Ad AstiTeatro il debutto dello spettacolo ideato durante il primo lockdown da Ugo Giacomazzi e Luigi Di Giangi
Tra le poche cose positive che il Covid ha portato con sé, c’è di sicuro questa performance derivata dallo stop forzato che il duo di TeatriAlchemici ha subìto, come il resto del mondo, mettendone però a frutto le impreviste opportunità.
“Secret Sacret” è di certo lo spettacolo più interessante tra quelli a cui abbiamo assistito ad AstiTeatro 44.
Il progetto prende avvio durante il primo lockdown, quando Ugo Giacomazzi e Luigi Di Giangi scelgono – più o meno consapevolmente – San Francesco come motore per un lavoro drammaturgico e residenziale di due settimane a Polistena, nella piana di Gioia Tauro: “Senza mirare a una rivoluzione, ci siamo imbattuti nella necessità di dare sempre più valore alle nostre idee spesso distanti da un sistema mainstream, ma non per questo per noi meno valide. Nell’azione di Francesco rivedevamo la forza di un’alternativa in cui abbiamo sempre creduto e che si è rivelata stimolo per pensare in maniera radicale e riscoprire il senso dell’origine. Quella della povertà è proprio la scelta del recupero dell’origine, in cui le parole sono semplici e i gesti si stagliano sulla scena”.
Supportati da normali cittadini e da attrici e attori non professionisti di quella comunità (oltre che dal musicista che collabora con la compagnia da oltre un decennio, Sergio Beercock, curatore nella performance del sound design e delle musiche originali), i due artisti riescono a costruire un vero e proprio coro teatrale che, complici le pietre di fiume preaspromontane portate in scena dagli stessi partecipanti, diventa rito.
Dopo l’anteprima all’interno del festival Popularia, organizzato da Dracma, i due attori siciliani arrivano ad Asti con le valigie colme, pronti per una prima nazionale intensa, essenziale, nuda.
Anche qui hanno bisogno della comunità e così attivano un breve percorso che coinvolge alcuni giovani attori e cantanti locali. Il loro lavoro è per la scena, da subito. Tornano al fiume, cercano insieme le pietre e insieme le raccolgono. Costruiscono il coro lontano dal pubblico ma, nei pomeriggi che precedono il debutto, il picchiettare delle pietre a terra e sui portoni delle case del centro è avvertito da molti.
E’ lo stesso suono che ci chiama a raccolta nella via antistante il cortile dell’Archivio Storico, dove va in scena lo spettacolo.
Le pietre diventano punto di contatto con gli spettatori che, a poco a poco, si trovano dentro la performance, pur guardandola dall’esterno.
Il canto, le parole e i gesti accompagnano il lento procedere della platea che, varcato il portone d’entrata, può quindi accomodarsi nel giardino dopo aver restituito tra le braccia di Luigi Di Giangi le pietre ricevute in dono come “coscienza del teatro”. Una ritualità collettiva simbolica che rimanda in parte alle performance del Living Theatre, dove al pubblico veniva chiesto di partecipare attivamente a piccole azioni collettive che diventavano poesia, atto politico esplicito.
Sarà l’attore stesso, con la massa di sassi ricevuti dagli spettatori e accumulati al ventre, a dare il via all’azione rovesciandoli sul corpo del compagno, un Francesco stremato a terra su un materasso, anch’esso di pietre, al centro della scena. Il rito prende vita, il dialogo dei due si incarna in azioni concrete. Talvolta è un duello, altre un confronto scherzoso. E’ il gesto stesso a farsi parola, mentre il verbo è spesso sostituito da suoni, versi di animali, rumori della natura. I due protagonisti sono totalmente in preda alla performance. Seguono di certo una linea drammaturgica chiara, ma lo spazio per l’improvvisazione e l’ascolto reciproco è dichiaratamente ampio e profondo.
A tratti assistiamo a giullarate quasi blasfeme nel dialogo del santo con il lupo, alternate alla graduale presa di coscienza dell’uomo verso qualcosa di spirituale che fa paura. Si riparte dalla pietra, dalle macerie di grandi architetture teatrali ormai disintegrate per ricostruire dal nulla. Per questo la povertà della messa in scena è pressoché totale. Una piccola luce illumina la parte centrale del giardino, pochi microfoni a filo sono collocati per terra, sull’erba e utilizzati per enfatizzare alcuni passaggi.
Il santo inconsapevole si rivolge quindi ai grandi drammaturghi del passato, urla oltre il possente muro antico che delimita il cortile sul fondo, chiede a Stanislavski e Artaud di poter entrare, di essere ammesso alla Storia proprio perché primo performer tanto sperimentale quanto universale. Sono i santi assenti di quella chiesa chiamata Teatro dalla quale è stato incomprensibilmente escluso.
Alla fine, nudo come un verme e in preda ai fumi di un’estasi molto terrena, lo straordinario San Francesco di Giacomazzi si lancia alla scalata della parete, mentre lo spettacolo si conclude lasciando il rito aperto al suo mistero, e per questo diverso e imprevedibile di sera in sera.
Secret Sacret
Ugo Giacomazzi drammaturgia, regia, recitazione
Luigi Di Gangi drammaturgia, regia, recitazione
Beercock sound design e musiche originali
Produzione Teatrialchemici
Management Vittorio Stasi
Con il sostegno di Dracma Teatro e RISO – Museo d’arte contemporanea della Sicilia
durata: 1h 20′
applausi del pubblico: 3′ 02”
Visto ad Asti, Cortile dell’Archivio Storico, il 25 giugno 2022
Prima nazionale