Ripartire da Berlinguer. Eugenio Allegri si racconta

Eugenio Allegri (photo: klpteatro.it)
Eugenio Allegri (photo: klpteatro.it)
Eugenio Allegri (photo: klpteatro.it)
“Eugenio è in camerino”. Nessuno, al teatro dell’Archivolto di Genova, gli dà del lei o lo chiama per cognome. Forse perché qui, più che da ogni altra parte, Allegri è semplicemente Eugenio, uno di casa. Ed è così che ci accoglie, proprio come quando si fanno entrare in salotto dei vecchi amici e si è contenti di condividere con loro uno spazio dove si sta davvero bene.

Dai camerini ci accompagna sul palco della sala Mercato facendo lo stesso percorso che farà lui, più tardi, per entrare in scena.
Tutto è ormai pronto, tra non molto si svolgerà la seconda replica di “Berlinguer. I Pensieri Lunghi”, spettacolo prodotto dall’Archivolto in collaborazione con lo Stabile di Genova per la regia di Giorgio Gallione.

Un tecnico alza una luce in proscenio e, esattamente come quando si è dall’altra parte, seduti in platea, si può assaporare la magia di quella storica sala genovese che, prima di diventare teatro, è stata un mercato comunale, come ricordano le antiche colonne di ferro ai lati.
Poi ci si volta e siamo dentro lo spettacolo. Due grandi schermi chiudono la scena sul fondo mentre davanti è allestito lo spazio dove si muove il narratore o meglio il narrattore in questo caso. Il colore predominante è il nero delle tante sedie in scena, della moquette sul palco, delle due pedane che, sul fondo, rialzano l’interprete alla vista del pubblico.
Il colore è dato dalle tante proiezioni che si alternano nel racconto appassionato di Allegri, anch’egli vestito di scuro, e che, insieme alla sua particolarissima voce, ci accompagnano attraverso gli anni cruciali della vita politica di Enrico Berlinguer e della storia del nostro Paese.

Un racconto che si nutre delle parole di alcuni grandi intellettuali del Novecento: da Gramsci a Pasolini, da Saramago ad Allende. Un viaggio né biografico né celebrativo, che propone uno spaccato di contraddizioni e utopie, tragedie e speranze, disegnando un’epoca dove fedi e ideologie sembravano ancora possibili.
Una prova che Allegri affronta con l’umanità di sempre, quella delicata veste teatrale che gli permette di costruirsi un tutt’uno con lo spettatore, facendolo sognare con la realtà.
Ed è un mondo, quello dell’impegno civile, etico, morale prima ancora che politico, che Allegri conosce bene perché è stato anche un po’ suo, e di cui avverte la mancanza.

Siamo partiti da qui nella nostra chiacchierata, dal motivo che l’ha spinto a mettersi un po’ allo specchio, non soltanto con la storia d’Italia tra gli anni Settanta e Ottanta, ma con la sua storia personale, con il suo percorso d’attore che lo ha portato da Lecoq a Fo, dagli Area a De Berardinis, da Vacis e Baricco a Gallione in un numero importante di progetti, repliche e spettacoli.
Un processo di maturità artistica costante, che dalle aule di scuola torinesi passando per il collettivo studentesco, gli ha permesso di confrontarsi tanto con la commedia dell’arte quanto con la narrazione più pura degli ultimi anni. Un’esperienza che Eugenio porta innanzitutto in volto, in quella sorta di maschera di umanità dalla quale è difficile distogliere lo sguardo.

Nel confrontarsi con noi guarda spesso verso il basso, pesa con attenzione concetti e parole, soprattutto quando affrontiamo insieme la crisi di un teatro spesso scollegato dai bisogni della società, cristallizzato in formule più vecchie che antiche.
E qui pesa come un macigno la grave situazione che l’Archivolto sta affrontando proprio in questi giorni. A poco sembrano servire, per il momento, gli appelli e l’impegno di molti nomi importanti del panorama teatrale italiano che stanno portando in scena, nelle sale del teatro, molti spettacoli regalando il ricavo alla fondazione.

Questa importante realtà culturale genovese, che ha sempre rappresentato un faro in un quartiere problematico come Sampierdarena, rischia di chiudere i battenti e di lasciare a casa 22 persone, complici una serie di contributi tagliati e mal distribuiti.
La nostra videointervista, come vedrete, ne porta i segni.


 

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