Passaggio in India è la prima regia firmata da Federico Tiezzi prodotta dallo Stabile pratese da lui diretto. Il testo, mai rappresentato in Italia, è tratto dal romanzo omonimo scritto nel 1924 da Edward Morgan Forster (dal quale a sua volta è stato tratto il celebre film di David Lean nel 1984). L’opera, che presenta nelle tematiche alcune evidenti analogie con il romanzo autobiografico Giorni in Birmania di George Orwell, descrive la vita e le abitudini dei funzionari inglesi nell’India colonizzata della prima metà del secolo scorso, evidenziando le enormi diversità culturali tra colonizzatori e colonizzati. Intorno a questo si sviluppano alcune riflessioni molto attuali sulle opposte visioni del mondo da parte degli indiani (induisti e musulmani) rispetto a quelle degli europei cristiani.
Il primo atto si sviluppa nella casa di un inglese anticonformista che auspica un’integrazione con gli indigeni, parlando di “bridge parties” ossia “feste ponte” per traghettare gli inglesi verso gli abitanti e la cultura indiana. Il secondo atto si svolge invece nel circolo esclusivo degli inglesi, dove vengono pronunciate invettive razziste contro un indiano musulmano presunto violentatore di una giovane inglese.
I pregiudizi saranno protagonisti nonostante una verità diversa.
Lo spettacolo, che si basa sull’adattamento teatrale della scrittrice anglo-indiana Santha Rama Rau tradotta da Sandro Lombardi, ha una regia rigorosa, quasi piatta. È una messa in scena coerente che evidenzia la contrapposizione fra due mondi così diversi, spettacolo asciutto che esalta la dimensione romanzesca del testo. Tiezzi, rappresentando uno dei suoi autori prediletti, si conferma un regista esteta che comanda ogni singolo movimento degli attori, governandoli come pedine, scandendo chirurgicamente i tempi attraverso ripetuti giochi di luce e buio. Le scenografie interscambiabili vengono abbellite da due suonatori di sitar (molto suggestivi), da varie carte dell’India antica e mappamondi. Sullo sfondo vengono proiettate immagini di strade dell’India moderna in slow motion, in una collocazione poco comprensibile.
Bravi gli attori. Da sottolineare soprattutto la recitazione convincente e volutamente sopra le righe di Sandro Lombardi e Giulia Lazzarini.
Il finale lascia un unico sussulto emotivo, in un allestimento complessivamente privo di trovate registiche efficaci e soluzioni innovative: una danza collettiva di tutti i protagonisti sulle note di un indian hip hop.
Apprezzato dal pubblico, lo spettacolo appare perfetto ma senz’anima, tipica produzione di un teatro Stabile italiano dei giorni nostri. Non annoia e non esalta. Eppure avrà una lunga tournée.
Ciò che delude veramente è la stagione del teatro pratese, inaugurata da questo spettacolo: solamente 14 titoli in cartellone per tre spazi teatrali, pochissimo spazio per la scena contemporanea e per le nuove realtà toscane.
Passaggio in India
di Santha Rama Rau
dal romanzo di Edward M. Forster
traduzione Sandro Lombardi
drammaturgia Sandro Lombardi e Federico Tiezzi
regia Federico Tiezzi
scene Francesco Calcagnini
costumi Giovanna Buzzi
luci Roberto Innocenti
con Sandro Lombardi, Graziano Piazza, Giulia Lazzarini, Debora Zuin, Massimo Verdastro, Giovanni Franzoni, Sandro Mabellini, Silvio Castiglioni, Daniele Bonaiuti, Ciro Masella, Fabricio Christian Amansi, Aleksandar Karlic, Andrea Carabelli
durata: 2 h 12’
applausi del pubblico: 3’ 56’’
Visto a Prato, Teatro Metastasio, il 2 novembre 2008
avanti con le danze… questo è il nostro teatro!
“Passaggio in India” è un’opera che Foster scrive nel 1924, epoca delle prime rivolte nel subcontinenete, ed è ambientata a Chandrapore, un’ideale città inventata dall’autore.
L’azione prende avvio dall’arrivo in India di due donne inglesi, Mrs. Moore e Miss Quested,che, a loro dire, vogliono conoscere meglio il paese, relazionandosi direttamente con Indiani.
I primi personaggi che incontriamo non sono però loro. Il primo a entrare in scena è il protagonista Mr. Fielding, che le introduce nella “vera India”, facendo loro conoscere il Prof. Godbole, suo assistente e filosofo indù, e il Dr. Aziz, un dottore musulmano che Mrs. Moore aveva già conosciuto e apprezzato una notte all’interno di una moschea.
Il dr. Aziz organizza per tutto il gruppo una gita, che avrà conseguenze inaspettate che porteranno a un finale a sorpresa.
Sebbene l’opera sia stata scritta più di 80 anni fa, i personaggi rappresentano caratteristiche peculiari, quanto mai attuali, contemporanee.
Ci sono i colonialisti inglesi, sicuri della loro superiorità e della loro missione di mantenere l’ordine nel paese (vi ricorda qualcosa?). Ogni occasione è buona per loro per dimostrare la volontà sovversiva e il carattere violento degli indiani.
Ci sono le due donne, attratte dal carattere esotico della loro avventura, che sembra vogliano andare al di là di quello che fanno i loro connazionali. Vogliono conoscere i veri indiani, fare qualcosa di utile, sentirsi parte di questo mondo così affascinante. Un mondo che costituisce un’alternativa alla loro monotona e ottusa vita quotidiana inglese. Nonostante vengano dissuase in questo dai loro connazionali del “Circolo inglese”, vanno lo stesso alla gita del Dr. Aziz, ma a questo punto improvvisamente un mondo così diverso scatena in modo violento tutte le loro paure, portando a conseguenze ancora peggiori di quelle prodotte dai loro connazionali.
Ci sono gli indiani, il Dr. Aziz, il cui sogno sembra quello di smentire i suoi amici e diventare vero amico di inglesi degni del nome di uomini. Per questo organizza la gita, e si butta a capofitto in amicizie nate troppo in fretta. Deluso, rifiuta alla fine anche l’unico rapporto che avrebbe potuto essere vero, per tuffarsi in un generale odio contro la razza inglese. Il prof. Godbole è il personaggio più divertente. Un filosofo da strapazzo Indù che si cimenta in strani balletti che fanno da coreografie a strampalate storielle morali e risponde a ogni affermazione con un “No, affatto”, seguito dalla sua personale interpretazione. E’ la caricatura dell’immagine che noi abbiamo del santone indiano.
Infine c’è Mr. Fielding, il personaggio centrale. Un preside illuminato, che cerca di stabilire veri legami con uomini indiani. Preso nel mezzo della vicenda, si schiera apertamente, rischiando anche il suo lavoro, nei confronti del suo amico Mr. Aziz, e di fronte a lui cerca di giustificare gli strani comportamenti delle donne inglesi. Alla fine, pur essendo di sicuro il personaggio più positivo della storia, nel quale si tende a identificarsi, rimane con un pugno di mosche, ripudiato dagli inglesi e anche dal suo amico indiano, e non può fare altro che tornare a casa. L’attore che interpreta Mr. Fielding, Sandro Lombardi, è anche colui che ha tradotto in italiano l’opera teatrale che Santha Rama Rau ha tratto dal romanzo di Forster.
Tutta l’opera rappresenta la difficoltà dell’incontro tra culture diverse. Gli approcci possono essere diversi. Ci si può porre in un punto di non dialogo e di superiorità oppure si può provare a porsi in un atteggiamento positivo; questo però non può evitare la violenza e soprattutto l’isolamento. Per quanto ci si senta affascinati e si cerchi di abbracciare una cultura diversa dalla propria, se questo è uno sfizio superficiale (e come non pensare al turismo di massa contemporaneo, dannoso probabilmente quanto il colonialismo?) può portare a conseguenze inaspettate e terribili.
La scenografia è molto interessante. Semplice e sullo sfondo vengono proiettate senza sosta immagini dell’India contemporanea. Due personaggi suonano di quando in quando pezzi con strumenti tradizionali indiani. Divertentissimo è il balletto in cui si cimentano tutti i personaggi al termine sulle note di musica rap indiana!
Mi sono piaciute le caricature degli indiani: il musulmano che si perde in salamelecchi esagerati e manifestazioni di affetto imbarazzanti e l’indù che vede spiritualità ovunque raccontando storie e canti che gli occidentali non capiscono perché in fondo tutto è il contrario di tutto. Ma lui direbbe “No, affatto!”. Anche le caricature degli inglesi del circolo sono esagerate.
Si è resa bene la perenne difficoltà di incomprensione dei due mondi, indipendentemente dalla buona fede dei personaggi. La ragazza involontariamente ha creato un bel casino. Il dottor Aziz ha cambiato idea sui bianchi dopo l’offesa. La signora sempre gentile alla fine se ne frega di tutto e vuole tornare a casa e il magistrato, all’inizio snob e altezzoso, è il più giusto decidendo di non giudicare lui l’imputato e cercando comunque delle prove anche a favore.
Dello spettacolo in sè ho trovato bravissimo il professore indù, nei balli e nei canti, incredibilmente studiati, ma anche mi sono piaciuti i musicisti con il santone rosso sempre presente o quasi.
Ho trovato bella l’idea di proiettare costantemente immagini dell’India moderna e il ballo finale, come a voler dire che i problemi che c’erano a inizio secolo ci sono ancora oggi uguali e…, aggiungo io…, anche in altre culture.