Segnalazione speciale per Tilia Auser e Pietro Giannini
Due attori organizzano finti rapimenti in Sardegna coinvolgendo il pubblico. Una donna danza sulle proprie fragilità. Una poetessa percorre i labirinti della parola. Un giovane giostra fra i paradossi di una famiglia disgregata.
Il nuovo anno porta a Milano, al Teatro Munari e al Teatro Verdi, i quattro spettacoli selezionati da Generazione Scenario 2023.
Torniamo al Verdi con emozione, dopo i quattro anni di chiusura seguiti all’emergenza sanitaria. La speranza è che la sala del quartiere Isola possa presto tornare a una propria stagione, a riproporre i preziosismi del festival di figura IF, che tante suggestioni regalavano al pubblico milanese.
In armonia con Teatro del Buratto e con il sostegno del Ministero della Cultura, l’associazione Scenario ETS ha conferito il Premio Scenario allo spettacolo “anonimasequestri” di Leonardo Tomasi. Il Premio Scenario Periferie è andato invece a “Luisa”, di e con Valentina Dal Mas. Segnalazioni anche per Tilia Auser con “Tre Voci” e Pietro Giannini con “La costanza della mia vita”.
Presieduta da Daniele Villa, la giuria di Scenario era composta anche da Giulia Guerra, Fabiana Iacozzilli, Cristina Valenti e Jacopo Maj. Scenario premia artisti under 35 anni capaci di valorizzare temi legati all’innovazione e all’inclusione. A sua volta, il premio Scenario Periferie incentiva progetti finalizzati a temi inerenti l’intercultura, la marginalità e l’inclusione sociale.
“Anonimasequestri”, con Federico Giaime Nonnis, Daniele Podda, Leonardo Tomasi e “un ostaggio”, produzione Fondazione Teatro Metastasio e Sardegna Teatro, squarcia la Sardegna oleografica per proporre la sarditudine in maniera autoironica e anticonvenzionale. Scena caotica. Una telecamera proietta sullo sfondo immagini in presa diretta. Accento regionale caricato, tra infiniti eja e forse un ajò. Un sardo sardonico e trascendentale in passamontagna. Ceffi banditeschi troppo smaccati per non suscitare ilarità. Sovrapposizione di piani narrativi, fra cinema e teatro, fra scena e metateatro. Interviene anche la voce fuori campo di una fantomatica nonna, a suggellare questo spettacolo poliziottesco che marca l’identità dell’isola dei nuraghi come mondo a parte, cattiva coscienza dell’Italia risorgimentale. Bella prova attoriale che, senza prendersi sul serio, strizza l’occhio al cinema d’autore, da Quentin Tarantino a “Banditi a Orgosolo”. Si avverte tuttavia la fatica di assemblare i vari piani narrativi. Tanto porcheddu sul fuoco, e di Ichnusa ci si può ubriacare. Ma il talento non manca: un po’ di dieta post-natalizia, e la compagnia si farà.
Al centro di “Luisa”, produzione La Piccionaia – Centro di Produzione Teatrale, Valentina Dal Mas interpreta una donna incontrata in una cooperativa sociale. Assaporiamo, dentro il suo parlare claudicante, l’assiduità con la musica e la poesia, che qui assume l’aspetto di una rosa che deborda da un vasetto trasparente. Sul palco anche una sedia che è zavorra, casa, prigione. Solo poche luci intime. Solitudine e bellezza in abiti dimessi. E uno slancio interiore che diventa volo, spasimo di un cuore esitante sopra gli ostacoli di un tempo sciancato. L’arte è leggerezza, battito d’ali sul mondo e sul limite. C’è l’assiduità con Abbondanza/Bertoni in questo lavoro di danza pulito che si misura con l’impervio, in questo vorticoso e fulmineo movimento che armonizza grazia e tormento in un inno all’amore, e si libera sulle note di Fausto Leali (“Io amo”) e Antonio Vivaldi.
Che bella sorpresa Tilia Auser con “Tre Voci”. Sara Bertolucci usa le estensioni della propria voce per creare un audiodramma immaginifico sulla poesia di Sylvia Plath.
Una scena di sipari di cellophane. Timidi bagliori da oltretomba dantesco. Giochi d’ombra e luci eteree. Paesaggi solitari e appassionati. Il ticchettio della macchina per scrivere s’innesta sulle corde di una chitarra elettrica. Il canto e le rime. L’eco della selva oscura diventa spaesamento elegiaco. C’è la poesia subliminale di un’artista alle prese con i suoi demoni, con il coraggio di chi sfida la morte, levando un disperato bisogno d’amore. Un’arte pura, immateriale, senza contesto, che catapulta lo spettatore nella vertigine del verso. La chitarra di Riccardo F. Scuccimarra amplifica l’impianto sonoro della narrazione. Le musiche originali a tratti lasciano il campo a registrazioni d’epoca, come il soul ipnotico di Billie Holiday. Lavoro spirituale intriso di mistero, che lascia interstizi per l’immaginario sensuale e l’ironia, così presenti nella vita e nella poetica di quella creatura drammatica che era Sylvia Plath. Il codice performativo minimalista valorizza l’enigma sonoro. Una luminosità impalpabile è controcanto di una poesia eterea e ineffabile.
“La costanza della mia vita”, produzione Fondazione Teatro Metastasio, è il complesso di piccoli e grandi turbamenti, di continue e laceranti separazioni, che marcano il percorso adolescenziale di Pietro Giannini. Il suo monologo è un condensato d’ironia e freschezza che colpisce per la sua sagacia, con una sintassi agile di frasi laconiche, anafore, e la ripetizione del soggetto come rituale apotropaico.
Un ragazzo, una felpa e la voce. Una sedia, la luce, e una presenza magnetica che riempie da sola la scena. Un’ordinaria storia da terzo millennio, paradigmatica delle crisi familiari 2.0. Che chiude Scenario con un inappagabile senso d’umanità.