L’amore per l’arte a Roma: da L’Attico in Paradiso di Sargentini al Purgatorio del Valle

Valentina / Irene Petris in Ti regalo un anello|Fabio Sargentini osserva i cavalli di Jannis Kounellis che entrano a L'attico (allora il garage di via Beccaria)
Valentina / Irene Petris in Ti regalo un anello|Fabio Sargentini osserva i cavalli di Jannis Kounellis che entrano a L'attico (allora il garage di via Beccaria)

L’entrata è di quelle che non t’aspetti, almeno se non appartieni alla cultura pennellata ne “Il Gattopardo” o ne “L’uomo senza qualità”; insomma, se non si è avvezzi all’estetica che ha cristallizzato i palazzi nobiliari del centro romano in una piega spazio-temporale senza possibilità di fine, se non a causarla l’incuria dell’essere umano.

Già quell’essere in via del Paradiso, al numero 41, a due passi da Campo de’ Fiori e piazza Navona, è foriero di presagi di bellezza, e di abissi di sorpresa.

Citofono, attendendo che qualcuno risponda col timore di aver sbagliato indirizzo. Invece la porta si apre, e inizia la salita…

Siamo ‘a casa’ di Fabio Sargentini, gallerista, scrittore, regista, icona nel mondo dell’arte, nel senso più ampio del termine.
Lo scribacchino arrivato qui accorrendo a un invito si ritrova negli spazi di un piano nobile anomalo per uno spettacolo.

“Ti regalo un anello”, regia e scrittura dello stesso Sargentini e della compagna di vita e d’arte Elsa Agalbato, vede sul palco, o meglio nell’intimità di quelle stanze, per quel tributo all’arte, accogliente come un sogno, attori eccellenti quali Francesco Bonomo, Irene Petris, Mauro Racanati.
Mentre i nomi che, negli anni, si sono aggirati per queste stanze emergono dalle tante locandine di spettacoli: Roberto De Francesco, Francesco Biscione, un’ancor più giovane Irene Petris, ma anche Lucia Poli

“Chi ha assistito soltanto a qualcuno dei nostri spettacoli che si sono succeduti a L’Attico dal 2007, avrà capito che nel concepirli non partiamo da un testo precostituito, quale esso sia, di un autore classico o scritto di nostro pugno – precisa Sargentini – Il pungolo iniziale deve essere un’idea di spazio forte ed originale. In altre parole è il contenitore che anticipa il contenuto, influenza l’adozione di una storia, e non viceversa, com’è norma nel teatro. Pur tuttavia in questo contesto straniato l’attore rimane un elemento irrinunciabile, l’unico che conferisca accenti di verità al discorso spaziale, di per sé freddo ancorché visionario. Il piccolo teatro de L’Attico si sdoppia, si dilata, si rovescia come un guanto, a suo e a nostro piacimento. Lo scorso anno ci è bastato spalancare una finestra della platea, che dà sulla sottostante piazza del Paradiso, e voilà, Superman è volato dentro a corteggiare Desdemona”.
La commistione fra teatro e fumetti era infatti già iniziata lo scorso anno. E proseguita con questo nuovo esperimento.

Arriva l’invito a proseguire, a passare da una stanza – adibita a ufficio e archivio, memoria di quel luogo – a quello che per noi sarà forse lo spazio destinato al teatro.
Finalmente seduti, i colori degli affreschi paiono sciogliersi, piovendo dall’alto per fondersi nella penombra, che sta vincendo la sua battaglia sulla luce. Di fronte a noi una vetrata dietro cui corre, apparentemente verso un fondo senza fine, la scena, perdendosi nell’oscurità che si animerà di lì a poco.

Il sogno sta per iniziare…
Una giovane coppia di amanti, la Petris e Racanati, entra in scena: intraprende la danza della seduzione, mentre il palco si anima con il ruotare su piedistalli di mani da esposizione (“Il movimento rotatorio degli oggetti si riallaccia ad una concezione di teatro meccanico”, anticipano Agalbato e Sargentini nel foglio di sala). Su di esse il gioielliere Francesco Bonomo adagia nella sua danza garbata gioie preziose, collane e diademi; tra tutte, al centro della scena, la pietra dello scandalo per i sensi contusi, l’anello del titolo, sul quale un fascio di luce concentra il desiderio degli sguardi.

L’uomo, per suggellare la presunzione di quell’amore, lo vuole a tutti i costi comprare per lei. La coppia continua a osservare quel movimento che crea loro un vortice, portandoli dentro il negozio. Bonomo svela il segreto: quell’anello cela una maledizione. Chi riceve quel regalo, rotto l’amore con chi glielo ha donato, non potrà più amare.
La donna, confusa e infelice, va via, inseguita dal suo spasimante: non è amore il loro, è un’illusione dell’uomo, che non riconosce l’incompatibilità dei due, gli rinfaccia lei; lui, dedito solo alle scommesse dei cavalli, alle corse; lei, amante dell’arte e del teatro…

Saranno Tex (Racanati) e Valentina (Petris), personaggi dei fumetti, alter ego della coppia, a concedersi una danza di seduzione ipnotica, in cui verrà coinvolto anche il dormiente Bonomo. Al ridestarsi dal sogno, Bonomo riceverà una visita non proprio inaspettata: l’uomo, che torna a ridare indietro l’anello, e a riprendersi il suo assegno.

Non aspetta altro il gioielliere: quando vede entrare, dopo che è uscito l’uomo, la donna sola, ammette di avere le sue stesse passioni, e le regala l’anello. Dal tempo dell’intimità avvolto dal buio si ode un fracasso: qualcuno ha infranto la vetrata del negozio, cercando di infrangere il sogno del nuovo amore. Ma quell’atto di violenza frustrata non riesce a contaminarlo. “Il proscenio si cosparge di vetri infranti, reali e non simulati, e si configura nei fatti come un attestato di fedeltà all’arte e al teatro”.
È un applauso registrato quello che sembra provenire da dietro gli interpreti a suggellare il patto, rivolgendosi agli spettatori, testimoni e complici finalmente attivi nello sfatare l’avverarsi della profezia.

“Ti regalo un anello” è un gioco che dichiara spudoratamente le sue regole. Nel ribollire di sfumature di colori, d’inventiva di scena e della bravura degli interpreti non si perde in facili fraintendimenti e si beffa della retorica esibendo, con una sorta di onestà naïve, la sua finalità politica: chiede allo spettatore di fare una scelta e di non voltare le spalle al proprio amore, che si chiami arte, teatro, creatività. Sogno di un sogno.

Fabio Sargentini osserva i cavalli di Jannis Kounellis che entrano a L'attico (allora il garage di via Beccaria), il 14 gennaio 1969 (photo: fabiosargentini.it)
Fabio Sargentini osserva i cavalli di Jannis Kounellis che entrano a L’attico (allora il garage di via Beccaria), il 14 gennaio 1969 (photo: fabiosargentini.it)

Il compositore Giacinto Scelsi chiamava Sargentini “il mecenate povero”: è lo stesso regista a ricordarlo nel video “L’appartamento, la palestra, il garage, la barca: L’Attico”. Povero perché quello che guadagnava vendendo opere d’arte, ad esempio di Alberto Burri, lo reinvestiva tutto e subito per finanziare nuove, infinite iniziative, rimanendo di nuovo “povero”.

All’inizio fu lo spazio di piazza di Spagna, attivo dal 1957 e gestito con il padre Bruno: un attico, presumibilmente, al quarto piano. Accanto c’erano le stanze di De Chirico

Galleria d’arte contemporanea, L’Attico si è distinto come ricettacolo d’avanguardia negli anni Sessanta e Settanta, contribuendo al successo di molti artisti tra cui Pino Pascali, Jannis Kounellis, Gino De Dominicis, Luigi Ontani… e ospitando da Mario Merz a René Magritte.

Nel 1968, dopo la morte per un incidente automobilistico di Pino Pascali, L’Attico di piazza di Spagna chiude, per rinascere subito dopo, nel 1969, in un garage in via Beccaria, che Sargentini lascerà nel giugno del ’76, non prima di averlo inondato con 50.000 litri di acqua e, per tre giorni, offrendolo al pubblico come una sorta di lago incantato. Risalirà così nel grande appartamento di via del Paradiso, già attivo dal ’72 e che prosegue tutt’oggi.

Com’è evidente, in tutti questi anni Sargentini non si è limitato all’arte nel suo senso più stretto, ma ha allargato gli orizzonti della sua galleria in una commistione di generi: nel 1968 con la danza di Simone Forti nel Festival Danze Costruzioni, nel 1969 con il festival Danza Volo Musica Dinamite, e le danze e coreografie di Trisha Brown e Steve Paxton, e poi ancora la musica di La Monte Young, Marian Zazeela, Terry Riley… Nel 1970, con Philip Glass e Steve Reich.

Sono anche gli anni del Beat ’72, di Carmelo Bene, delle cantine teatrali: “Tramite l’esempio dell’Attico il teatro sperimentale romano si svecchiò; Mario Martone, Barberio Corsetti si sono nutriti di questo” dichiara lo stesso Sargentini proprio ne “L’appartamento, la palestra, il garage, la barca: L’Attico”.
E lo stesso Simone Carella, fondatore e animatore del Beat ’72, iniziò il suo cammino come collaboratore di Sargentini…

In ambito teatrale inizia le sue sperimentazioni nel ‘79 con “Ballerina”, come ci ricorda Franco Cordelli sul Corriere della Sera. È dello stesso anno “Peter Pan”; nel 1983 “Romeo e Giulietta”; nel 1985 “Ode a Beck”, ultimo spettacolo prima di un lungo riposo: anni di un fermento artistico che ebbe l’appoggio romano del compianto Renato Nicolini, fra i tanti avvalli di qualità all’operato di Sargentini.

È solo nel 2003, con l’inizio del sodalizio con Elsa Agalbato, che ricomincia il cammino di Sargentini nel teatro  con “Il sogno di Orfeo”, per proseguirlo fino ad oggi, ogni anno con un nuovo invito a teatro.

Fabio Sargentini
Fabio Sargentini

Prima di arrivare in via del Paradiso, passo per via del Teatro Valle, per vedere cosa abbia portato, dopo quasi due anni, riconsegnare alle autorità legittimate dalle regole amministrative quel luogo che, nei precedenti tre, era stato occupato da un nuovo fervore creativo. E osservo con mestizia uno spazio dagli occhi ancora spenti.

Proprio in questi giorni, forse per effetto degli scossoni che sembra potranno dare le elezioni a Roma, gli occupanti hanno però rialzato la voce. E si sono presentati al Valle l’11 giugno, rioccupandolo per poche ore, così da spronare l’opinione pubblica a non voltarsi un’ennesima volta dall’altra parte per non guardare; ché ci si renda conto che, dopo 699 giorni, uno dei teatri più antichi e prestigiosi di Roma è stato lasciato a sé stesso, a un’inattività colpevole (un tempo l’accidia era considerata peccato capitale!). In rete circolano foto che ne documentano l’abbandono, i suoi interni dismessi…

I manifestanti, che invocavano giustizia e decenza per lui e per i cittadini romani che credono ancora nell’amore per la cultura, hanno voluto compiere così un atto simbolico di protesta, ponendo cartelli gioiosi come “Siamo aperti” al suo ingresso.

Ma la “partecipazione” è annoverata come un problema di ordine pubblico a Roma, e ha visto l’arrivo rapido della polizia, che ha spento la volontà di festa dopo tre ore di occupazione; con inclusi feriti e contusi come esito finale.
I candidati al Campidoglio Raggi (M5S) e Giachetti (PD), in attesa di ballottaggio, hanno affermato che l’occupazione non serve, perché c’è già un accordo. Anche gli attivisti rispondono che c’è, ma tra il Ministero dei Beni Culturali e Teatro di Roma, e non è mai stato ratificato…
Proprio oggi, martedì 14 giugno, il Comune dovrebbe firmare con il MiBACT un piano di “valorizzazione”. Dopo (quando? E per quanto?) partirà una ristrutturazione da tre milioni di euro.

Intanto l’arte, in quell’Attico in Paradiso, continua da decenni a tenere in vita “il Sogno” e a sperimentare con molto meno.

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