La danzatrice svizzero-congolese denuncia il colonialismo e apre “Geografie”, la stagione 2024 della sala milanese diretta da Kastlunger e Picarello
S’intitola “Geografie” la stagione teatrale 2024 di Zona K a Milano. È un modo per scoprire la relazione tra storia e territori. Volgendo lo sguardo oltre i recinti. Per conoscere la geografia dei popoli e provare a fare i conti con il passato. Soprattutto quello coloniale che ha prosciugato le risorse delle regioni extraeuropee creando sacche di povertà. E aumentando la forbice tra Nord e Sud del mondo.
L’Occidente sfrutta. Schiavizza. Ridisegna i confini. Fomenta guerre civili in Asia, America latina, Africa. Chiama tutto ciò “esportazione della democrazia”.
“Mamu Tshi. Portrait pour Amandine” è lo spettacolo che ha aperto l’XI stagione di Zona K. Protagonista è Amandine Ngindu, danzatrice di krump di Losanna, famosa con lo pseudonimo di Mamu Tshi. Origini congolesi, Mamu Tshi incontra in Svizzera il connazionale Faustin Linyekula, ballerino e coreografo di fama internazionale. Nell’estate 2022 si recano insieme nella regione del Kasai, in Congo, per incontrare la nonna di Mamu Tshi, conosciuta finalmente dopo 30 anni.
Una lampadina rossa oscilla da un filo, riempiendo con un flebile alone la sala appena illuminata. La danzatrice si scongela. Squarcia un silenzio senza tempo.
Un itinerario nel cuore dell’Africa. Ma anche un ritorno a sé, alle origini di una storia ancestrale. Il risultato è una danza che è insieme atto di cura e di denuncia. Si tratta del krump (Kingdom Radically Uplifted Mighty Praise), un ballo creato nella comunità afroamericana di Los Angeles, connubio tra hip-hop e clowning. Lo caratterizza una libertà estrema nei movimenti. Infatti troviamo la danzatrice in scarpe sportive e abiti arancioni comodi, insieme a un largo foulard.
Una danza radicale, energica, personalissima. Gli artefici spesso si cospargono il viso di vernice; ballano con uno stile rapido e irruente; imitano una rissa corpo a corpo, senza contatto fisico. Una pulsazione terrigna, sincopata, unisce performance, musica elettronica, voci, canti e le percussioni che emergono dai video registrati in Congo. Ritmo e velocità permeano questa danza marziale, scoscesa, alienata, sofferta.
Danzatrice dell’anno di krump nel biennio 20-21, Mamu Tshi scava nel proprio passato e nella storia dolorosa del proprio popolo. Un lavoro senza soluzione di colpi, roccioso come la cava di pietra in cui è ambientato, dove bambini armati di scalpello lavorano con fatica.
Una danza distonica ed etica. Una musica disarmonica, cacofonica, appassionata. A rendere il nodo insolubile d’amore e rabbia per una terra violata, svenduta al dio denaro, desiderata visceralmente.
In scena, un buio diffuso mai radicale. Un televisore, e la registrazione della danza in Congo. I versi dei gabbiani. Li vediamo sullo schermo. Li sentiamo in registrazione. Li riproduce anche la danzatrice con i suoi acuti surreali. Sono anelito tra libertà e migrazione. Mamu Tshi ne ricalca il volo planare e spezzato. Ondeggia nell’aria, alternando rare movenze sinuose a più frequenti gesti spigolosi.
Due viaggi s’intrecciano dentro un ritratto simbolico. Questo portrait viaggia alla ricerca delle radici e restituisce un’idea di comunità. Crea un legame simpatetico tra artista e pubblico. Eleva un inno di libertà per l’Africa. Ma è anche j’accuse alla globalizzazione che costringe gli abitanti del Congo a dipendere dalle rimesse dall’estero, mediante i trasferimenti con Western Union. Le famiglie continuano a spezzarsi. Non sempre trent’anni bastano a ritrovarsi.
La forza di spasmi coreografati. L’espressività dei lineamenti. Ondulazioni passionali. Parole suggestive abitano il corpo di Mamu Tshi. Che mantiene dritta la schiena. E alza sguardi pieni di domande verso la platea.
Nostalgia e amore. In lingala, la lingua del Kasai, la parola kolinga significa simultaneamente “amore” e “legame”. Un’altra parola, mabéle, significa “seno” e “terra”. E ancora kanaka identifica “persona”, “testa” e “fuoco”. È il linguaggio della coesione, cristallizzato dall’etica ubuntu: «Io sono ciò che sono in virtù di ciò che tutti siamo», simbolo di solidarietà.
“Mamu Tshi. Portrait pour Amandine” condensa parole, immagini e performance. È coesistenza di opposti: partenza e ritorno, desiderio e maledizione, amore e rabbia. Alternando luce e buio. Con una lampada in mano. Per cercare l’uomo. E costruire connessioni. Partendo dalle radici. Prefigurando il futuro. Senza smettere di denunciare. E battezzando, nel segno della solidarietà, il secondo decennio di Zona K.
PORTRAIT POUR AMANDINE
Con Mamu Tshi (Amandine Tshijanu Ngindu)
Ideazione e coreografia Faustin Linyekula, Mamu Tshi (Amandine Tshijanu Ngindu)
Assistente alla regia Angélique Tahé Musica Twin Traxamus, Groupe folklorique Atandele (Kananga, RDC)
Voci registrate Kaku Musambi Papa Ngindu Papa Mako Griot Tshimina
Video Faustin Linyekula Zima Tukala
Ringraziamenti a Zia Pauline Bibomba e tutta la famiglia a Kanyuka, RDC, Zima Tukala (yo moko oyebi), Victor Bafuafua, Sylvie Makela e il Salon Tribus Urbaines
Regia generale Veronique Kespi
Direttore delle luci Farid Deghou Boussad
Direttore del suono Luc Grandjean
Direttore di scena Christian Wilmart
Produzione Anouk Luthier & Théâtre Vidy-Lausanne con il sostegno di Studios Kabako (Kisangani, RDC)
Sostegno Arts and Humanities Division, New York University Abu Dhabi
Spettacolo in francese con sottotitoli in italiano
durata: 50’
applausi del pubblico: 2’ 40”
Visto a Milano, Zona K, il 9 marzo 2024