“Nel Veneto non vengo mai perché rompo i coglioni”. A raccontarlo è Pippo Delbono, sbarcato stavolta, invece, proprio nel ‘profondo est’. “Vengo da una terra maledetta, Napoli, dove c’è una convivenza che al nord manca, e dove invece la differenza sociale è sempre più evidente…”.
E così Delbono arriva finalmente in Veneto. Finalmente perché, dando uno sguardo alla lunghissima tournée della compagnia, compaiono Francia, Spagna, Svizzera, Polonia (dove tra l’altro, il 4 aprile scorso, ha ricevuto il riconoscimento del Premio Europa Nuove Realtà Teatrali), e qualche tappa in centro Italia e al nord-ovest, ma del nord-est, o meglio del Veneto, non vi è traccia.
Il teatro di Delbono è un mezzo per raccontare la differenza, mentre “il pubblico del Veneto è mal abituato – continua il regista – Si aspetta sempre una storia, una narrazione, delle certezze; per il Nord magari è meglio rifare Goldoni”.
Merito, quindi, della direzione artistica del Teatro Aurora di Marghera – che sceglie “Questo buio feroce” per concludere una consolidata stagione di teatro contemporaneo – se il pubblico, affezionato e non, può assistere a questo spettacolo che parla di morte in modo onirico, poetico ed emozionante.
La voce carezzevole di Delbono, paterna, con un ritmo cadenzato quasi fiabesco, ci accompagna all’interno di una stanza bianca, essenziale, accecante. La sensazione è quella di ritrovarsi in un comparto della mente, al cui interno ci sono sia gli attori che gli spettatori, e di scivolare tra il bianco della scena, che a momenti si dilata creando smarrimento, in altri si contrae spingendo ad un grido soffocato. La semplicità e il rigore dello scenografo Claude Santerre esalta la cromaticità di figure e universi sospesi tra sogno e realtà.
E’ un andare verso, lento ma costante. Dal buio alla luce. Dal grido alla risata irrefrenabile, dallo spasimo alla felicità addentata, dall’orrore alla favola d’amore e d’innocenza.
Il buio feroce, che taglia in due il bianco della scena, contiene tutto: la poesia pasoliniana, il carozzone felliniano, il surrealismo di Lynch, il teatro di Artaud e quello di Kantor, la danza di Pina Bausch. Tutto scorre su un ‘tapis roulant’ di musiche meravigliose: la velocità del valzer, le impennate di “My way”, la melodia di Aznavour.
Se la matrice dello spettacolo è letteraria, un incontro casuale (se crediamo alla casualità) con il libro omonimo e autobiografico di Harold Brodkey, scrittore americano morto di Aids, la messa in scena non è narrativa. Semmai è la costruzione visiva e coreografica di un immaginario profondamente irrazionale, come può esserlo la morte, e la vita.
La sensazione che rimane è una leggerezza fatta di colori, di musiche, di poesia, del gioco a nascondino di due picassiani Arlecchini, Bobò e Gianluca, di una danza liberatoria, ricca nel suo essere sporca, con quella goffa armonia di chi danza a modo suo.
Questo buio feroce
ideazione e regia: Pippo Delbono
con: Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Raffaella Banchelli, Bobò, Pippo Delbono, Lucia Della Ferrera, Ilaria Distante, Gustavo Giocosa,Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson lariccia, Julia Morawietz, Gianni Parenti e Pepe Robledo
scene: Claude Santerre
luci: Robert John Resteghini
durata: 1 h 05′
applausi del pubblico: 3′ 48”
Visto a Mestre (VE), Teatro Aurora, il 29 aprile 2009