Occhio di bue: la danza fresca e autentica delle nuove generazioni

I giovani protagonisti di Occhio di bue (photo: residenze.marchespettacolo.it)
I giovani protagonisti di Occhio di bue (photo: residenze.marchespettacolo.it)

Il progetto di residenze promosso dalla Direzione Generale dello Spettacolo dal Vivo del MIBACT, a cui la Regione Marche ha aderito grazie alla forza attuativa del Consorzio Marche Spettacolo, ha visto nuovamente Michele di Stefano nell’ambito della rassegna Civitanova Danza tutto l’anno.

La sua presenza ha ruotato ancora attorno ad “Occhio di bue”, esito finale del lavoro portato avanti lo scorso giugno nell’ambito di VITA NOVA, sezione della Biennale College Danza voluta da Virgilio Sieni con l’intento di creare un repertorio di danza contemporanea rivolto a giovani danzatori di età compresa tra i 10 e i 15 anni.

Questi nuovi dieci giorni di lavoro, iniziati il 26 gennaio e conclusi il 5 febbraio con l’esposizione finale, hanno permesso di riprendere e approfondire quanto presentato alla Biennale, nell’ottica di trasformare quello che era un breve lavoro in uno spettacolo autonomo e compiuto. E lo stesso Michele di Stefano ci ha assicurato che c’è una idea e una volontà molto forte in questo senso.

Un bell’esempio, quindi, di un piccolo seme partito da un’idea molto innovativa e lungimirante, che potrebbe dare origine a frutti non ancora chiaramente comprensibili ma sicuramente catalizzatori di cambiamenti nella percezione e nella fruizione della danza contemporanea.

Tutto ciò è stato molto evidente in questo contesto, in cui i giovani danzatori per così dire “giocavano in casa”. Provenienti da Civitanova e zone limitrofe, hanno attirato in teatro familiari e amici creando così un pubblico forse più avvezzo a saggi di fine anno che non a spettacoli da rassegna.

Dai commenti in sala, durante e dopo, si percepisce la difficoltà di approccio, la mancanza di strumenti di comprensione che genera atteggiamenti scettici o denigratori, ma intanto qualcosa si è visto e un pensiero si è messo in moto.
Anche i genitori di questi giovani danzatori, che con grande disponibilità hanno assecondato la passione e l’impegno dei rispettivi figli, sono stati messi in rapporto con un fare diverso sia sulla scena che fuori, cosa che li spinge a trovare parole nuove e ancora indefinite per parlare di questa loro esperienza.

L’hanno raccontata come “più creativa” per i loro figli, una “possibilità di essere più protagonisti” e quindi anche “più responsabili”; in nuce, fra il detto e il non detto, ritroviamo tutto il lavoro che Michele di Stefano ha impresso in questa sua esperienza, e di cui avevamo già dato conto nell’intervista apparsa a giugno.

L’impronta dello spettacolo è rimasta la stessa.
La scena si apre su un paesaggio crepuscolare; un frinire di cicale e suoni della notte aleggiano su un telo pallido che prende vita piano piano diventando dune, montagne, sprofondando in pianure che generano nuovi massicci.
Sotto, i corpi dei giovani danzatori che si cercano, si annusano da lontano, intimoriti, all’erta. Creano gruppo, il paesaggio si appiattisce, il telo viene completamente risucchiato svelando una tenda da campeggio: è la piccola tana in cui il gruppo ha trovato rifugio e da cui parte per delle danze che vivono della prossimità dei corpi, della responsabilità dell’esserci e del mantenersi, traslandosi nello spazio in dinamiche che l’assunzione di volontà del momento rende vive e continuamente rinnovate.

L’impegno di questi giovani danzatori è commovente, tenero e potente allo stesso tempo, generosissimo, senza alcuna citazione al di fuori del proprio essere, senza nessuna volontà emulativa ma onesto nella possibilità e nella ricerca. Una ventata di freschezza e di autenticità. Foto finale nel foyer del teatro, Michele di Stefano ad abbracciarli tutti con le sue lunghe braccia, e poi via per la cena comunitaria conclusiva. Piccoli semi crescono.

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