Con Schiele e LABit ogni cosa è viva

Egon Schiele, Autoritratto
Egon Schiele, Autoritratto

La pittura di Egon Schiele (1890-1918), controverso pittore austriaco dell’ondata espressionista di Kubi, Klimt e Kokoschka, va di pari passo con la sua biografia. Una biografia figlia del secolo scorso, uno dei più spaventosi cui il mondo – l’Europa soprattutto – sia passato attraverso.
Un rapporto infantile e morboso con il sesso, la vicenda crudele di una malattia estremamente cruenta, la dissonanza di un desiderio incestuoso mai sublimato ma mai neppure soffocato, l’odiosa ma affascinante povertà (e Schiele fu uno dei pochi a ricevere apprezzamento anche da vivo), la sensazione di non essere mai compresi, la certezza che quelle intuizioni secondo cui l’erotismo, per certi versi appeso alla pornografia, è la più alta forma di umanesimo, non saranno mai realmente accettate.

Tutto questo – ce lo dicono mostre e musei – si spande sulle tele del pittore austriaco in colori sbiaditi, gradazioni cromatiche di una pelle malsana, denutrita, una magrezza desolante, le occhiaie dell’insonnia e della fame, il disegno deforme di corpi alla deriva.
Gabriele Linari
, mettendo da parte l’opzione monologo, sceglie di raffigurare una solitudine doppia, apoteosi dell’egocentrismo, che finisce per inventarsi la necessità di un controcanto, specchio al quale comandare le immagini riflesse, modella a cui comandare una posa. Perché bisogna “essere in due” per dar conto di tutte le sfumature di quella solitudine, perché i personaggi di questo spettacolo sono due bubboni della stessa peste. Il controcanto è affidato a Ottavia Nigris, composta nella propria strana nudità anche con tutti i vestiti addosso, sorriso di cera. Le parole di Gertrude, Vally e Edith, che come cassa di risonanza usano le sue corde vocali, formano un muro di gomma, rimandano l’eco precisa delle parole di Egon, ne perfezionano i ragionamenti, ne completano le decisioni.

A cinque anni da un primo studio condotto sul pittore viennese, confezionando un testo inedito a partire dal suo fitto corpus epistolare, Linari indossa e smette, di continuo, la maschera del pedagogo. Lavora molto bene sul corpo, concentra nella propria nudità e – ancor più efficacemente – nelle mani e addirittura in quelle unghie così “schielesche” la descrizione, la ricerca filologica e la giustizia da rendere a biografia e mito in maniera talmente convincente da potersi poi permettere di spingere le intonazioni su curve grottesche.
Il suo Schiele si prende gioco dei luoghi comuni e straparla del dolore in un grado forse fin troppo intellettuale, scoprendo il fianco a certe cadute di ritmo e sequenze troppo dilatate affidate a registrazioni fuori campo che distraggono. È, quello del mancato controllo, il pericolo più frequente quando si ha da gestire una florida creatività. Eppure, per qualche strano artifizio, gran parte dello spettacolo funziona. Straniante e beffardo, c’è qualcosa di strano, nuovo, appuntito nel modo in cui Linari occupa la scena. Attorno a quella figura magra ma vigorosa gravita continua la sensazione che lo spazio gli si apra davanti. I suoi occhi sono vispi anche nel mezzo di monologhi che bordeggiano la gigioneria, il suo evitare simili ostacoli originale e reso possibile da una gran capacità di dividere l’attenzione. La glacialità di Nigris e i piccoli palpiti delle mani di Linari colpiscono comunque più di trovate un po’ sghembe come quella della tela/video che cambia angolo di ripresa.
Della vita e della morte di Schiele, così astratte, forti e visionarie restano immagini ben definite che, anche laddove risentono di un testo lievemente verboso, restituiscono il dovuto in sprazzi di poesia e in un modo personale di organizzare la scena, adatto a chi cerca, su questi palcoscenici, qualche guizzo di energia nuova.

A proposito di nuove energie. Alla sua seconda edizione, la rassegna Exit si propone di offrire “una festa del teatro, una via d’uscita dalla crisi culturale, uno spaccato del teatro emerso o emergente”. Come dice il comunicato stampa della rassegna, che ha coinvolto tre piccoli teatri romani (Lo Spazio, Cometa Off e Teatro Due) con un cartellone speciale dal 5 gennaio al 18 aprile, il teatro di oggi “emerge da un’emergenza”. Questo spiega perché molti dei giovani artisti di oggi tentino di aggrapparsi a ricorrenze storico-culturali per raggranellare qualche contributo senza cui – davvero – non sarebbe possibile sopravvivere. Allora ecco che Andrea Cosentino portava – volutamente in ritardo – uno spettacolo che portava il dito alla Luna nel 40° anniversario dello sbarco (“Primi passi sulla luna”), Amnesia Vivace un Risorgimento Popa 150 anni dall’Unità d’Italia, dichiarando addirittura apertamente l’intenzione di ricevere “aiuti”, e LABit un lungo omaggio a Ennio Flaiano, di cui ci sarà da parlare proprio in occasione del centenario.

OGNI COSA VIVA. MORTE E VITA DI EGON SCHIELE
dalle lettere di Egon Schiele
produzione: Compagnia Teatrale LABit
regia Gabriele Linari
interpreti: Gabriele Linari, Ottavia Nigris Cosattini
collaborazione alla regia: Andrea Vaccarella
assistenza ai movimenti scenici: Sara De Santis
musiche originali: Jontom
fonica e luci: Flavio Tamburrini
durata spettacolo: 1h 12′
applausi del pubblico: 1′ 44”

Visto a Roma, Teatro Due, il 24 febbraio 2010
Rassegna Exit 2

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