La prima al Teatro Carlo Felice di Genova della nuova co-produzione col Comunale di Bologna, tra applausi e fischi
« Casta Diva che inargenti
Queste sacre antiche piante,
A noi volgi il bel sembiante
Senza nube e senza vel.
Tempra tu de’ cori ardenti,
Tempra ancor lo zelo audace,
Spargi in terra quella pace
Che regnar tu fai nel ciel.»
All’interno del grande libro immaginario del melodramma, sotto la voce “arie celebri” troveremmo, senza ombra di dubbio, “Casta Diva” dalla “Norma”, una commossa e intima invocazione di pace alla dea Luna, che rappresenta uno dei più alti livelli musicali di tutta la storia, un felicissimo matrimonio di verso e musica, parola e suono, forma e contenuto.
L’allestimento di “Norma”, in scena al Teatro Carlo Felice di Genova per la regia di Stefania Bonfadelli, sembra ingenerato, sia esteticamente che tematicamente, su quest’aria e sui temi che essa espone, attraverso i bei versi musicali di Felice Romani: la luce argentea della luna, la guerra, la pace, la tregua, lo struggersi di una sacerdotessa rea di tradimento.
La scelta registica di Stefania Bonfadelli è quella di optare per una scena unica, comune a tutti e due gli atti (scelta abbastanza inusitata nelle regie dei teatri d’opera): una sorta di declivio naturale in pendenza, alto a sinistra discendente verso destra, su cui sorgono i resti di una foresta, per lo più ceppi anneriti, distrutta dagli incendi e dalle esplosioni, dove imperversa il nero mortifero della cenere, un panorama post-apocalittico da dramma nucleare in cui agiscono i personaggi, e soprattutto il popolo oppresso dei Galli, vestito in abiti scuri da Terzo Stato e armati di legni e bastoni, contro i Romani in divisa, una tuta militare contemporanea con basco bordeaux e anfibi, armati di artiglieria pesante.
Per chi non conoscesse l’argomento, la vicenda si svolge infatti nella Gallia invasa dall’esercito romano, dove la guerra sta portando allo sterminio dei Galli, tanto che Norma, sacerdotessa e veggente figlia del druido Oroveso, compie il rito estremo di pace, nascondendo al suo popolo il fatto di aver tradito il sacerdozio diventando l’amante del proconsole romano, nemico, Pollione, con cui ha due figli segreti, nascosti grazie alla balia Clotilde. Pollione, non più innamorato di lei, seduce la giovane vestale Adalgisa la quale decide di seguirlo a Roma, chiedendo a Norma di sciogliere i suoi voti; svelato il tradimento, Norma, dapprima irabonda, come una Medea quasi uccide i figli per poi risparmiarli, cedendo al perdono della sua vestale per giungere, nel finale, a immolarsi sul rogo preparato per Pollione proprio insieme al suo amato.
Il Teatro Carlo Felice propone, nella figura del Mastro concertatore e direttore Francesco Minasi, curatore anche dell’edizione critica insieme a Maurizio Biondi, una versione musicale che prende atto del fatto che di “Norma”, scritta da Vincenzo Bellini nel 1831, esistono e sono esistite tante versioni, spesso non fedeli né vicine alle pagine scritte dal compositore siciliano, che pure maneggiò e rimaneggiò l’opera in continuazione per tutta la sua, purtroppo breve, vita. Pertanto, il pregio di questa produzione è quello di presentare due versioni differenti: quella a cui abbiamo assistito è quella proposta per il cast A, che può dirsi probabilmente più fedele all’originale, con l’aria di “Casta Diva” in Fa, il finale del primo atto con una coda molto estesa, lunga, riconducibile alla prima della Scala del 1831, e la coda in maggiore del coro “Guerra, Guerra” del secondo atto, che normalmente non troviamo in un’edizione più “standard”.
Ma senza sfociare troppo nei tecnicismi, torniamo al “Casta Diva”, fonte generatrice di quest’allestimento, e momento di alto livello della messa in scena: Norma, interpretata da una intensa Vasilisa Berzhanskaya, mezzo-soprano, vestito il mantello bianco rituale, innalza la falce verso il cielo (e che cielo!) e taglia di netto le lunghe code di capelli alle sue quattro vestali, gesto-simbolo estremamente semplice ma efficace, distribuito con freddo cinismo e austerità nei lunghi minuti dell’aria, in cui l’interprete si cimenta con un canto solenne e composto, quasi immobile nella sua preghiera verso l’alto, come una papessa che, con grande senso della misura sia scenico che vocale, declama intensissima e anche delicata la sua pax deorum.
L’argenteo iridescente richiamato dai versi di Felice Romani è realizzato dal complesso gioco di luci (di Daniele Naldi) del cielo che sovrasta la scena (di Serena Rocco): non si hanno dei veri e propri cambi di luce ma dei “cambi cielo”, nel senso che proprio il cielo, consistente in un alto schermo a tutta altezza (forse una retroproiezione), riproduce fumi, esplosioni, nuvole, notti, luci argentine, fulmini, in un cambio continuo, come se veramente corresse sopra la scenografia, e possiamo dire che il cielo proposto sembra non ripetersi mai; ogni volta i colori, le nubi, le combinazioni cromatiche sono differenti, mostrando un’ampissima varietà di soluzioni.
Allo stesso modo, di volta in volta, sul proscenio scorrono colonne di marmo nero, a mo’ di monumentalistica romana, che si assemblano in maniera diversa a incorniciare o nascondere (ora centralmente, ora lateralmente), la scena principale, più adibita alle situazioni corali, per evidenziare i momenti più intimistici, vedi i duetti e i terzetti.
I meriti della regia di Bonfadelli stanno nella scelta, di forte impatto estetico, di calcare molto pesantemente il tema bellico, scegliendo di portare l’azione su un campo di battaglia contemporaneo (il richiamo più facile è quello al conflitto ucraino), e nel cercare di unire a questa contemporaneità fatta di divise, mitragliatrici e abiti comuni, gli elementi archetipici del rito religioso pre-cristiano, ovvero la ritualità fondatrice che sta non solo agli albori della cultura occidentale ma anche del teatro stesso: i sacrifici al dio (nel secondo atto Norma sgozza un capro), le preghiere-invocazioni, la verginità delle sacerdotesse e delle foreste.
Il tentativo riesce se guardiamo il palcoscenico attraverso la lente del simbolismo, della convenzione, del patto di accettazione tra spettatore e attore; non risulta soddisfacente, invece, se si guarda all’azione in cerca di un realismo voyeuristico: in quel caso si noterebbe che i duelli si realizzano attraverso sforzi fisici troppo da wrestler o da stuntmen, con azioni e reazioni un filo esagerate e faziose, stessa cosa per le scene di stupro o per l’uccisione di una bambina, proprio a inizio spettacolo. Ma, in quanto amanti del simbolo e delle suggestioni, prendiamo il buono di queste pennellate che Bonfadelli inserisce qua e là, e gliene rendiamo atto.
Una nota di merito va a tutto il cast: oltre alla già citata Berzhanskaya, intrigante e commovente, anche un’Adalgisa stupenda, dotata di uno spiccato slancio fisico, oltre che con una voce agile e chiarissima, è quella del soprano Carmela Remigio, in ottima forma; Stefan Pop, celebre tenore della nuova leva, emerge con una fortissima personalità e una vocalità brillante e piena, precisa e incisiva; adatti anche l’ottimo tenore Blagoj Nacoski alias Flavio (imponente centurione-soldato di bella struttura fisica, con il vero physique du rôle), il basso Alessio Cacciamani alias Oroveso e Simona Di Capua nei panni di Clotilde; per non parlare del coro del Carlo Felice, molto impegnato anche sul piano attoriale e fisico.
Andando a concludere, la “Norma” della prima al Carlo Felice convince e mette d’accordo tutto il pubblico dal punto di vista musicale, molti e lunghi gli applausi agli interpreti e al Maestro direttore, anche a scena aperta, oltre che negli inchini finali. Risulta invece diviso il pubblico genovese dalla scelta artistica della regista, che raccoglie sì molti applausi, ma anche fischi e “buu” dalla galleria, chi accusandola di aver sopraffatto con troppa violenza un’opera perfetta, chi accusando un’assenza totale di abbellimenti e grandeur da spettacolo borghese di belcanto.
Se si dovesse scegliere da che parte stare, indubbiamente si riterrà che sono ben pregevoli, oltre che esteticamente belle e forti, le scelte registiche di questa mise en scène bellica e scura, scevra di ogni fronzolo, eppure tanto austera e imponente da risultare catartica, fintanto da pensare di trovarsi davanti a un atto non tanto di forzatura sull’opera, quanto a un lavoro di approfondimento semantico e simbolico sulla messa in scena della guerra e del conflitto come possibile rappresentazione sia del tragico che del sublime, che sono, da Medea in poi, gli elementi base propri della teatralità in quanto rito e in quanto specchio della società contemporanea.
NORMA
Tragedia lirica in due atti
Musica di Vincenzo Bellini
Libretto di Felice Romani da Norma, ou L’infanticide di Louis-Alexandre Soumet
Edizione critica a cura di Riccardo Minasi e Maurizio Biondi
Copyright ed edizione Alkor/Bärenreiter, Kassel
Rappresentante per l’Italia Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano
Norma
Vasilisa Berzhanskaya
Gilda Fiume (3, 6, 11)
Adalgisa
Carmela Remigio
Anna Dowsley (3, 6, 11)
Pollione
Stefan Pop
Antonio Corianò (3, 6, 11)
Oroveso
Alessio Cacciamani
Mariano Buccino (3, 6, 11)
Clotilde
Simona Di Capua
Flavio
Blagoj Nacoski
Maestro concertatore e direttore d’orchestra Riccardo Minasi
Regia Stefania Bonfadelli
Scene Serena Rocco
Costumi Valeria Donata Bettella
Coreografie Ran Arthur Braun
Luci Daniele Naldi
Nuovo Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova
in coproduzione con Fondazione Teatro Comunale di Bologna
Orchestra, Coro e Tecnici dell’Opera Carlo Felice Genova
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Figuranti della Scuola di Teatro di Bologna Alessandra Galante Garrone
Si ringrazia la FILARMONICA SESTRESE “C. Corradi – Ghio S.“
Direttore allestimenti scenici Luciano Novelli
Direttore musicale di palcoscenico Paloma Brito
Maestri di sala Sirio Restani, Antonella Poli
Maestri di palcoscenico Andrea Gastaldo, Anna Maria Pascarella
altro Maestro del Coro Patrizia Priarone
Maestro alle luci Silvia Gasperini
Maestro ai sopratitoli Simone Giusto
Responsabile archivio musicale Simone Brizio
Direttore di scena Alessandro Pastorino
Vice Direttore di scena Sumireko Inui
Responsabile movimentazione consolle Andrea Musenich
Caporeparto macchinisti Gianni Cois
Caporeparto attrezzisti Tiziano Baradel
Caporeparto audio/video Walter Ivaldi
Caporeparto sartoria, calzoleria, trucco e parrucche Elena Pirino
Assistente alla regia Carmelo Alù
Assistente ai costumi Donato Didonna
Assistente alle scene Maria Ianesi
Coordinatore trucco e parrucco Raul Ivaldi
Scene e attrezzeria Fondazione Teatro Comunale di Bologna
e Fondazione Teatro Carlo Felice
Costumi Fondazione Teatro Comunale di Bologna, Fondazione Teatro Carlo Felice e Sartoria Klemann
Calzature C.T.C. Pedrazzoli
Parrucche Mario Audello
Sopratitoli Prescott Studio
Durata: 3h e 5’ (incluso intervallo)
Applausi del pubblico: 8’
Visto a Genova, Teatro Carlo Felice, il 2 maggio 2023