Per la chiusura di stagione, alla Scala il Comte Ory diventa un santone indiano

Le Comte Ory (Juan Diego Flórez) e Raimbaud (Stéphane Degout) nel primo atto|Le Comte Ory (Juan Diego Flórez); La Comtesse de Formoutier (Aleksandra Kurzak); Isolier (José Maria Lo Monaco) nel secondo atto|Un momento del secondo atto
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Le Comte Ory (Juan Diego Flórez); La Comtesse de Formoutier (Aleksandra Kurzak); Isolier (José Maria Lo Monaco) nel secondo atto
Le Comte Ory (Juan Diego Flórez); La Comtesse de Formoutier (Aleksandra Kurzak); Isolier (José Maria Lo Monaco) nel secondo atto (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)
Come si sa a Gioachino Rossini piaceva molto giocare con le sue opere, mescolandole a proprio piacimento, togliendo un brano da una e mettendolo in un’altra; ma dobbiamo pur dire che ne “Le Comte Ory”, opera a cui abbiamo assistito al Teatro alla Scala nella coproduzione con l’opera di Lione, ha forse un pochino esagerato, trasportando di peso all’interno di questa piacevolissima opera molti brani soprattutto de “Il Viaggio a Reims”, ma non solo.

E’ pur vero che “Il Viaggio a Reims” è un autentico e proprio “pastiche” musicale, dove la trama è un mero pretesto per un elenco di arie e “numeri” spesso fuori contesto, ma così è avvenuto, e molti momenti di quell’opera sono stati qui utilizzati da Rossini.

Cionondimeno “Le Comte Ory”, penultima opera del compositore, rimane un lavoro assolutamente originale e di gran divertimento.

Essa fu composta su libretto di Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson, tratto dal vaudeville omonimo (1816) degli stessi autori, e la prima rappresentazione ebbe luogo il 20 agosto 1828 all’Opéra di Parigi.
Bisogna anche sottolineare che, dopo i due rifacimenti in lingua francese del “Maometto secondo” e del “Mosè in Egitto” (Le siège de Corinthe e Moïse et Pharaon), è la sua prima vera opera originale in francese e l’ultima buffa del compositore.
Fu il grande Eugène Scribe a chiedere a Rossini di riproporre, ampliandolo, un soggetto già utilizzato: un vaudeville, per il quale il drammaturgo si era ispirato ad una ballata medievale, tratta a sua volta da una leggenda piccarda, in cui venivano celebrate le avventure boccaccesche di un libertino, il Conte Ory per l’appunto, entrato nel convento di Formoutiers con un gruppo di cavalieri mascherati da suore.

Perché è proprio di questo che narra incredibilmente l’opera, ben lontana dagli stereotipi dell’opera buffa italiana, ed è forse per questo che ebbe poca fortuna nel nostro Paese; ben diverso fu invece l’esito in Francia, contrassegnato da un grande trionfo.
Il compositore pesarese scrisse come suo solito rapidissimamente il suo unico melodramma comico francese, in soli quindici giorni, nella bella casa di campagna del banchiere Alejandro María Aguado, facendosi aiutare per il corretto francese dal tenore Adolphe Nourrit, che interpretò la parte del protagonista.

L’azione si svolge nel castello di Formoutiers all’epoca della seconda Crociata, dove approfittando dell’assenza del feudatario, partito appunto per la Palestina, il molto libertino Conte Ory, con l’aiuto di un gruppo di suoi degni compari, travestendosi da eremita, cerca di attentare alle virtù di Adele, la giovane sorella del feudatario, che vive chiusa nel castello con le sue dame dopo aver fatto voto di castità per la salvezza del congiunto.

Un momento del secondo atto
Un momento del secondo atto (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)
Gli abitanti del villaggio si recano nel rifugio del pio eremita per chiedergli consiglio e conforto. Qui giunge tra gli altri anche il paggio Isolier (interpretato da un mezzo soprano, personaggio che in certo modo ricorda il mozartiano Cherubino). Questi, tratto in inganno dal travestimento di Ory, gli confida il suo amore per la contessa Adele. Ma anche Adele si reca a consultarlo, e ovviamente il malandrino le dice di tenersi alla larga da Isolier (che la fanciulla confessa di amare) e le chiede di avere un incontro.
Ma subito dopo Ory viene smascherato, il libertino non si dà comunque per vinto. Ed infatti essendo scoppiato un violento temporale, vestitosi da suora, con il nome di Colette, con i suoi compagni ottiene asilo nel castello.

Ma anche questa volta le cose non vanno secondo il copione prestabilito. Il paggio Isolier infatti, scoperto l’inganno, avverte la Contessa, e con il suo aiuto gioca un brutto tiro al Conte, precedendolo nel letto della bella Adele.
Ed è qui che Rossini realizza musicalmente uno dei suoi capolavori, un terzetto che non ha uguali  nella storia dell’opera per la perfetta resa della seduzione, mescolata sia dall’ironia ma anche da un  sapore di grande melanconia.

Quando infatti anche la finta Suor Colette entra nel letto, la Contessa, approfittando dell’oscurità, si nasconde dietro al paggio. Il seduttore si rivela e, rivolgendole il suo amore, bacia la sua mano con trasporto, senza accorgersi che è quella di Isolier. Questi, nel frattempo, approfitta delle circostanze per baciare a sua volta la mano della Contessa, che lo lascia fare volentieri. Ed è così che avviene, come nota acutamente Philipp Gosset, che “un tenore mascherato da donna che pensa di fare all’amore con un soprano, mentre lo sta facendo con un contralto che interpreta il ruolo di un uomo che prende il posto del soprano?”.
Ma l’annunciato ritorno dei Crociati e l’arrivo del padre di Ory interrompe la piccola orgia e il Conte deve scappare, mentre tutti inneggiano al felice ritorno dei valorosi cavalieri.

Come si vede, siamo di fronte ad un intreccio assai anomalo in cui vi è un susseguirsi di slanci amorosi, finzioni, ambiguità, equivoci, desideri repressi che fanno de “Le Compte Ory” un’opera squisitamente moderna e unica nel suo genere.
Se sono presenti alcuni degli stilemi preferiti dal nostro, come il finale del primo atto con lo stupore raggelato per il riconoscimento del Conte, seguito dal vorticoso concertato o l’immancabile temporale, dove anche le voci concorrono al risultato, il tutto è poi immerso in un’aura certo gioiosa, ma spesso venata di melanconia, che in qualche modo presagisce l’esaurirsi della vena musicale del maestro, o meglio la sua volontà di non comporre più opere.

Le Comte Ory (Juan Diego Flórez) e Raimbaud (Stéphane Degout) nel primo atto
Le Comte Ory (Juan Diego Flórez) e Raimbaud (Stéphane Degout) nel primo atto (photo: Marco Brescia & Rudy Amisano)
Laurent Pelly, che riprende la regia di Christian Rath, adatta la vicenda ai giorni nostri, in una comunità di un paese qualsiasi, ambientando il primo atto in un grande auditorio in cui spesso la gente si raccoglie per le grandi occasioni.
Qui Ory prende le vesti di un santone indiano che incuriosisce con le sue fattezze le persone accorse per conoscerlo; l’azione nel secondo atto si sposta invece all’interno del palazzo di Adele, dove le stanze, dal salotto alla cucina alla camera da letto, attraverso movimenti di scene cambiano continuamente.

Pur con qualche eccesso di volgarità, la messa in scena ci è parsa piacevole, ben studiata e non disturbante, nonostante i cavalieri che diventano gli americani alla guerra del Golfo.
Per quanto riguarda il cast vocale, purtroppo una tracheite ci ha privato dell’ascolto, nella parte del conte, del grande Juan Diego Florez, sostituito nel complesso degnamente da Colin Lee.
L’Adele del soprano polacco Aleksandra Kurzak, pur con qualche durezza negli acuti, prende man mano sicurezza di sé, riuscendo vittoriosa nella grande aria del primo atto, per poi rivelarsi attrice convincente soprattutto nel famoso e difficile terzetto del secondo.

In crescendo pure la prova di José Maria Lo Monaco, impegnata nei panni di Isolier, che come abbiamo detto è in travesti e riesce bene a vestire i panni di un ragazzo. Di buon livello i due principali compari del Conte, il Raimbaud di Stéphane Degout e il Governatore di Roberto Tagliavini, a cui peraltro Rossini affida due arie certo non facili.
Sempre perfetto il coro, diretto da Bruno Casoni, che nell’opera ha un peso ragguardevole.
Donato Renzetti ci pare condurre l’orchestra della Scala in modo spesso generico anche se, dobbiamo ammetterlo, è un’opera assai difficile da maneggiare, tante e assolutamente originali sono le atmosfere musicali da suggerire e far amare. E noi certo amiamo questo sciagurato, libertino, scavezzacollo del Conte Ory.

Le Comte Ory
Gioachino Rossini

Melodramma giocoso in due atti
Libretto di Eugène Scribe e Charles-Gaspard Delestre-Poirson
 
Nuova produzione Teatro alla Scala
In coproduzione con Opéra National de Lyon

Direttore: Donato Renzetti
Regia, scene e costumi: Laurent Pelly
Luci: Jöel Adam

CAST

Le Comte Ory
    Juan Diego Flórez (4)
    Colin Lee (7, 10, 12, 15, 19, 17, 21)
Le Gouverneur
    Roberto Tagliavini
Isolier
    José Maria Lo Monaco (4, 7, 10, 17, 21)
    Chiara Amarù (12, 15, 19)
Raimbaud
    Stéphane Degout (4, 7, 10, 17, 21)
    Nicola Alaimo (12, 15, 19)
La Comtesse de Formoutier
    Aleksandra Kurzak (4, 7, 10, 17, 21)
    Pretty Yende (12, 15, 19)
Ragonde
    Marina De Liso
Alice
    Rosanna Savoia
 
 

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