

Ed ecco che Giada Parlanti interviene specificando le difficoltà, a Roma, di trovare spazi per le prove e gli allenamenti dei gruppi teatrali. Da tre anni sono “ospiti” dello spazio occupato dell’Ex Lavanderia a Santa Maria della Pietà (zona Monte Mario), dove hanno trovato una casa per la creazione degli spettacoli in cambio di ristrutturazioni, lavori di pulizia e manutenzione, gestione e organizzazione del settore teatrale e degli eventi.

La compagnia abita artisticamente un luogo nato nel gennaio 2005, tre mesi dopo l’occupazione del Padiglione 31 da parte di associazioni e cittadini. L’occupazione dell’ottobre 2004 è servita a mantenere la destinazione pubblica e culturale  per la quale la Ex Lavanderia fu ristrutturata, con fondi pubblici, nel 2000, così come i cinque padiglioni destinati ad ostelli della gioventù  purtroppo smantellati dall’Asl-Rme.
L’esperienza della Ex Lavanderia nasce dalla ceneri della vertenza che, per oltre 13 anni, ha visto impegnare associazioni del territorio e della città per garantire l’uso pubblico e culturale del S. Maria della Pietà. Questo impegno ha permesso di evitare che intorno al S. Maria atterrasse una gigantesca colata di cemento.
Nel 2003 erano state raccolte  9.000 firme per chiedere l’acquisizione comunale  del S. Maria della Pietà nell’ambito di un progetto partecipato di uso sociale e culturale. Una delibera che in Consiglio Comunale sembra non essere mai stata discussa.
L’associazione Ex Lavanderia rivendica la gestione del Padiglione 31 nel quadro di una battaglia culturale più ampia, promuovendo e ospitando, oltre a La fabbrica, i gruppi teatrali Danad, L’albatro, l’associazione culturale Moliere, la compagnia dei Masnadieri, Ottavo Atto, 100 artisti per Kimbau, Sorrisiamo, Carlotta Piraino, la compagnia Enter, Nomenomen, Babateatar, Volodiprova, Officine Puricelli, Hoboteatro, Macroritmi, Compagnia Scena corsara, Pizzi e Ballacche e l’associazione zero virgola tre.

“Con il tempo ci siamo innamorate del luogo e delle persone che vi si trovavano dentro e che chiedono collaborazione piuttosto che un compenso libero o spettacoli da regalare al luogo” prosegue Giada: una collaborazione tra cittadini, occupanti e associazioni molto rara, con un’attenzione particolare rivolta alla cultura e all’arte.
I luoghi e i non luoghi sono sempre altamente interlegati, e spesso è difficile distinguerli. Raramente esistono in “forma pura”: non sono semplicemente uno l’opposto dell’altro, ma fra di essi vi è tutta una serie di sfumature. Il colore unico che li caratterizza è creato dalle sinergie tra le persone che li transitano, lasciando, come in questo caso, ombre, echi e semi della propria arte in evoluzione.

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