Macadamia Nut Brittle. L’Haagen-Dazs di Ricci/Forte alla ricerca dell’infelicità

Macadamia Nut Brittle (Ricci/Forte)
Macadamia Nut Brittle
Macadamia Nut Brittle (photo: Mauro Santucci)

Colori talmente sbiaditi che sembra d’aver cambiato pianeta. Ritrovarsi così, da un giorno all’altro, scaraventati nelle sabbie di un deserto lontano anni luce, alla ricerca di un misero motivo per restare. La corrente è gelida, come rotta la ricerca fallimentare di una qualunque piccola felicità, anche solo per confermarne l’esistenza. Il senso del viaggio resta a riposare nello spirito decadente del tentativo nonostante tutto, della difesa a oltranza.

In “Macadamia Nut Brittle” del duo Ricci/Forte c’è davvero poco di Dennis Cooper. Gianni Forte mi spiega che Rodolfo Di Giammarco, critico di Repubblica che cura la rassegna teatrale a tematica omosessuale “Garofano Verde” di cui lo spettacolo fa parte, aveva lasciato a loro la scelta di un autore. Cooper è un eclettico grafomane di Arcadia (California) che, nei propri scritti, di omosessualità parla, sparla, sputa, vomita e grida, calando una cruda realtà esistenziale – degna della più acuminata Sarah Kane – a far da fondale al degrado della provincia americana.

Stefano Ricci, che cura la regia, e il suo “gusto complementare” Gianni Forte, leggono Cooper e poi ne strappano le pagine, seminandole su un terreno lordo di sesso e sangue, disperazione e grottesco. Un viaggio allucinato nel kitsch e nell’eccesso, cadenzato da urla e pianti soffocati: ecco quello che viene sparso, tra sudore, orge e moralità muffita, sul palco del Teatro Belli, di fronte a un pubblico accaldato, attento e alla fine del tutto soddisfatto.

Sono quattro le anime che si agitano in questo girone: tre uomini e una donna. Una messinscena completamente frontale, una regia di calcolo e composizione a dispetto di quanto certi montaggi corali e certa drammaturgia collettiva sembrino voler far credere. Complementi scenici scarni ed estetica della luce quasi assente. Una cruda battaglia infuria contro la forza di gravità: c’è qualcosa che sembra voler schiacciare tutte le speranze, una ad una, una morsa verticale che strangola, tra azioni catartiche dal sapore ‘artaudiano’ e sospiri di monologo.
Nella discesa agli inferi preparata da Ricci/Forte si attraversano gli angoli bui dell’identificazione, dell’autodefinizione, ci si mette in fila in una corsa forsennata alla confessione, un’urgenza di denudarsi, di strapparsi via la pelle, fosse anche solo perché provando dolore ci si accorge di essere vivi. C’è, senza dubbio, la tematica della sessualità, della devianza carnale, del feticismo, dell’affermazione di un disagio che desidera uscire dalle costole, che chiede d’essere nominato.
Per quanto spesso la soluzione fisica tolga il drammaturgo dall’impaccio, se alcune immagini risultano assolutamente vincenti, altre stancano per durata e forse per insistenza. Proprio perché la tematica è chiara e l’immaginario potente; la saggezza si sposta allora nell’estremo controllo, nel rigore estetico, la meta in assoluto più difficile da raggiungere in uno spettacolo d’autore come questo.
Gli attori sono stati selezionati apposta per lo spettacolo – eccezion fatta per la splendente Anna Gualdo – e a loro è assegnato un compito forse troppo difficile: la scelta di contrapporre a momenti di frenesia carnale lunghi monologhi in totale immobilità, la cui pretesa di muovere al pianto è un azzardo estremo per il quale, in definitiva, solo Gualdo ha l’asso nella manica.

Come sempre, la nostra urgenza è anche di offrire agli artisti uno specchio fedele di quel che è uscito dal loro lavoro, uno specchio che aiuti a individuarne eventuali difetti. Gran parte della morale della favola, in “Macadamia”, è conservata nell’acceso attacco alla globalizzazione. L’uomo (o donna o transgender che sia), consapevole della propria deprimente inconsistenza, finisce per obbligarsi da sé a trovare una sorta di status comune, identificato nei prodotti delle multinazionali e nell’immaginario – globalissimo – delle serie tv, fucine di prototipi, fabbriche di manichini omologati.
Sia il fuoco del discorso, sia la modalità di approccio, rimandano direttamente a Rodrigo Garcìa, citato più volte da Ricci/Forte nell’esplosione catartica dello spazio scenico (orge quasi reali, sangue sparato su corpi nudi e sudati, muffin sbriciolati), mezzo per creare una maionese di corpi e oggetti che fa rivoltare lo stomaco. Eppure, quel che manca a questa “citazione” è il tocco poetico che Garcìa padroneggia tanto nel testo quanto nella messinscena. È forse più interessante, in teatro, assistere a un’astrazione, a una sintesi, piuttosto che a una riproduzione delle emozioni realizzata pur sempre in scala.
La crudeltà è un sentimento tra i più difficili da gestire; è sempre dietro l’angolo riflessa l’ombra del compiacimento, che in “Macadamia” ogni tanto prende il sopravvento. Tra disperazione, incomunicabilità e disperazione Garcìa è in grado di prenderci a schiaffi, pugni e calci, di farci ridere al punto da farci vomitare solo per il gusto di mostrarci che lo schifo che abbiamo dentro ce l’abbiamo perché ce lo siamo ingoiato. Ricci/Forte di questo ragionamento sottile ci regalano un accenno, forse qua e là mal governato da attori schiacciati da una responsabilità più grande delle loro potenzialità.
Grande successo, pienone e quasi cinque minuti d’applausi, per uno sforzo teatrale che costa sudore, guadagnandosi comunque grande rispetto.

MACADAMIA NUT BRITTLE – PRIMO GUSTO
di Ricci/Forte (omaggio a Dennis Cooper)
regia: Stefano Ricci
produzione: Ricci/Forte con Garofano Verde e Festival Internazionale Castel dei Mondi
con: Anna Gualdo, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, Mario Toccafondi
movimenti scenici: Marco Angelilli
assistente alla regia: Fausto Cabra
diario di bordo: Francesco Paolo Del Re
durata: 1 h 25′
applausi del pubblico: 4′ 50”

Visto a Roma, Teatro Belli, l’11 giugno 2009
Garofano Verde

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7 Comments

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  1. says: Emilia

    Finalmente il Festival Castel dei Mondi ha cominciato a dare segni di vita con lo struggente e, se posso dire così, bellissimo Macadamia Nut Brittle!!!

  2. says: antonio

    Lunga vita a Macadamia Nut Brittle perchè mi sono sentita finalmente a disagio e mi ha messo in circolo emozioni, pensieri a cui non ero preparata.

  3. says: sergio

    conosco molto bene rodrigo garcìa, fidati. : )
    non so che cosa hai visto tu, ma basta aprire il volume di Ubulibri “Sei pezzi di teatro in tanti round” e farsi un giretto, per dirne una, su “Prometeo”…
    fossi in te ci proverei, aperto a un ripensamento. Se non è poesia la sua, mi chiamo fuori! 🙂
    grazie mille comunque del commento!

  4. says: sergio_klp

    mi dispiace molto per la svista, faremo in modo di correggere al più presto aggiungendo Toccafondi.
    ancora scusate!
    sergio

  5. says: valentina

    no! proprio non sono d’accordo! con tutto il rispetto possibile x garcia che è un genio, ricci/forte vibrano di una poetica feroce e di certo personalissima!
    da spettatrice non ho mai avuto la sensazione che un solo frammento di spettacolo indugiasse su se stesso compiacendosi…..anzi!

    p.s. anna gualdo è un’attrice di qualità superiore,lo si sà….ma ha alle sue spalle anni di carriera che le hanno permesso di diventare quello che è.
    suggerirei un pò di sano incoraggiamento x 3 giovani attori che hanno dato prova di grandi doti oltre che di coraggio e sensibilità!