Non sarà mica un lavoro? Prosa et Labora: una cronaca per parole e immagini

Prosa et Labora Festival 2012 (photo: klpteatro.it)|Prosa et Labora 2012 (photo: klpteatro.it)|Prosa et Labora 2012: un momento del dibattito (photo: klpteatro.it)
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Prosa et Labora 2012 (photo: klpteatro.it)
Prosa et Labora 2012 (photo: klpteatro.it)
“Diritti e rovesci dei lavoratori dell’arte e dello spettacolo”: mai frase fu più azzeccata per sintetizzare il contenuto della prima edizione del Festival Prosa et Labora, rassegna teatrale sul lavoro organizzata da ArteVOX il 15 settembre scorso a Sesto San Giovanni, in collaborazione con Arci Milano e Cgil Lombardia. Una giornata animata da spettacoli, performance, laboratori, ma soprattutto da un lungo convegno (di cui in quella giornata abbiamo offerto dettagliata cronaca attraverso la diretta Twitter dall’account live di Klp).
A distanza di alcune settimane dall’evento vi proponiamo oggi un video riassuntivo di quella giornata, cercando di tradurne le urgenze e di lasciar traccia, attraverso le parole ma anche le immagini, delle riflessioni emerse, quasi a voler abbozzare un collegamento che, a partire da qui, possa condurre verso una maturazione del discorso in vista di una prossima, ci auguriamo, edizione del festival. 

Dicevamo dunque del dibattito. A condurlo, moderato dal presidente dell’Arci Milano Emanuele Patti, è stato un quesito cruciale: perché la produzione di spettacolo è considerata un hobby e non un lavoro? Una domanda che nasce da un sentimento talmente comune che è riconosciuto come dato di fatto: “Fai un lavoro che ti piace, spesso anche gratis, dunque è non ti spettano diritti economici o di continuità”.  Eppure l’impatto della produzione culturale è importante: le industrie culturali e creative, compreso il fatturato dello spettacolo dal vivo, delle arti visive e insieme al fatturato del patrimonio storico-artistico, valgono quasi il 5% del Pil. La cultura crea un indotto dello 0,9% e il 5,7% degli occupati; rappresenta il 10% dell’export e quindi è un settore dell’economia, non solo della crisi.

“Un esempio è lo spazio in cui ci troviamo oggi” ha sottolineato durante il convegno Virginia Montrasio, assessore al commercio e al lavoro di Sesto San Giovanni, Comune che ha ospitato il festival negli spazi “risorti” dell’area del Parco Archeologico ex Breda, storica fabbrica che negli anni ’80, arrivata a contare 20.000 addetti, fu smembrata. Riqualificato esteticamente e rivivificato da iniziative culturali, questo polo destinato al recupero e alla valorizzazione degli elementi culturali e sociali, storici e artistici, parte della città, dà lavoro a un centinaio di persone attraverso lo Spazio Mil, ex magazzino della Breda Siderurgica che oggi ospita uno spazio teatrale, accanto alle altre iniziative del Carroponte, in particolare concerti.
“Questo è un nuovo ‘rumore’ per i cittadini abituati per un secolo a sentire quello delle macchine industriali, ma anche questo è un rumore di fabbrica – ha sottolineato Patti – Proviene da un polo produttivo di cultura, e quindi di lavoro. Questo è il caso “virtuoso” di una città che ha fatto del legame lavoro-cultura, attraverso l’attività di recupero degli spazi, la sua peculiarità” (tanto da essere candidato a patrimonio dell’Unesco).

Il dibattito si è allargato a Milano, con l’intervento dell’assessore alla Cultura Stefano Boeri, che ha sottolineato il potenziale della produzione creativa milanese, un potenziale enorme ma disperso in infiniti rivoli, ribadendo la volontà delle amministrazioni di convogliare le risorse, in base alla domanda: “Come alimentare l’offerta, se il pubblico non sa riconoscere e trovare le energie sparse sul territorio? Per esempio, mettendo a disposizione di soggetti indipendenti e auto-organizzati spazi ‘prestigiosi’, come l’ex Ansaldo. Oppure attraverso l’allargamento del sistema delle convenzioni teatrali, al fine di creare una mappatura dei teatri di produzione, dei festival etc. Milano è una enorme fabbrica di cultura e spettacolo, bisogna dare visibilità a queste realtà, quindi reputazione e valore”. 

Prosa et Labora 2012: un momento del dibattito (photo: klpteatro.it)
Prosa et Labora 2012: un momento del dibattito (photo: klpteatro.it)
Se allora diamo come dato di fatto che l’impatto della produzione culturale sia importante, come tutelarla a livello di diritti, sicurezza, previdenza…? Insomma, come non lasciare solo il lavoratore? “L’ultima riforma del lavoro si è dimenticata di queste domande: non ha messo ordine. La conseguenza è che certe figure professionali vengono ancora più sminuite. Perdono dignità, sono senza riferimento”. Così Elena Lattuada, segreteria nazionale Cgil, ha aperto un nuovo tema del dibattito, entrando nella specificità dello spettacolo dal vivo: “Quali sono i modelli di riferimento nel mercato del lavoro per lo spettacolo? Quali garanzie e sostegno esistono tra fasi di lavoro e non lavoro?”. Il lavoratore dello spettacolo è infatti il precario ante litteram, secondo Chiara Cremonesi, consigliere regionale Sel: “Quando nemmeno il costo di un prodotto agricolo tiene conto del lavoratore, non meravigliamoci se il lavoro artistico viene considerato un hobby”. E ancora più provocatoriamente ha sottolineato come i finanziamenti alla cultura ormai siano sufficienti solo a coprire le cosiddette “scelte obbligate”, ovvero istituzioni come il Teatro alla Scala: la Regione Lombardia da 52 milioni ha tagliato i fondi sino a 8 milioni. “A questo punto non servirebbe nemmeno l’Assessorato alla Cultura…”. 

A cercare uno sbocco dalla polemica politica ci ha provato Mimma Gallina, organizzatrice teatrale e docente di organizzazione dello spettacolo alla Paolo Grassi, che ha sottolineato che “da sempre la cultura è considerata ‘non pane’, quindi non da finanziare”, ribadendo i motivi che fanno dello spettacolo un lavoro sui generis, come fosse il nucleo non industriale della produzione culturale: per esempio, la quantità di tempi di apparente non lavoro, ovvero di studio, creazione e formazione. “La specificità dei lavoratori dello spettacolo è anche specificità delle imprese che lavorano per lo spettacolo. La normativa deve essere presa in mano in toto”.

Anche Sergio Silvotti, membro della Commissione Centrale di Beneficienza della Fondazione Cariplo, ha portato l’attenzione sul “difetto di forma” specifico del lavoro artistico: “Perché non è considerato un lavoro? Prima di tutto perché la produzione viene soprattutto da associazioni culturali, quindi soggetti non tutelati per partecipare a un mercato”.
E rieccoci al punto iniziale: nella più totale assenza di una visione strategica organica, sia a livello nazionale che locale, l’enorme potenziale della produzione creativa in Italia finisce per disperdersi. Lo stesso dato di quantità, paradossalmente, è spia della “crisi” del settore, secondo Mimma Gallina, che ha analizzato dati statistici relativi agli iscritti Enpals a Milano in quattro anni: da 3.161 a 4.602 lavoratori, e da 350 a 393 imprese. Nel 2006 a Milano c’erano 27 teatri in funzione; nel 2011 sono diventati 46. “Questo non vuol dire più occupazione ma auto imprenditorialità per fuggire dal precariato, spia dell’incapacità delle istituzioni culturali a indirizzare i giovani lavoratori dello spettacolo”.

Prosa et Labora Festival 2012 (photo: klpteatro.it)
Prosa et Labora Festival 2012 (photo: klpteatro.it)
Fra i modi di risolvere il paradosso si potrebbe, ad esempio, partire dalla formazione: l’attore disoccupato francese è obbligato a formarsi, per dare lavoro anche alle scuole. E ancora, perché un teatro stabile pubblico capace di 80 spettacoli a stagione non ospita residenze? Gli stabili all’estero sono obbligati a farlo.

Esempi e proposte lanciati in oltre due ore di un dibattito che ha sfiorato anche il tema del rapporto tra cultura e media, sulla “fame di contenuti” stimolata dalla fruizione digitale, e di conseguenza sulla necessità di aggiornare la legge sul diritto d’autore per i contenuti digitali, per gli autori dell’on-line. E allora significa che gli autori esistono, e se esistono, significa che servono… “come l’idraulico”, secondo il “permesso di soggiorno della drammaturgia”, che “non è un manifesto, non è una carta dei diritti, non è una dichiarazione e neanche un patto”, ma una sorta di decalogo sulle funzioni e definizioni di drammaturgia, nato all’interno del Laboratorio di Drammaturgia Attiva della compagnia b a b y g a n g, e letto a Prosa et Labora da Carolina de La Calle Casanova e Chiara Boscaro per introdurre gli autori della sezione milanese del Centro Nazionale di Drammaturgia italiana, che per la rassegna hanno creato delle letture sceniche sui temi del festival. 

Vi lasciamo adesso alle immagini del festival. Nei quasi 15 minuti di filmato, oltre ad alcuni momenti del dibattito, anche le voci, fra gli altri, di Matilde Facheris, Laura Curino, Claudio Autelli, Marisa Villa, Giancarlo Albori (della segreteria territoriale di SLC-CGIL) e, naturalmente, Marta Galli, prima artefice di questa riuscitissima edizione zero di Prosa et Labora. Buona visione!

 

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