Primo Levi. Nel segno del chimico, a 25 anni dalla morte

Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi
Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi
Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi (photo: annodellachimica.unito.it)
Venticinque anni fa come oggi, 11 aprile 1987, moriva a Torino Primo Levi.

La forza delle parole. La forza delle parole che bastano a loro stesse, senza bisogno di troppi orpelli.
Così cinquanta minuti di lettura servono a ricordare l’uomo, lo scrittore, il partigiano, ma soprattutto il chimico. Minuti che passano in un attimo e riporti a casa un messaggio chiaro e limpido.

“Il segno del chimico” è un dialogo con Primo Levi diretto ed interpretato da Valter Malosti per ricordarne la figura, anche nei suoi lati meno noti. Lo spettacolo non nasce per questo anniversario, ed è già stato presentato con successo nel 2010 e nel 2011, anno internazionale della chimica.

La scena è scarna ma efficace. Un lungo tavolo bianco dove man mano verranno proiettate parole chiave del testo. Luci al neon attorno alla scena, che cambieranno di colore col passare del tempo e delle parole. Due sedie, una per l’intervistatore Domenico Scarpa (sua la selezione dei testi), una per Levi/Malosti.
A lato un blocco di marmo di undici quintali, una scultura (Il guardiano) dell’artista tedesca Antje Rieck.
 
Di Primo Levi abbiamo la memoria scolastica dei testi nati dall’esperienza della prigionia ad Auschwitz. Nel “Segno del Chimico” si torna alle origini della sua vita, quella vita di studio e lavoro come chimico. Una ricerca delle radici, quasi.
Accompagnati dal rumore del bollore degli alambicchi e da quello dei vetri delle ampolle così facili da rompere, ripercorriamo così la storia di Levi, quell’essere chimico nel profondo, quella capacità di diventare àncora di salvataggio anche nel lager.

I suoi testi scorrono, si fanno vita nel dialogo/intervista, fino a chiudersi nel viaggio finale.
Siamo con lui all’esame di chimica, nei laboratori di Auschwitz, lui come Edipo di fronte alla sfinge che, nella pena del ricordarsi “uomo”, prova la stessa febbre degli anni universitari. “Se questo è un uomo” scritto già lì. Lui scienziato e superstite che ha lasciato sulla propria carne il marchio di quel mondo: 174517. Marchio tatuato, insieme a quello che tutti i chimici portano sul palmo delle mani: la bocca dell’ampolla troppo fragile per non rompersi, lascia il segno dei vetri.

Si diceva la forza delle parole. Perché all’inizio stenti a trovare Primo Levi nella figura “possente” di Valter Malosti. Perché all’inizio vorresti ritrovare quell’omino con gli occhiali, timido, quasi fragile. Poi le parole si staccano e viaggiano da sole. La forza del teatro, allora.

Timido sì, Primo Levi, ma forse di una timidezza data dalle prime leggi razziali che rendevano gli ebrei “diversi”. Timido ma capace di rubare per fame, capace dell’esuberanza di attraversare l’Europa devastata dalla guerra.
E così “La storia di un atomo di carbonio” diventa poesia pura, a ricordarci che tutto è in mutamento continuo, che la vita ribolle come in un alambicco, reagisce e continua.

“In un qualsiasi momento, io narratore decido per puro arbitrio che nell’anno 1840, un colpo di piccone lo staccò e gli diede l’avvio verso il forno e la calce, precipitandolo nel mondo delle cose che mutano.
Venne arrostito affinché si separasse dal calcio, il quale rimase per così dire coi piedi in terra e andò incontro ad un destino meno brillante che non narreremo; lui, tuttora fermamente abbarbicato a due dei tre suoi compagni ossigeni di prima, uscì per il camino e prese la via dell’aria.
La sua storia, da immobile, si fece tumultuosa.
Fu colto dal vento, abbattuto al suolo, sollevato a dieci chilometri.
Fu respirato da un falco, discese nei suoi polmoni precipitosi, ma non penetrò nel suo sangue ricco, e fu espulso.
Si sciolse per tre volte nell’acqua del mare, una volta nell’acqua di un torrente in cascata, e ancora fu espulso.
Viaggiò nel vento per otto anni: ora alto, ora basso, sul mare, e fra le nubi, sopra le foreste, deserti e smisurate distese di ghiaccio; poi incappò nella cattura e nell’avventura organica.[…] L’atomo di cui parliamo, accompagnato dai suoi due satelliti che lo mantenevano allo stato di gas, fu dunque condotto dal vento, nell’anno 1848, lungo un filare di viti.
Ebbe la fortuna di rasentare una foglia, di penetrarvi, e di esservi inchiodato da un raggio di sole”.

Il segno del chimico. Dialogo con Primo Levi
diretto ed interpretato da Valter Malosti
selezione dei testi a cura di Domenico Scarpa
voce registrata: Giovanni Moretti
suono: Gup Alcaro
scultura: Antje Rieck
produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi e Intesa Sanpaolo
durata: 50′
applausi del pubblico: 2′ 50”

Visto a Moncalieri (To), Fonderie Limone, il 4 aprile 2012

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