Datemi un rimedio, anche provvisorio, che interrompa la numerazione assillante
Di questo giorno incalcolabile senza nessun termine
e tutto contato!
Unica opera teatrale di Elsa Morante, “La serata a Colono” viene rappresentata per la prima volta assoluta da Mario Martone, che conferma così il sodalizio artistico con Carlo Cecchi.
Lo spettacolo, al suo debutto a Torino, rappresenta il delirio che si distende sulle pareti del reparto in cui un alienato che si crede Edipo sanguina in monologhi di esasperata coscienza l’eco della tragedia di Sofocle. E’ assistito da una figlia, che lui chiama Antigone, mentre pazienti e medici si alternano nel coro.
È novembre, la scena si svolge nel policlinico di una città del sud – collocazione geografica suggerita dal linguaggio fortemente dialettale di questa “ragazzina selvatica e tremante sui 14 anni”, che entra, a seguito del padre, nel corridoio adiacente al reparto neurodeliri, in cui i due stazioneranno per tutto il corso dello spettacolo.
L’alienato-Edipo è legato a una barella con fasce di contenimento e ha gli occhi bendati: Carlo Cecchi si troverà così a sostenere un monologo di un’ora e mezza quasi immobile e senza vedere nulla. E proprio per questo, in fase di allestimento, ha chiesto a Martone di filmare le prove, per avere un’idea di ciò che capita intorno a lui.
Cieco, questo non-Edipo si abbandonerà al sofferto caos visionario, cui faranno da inconsapevole contenimento le ingenue risposte della figlia-Antigone, che si allontanerà dalla barella del padre solo nel vano tentativo di portarvi le attenzioni dei medici.
Intorno a loro si muovono voci e corpi di altri pazienti che, man mano che il monologo edipico s’addensa, si aggiungono alla narrazione ossessiva e, alternandosi ai medici, alimentano una struttura parodistica fatta di citazioni, canti aztechi, echi della Beat Generation e visioni allucinate.
Martone tenta di esprimere quella che ritiene essere una proiezione della psiche del protagonista allargando lo spazio scenico alla platea: sette alienati girano tra il pubblico, ognuno in preda ai propri spasmi malandati, salendo sul palco solo quando il coro che formano “diventa l’interlocutore di Edipo, recitando frasi delle Trachinie di Sofocle”.
Lo spettacolo, che resterà a Torino fino a domani, 27 gennaio, per poi raggiungere Roma e proseguire la tournée italiana fino ad aprile, con una tappa a Monaco di Baviera tra il 7 e l’8 marzo, è il primo tentativo arrivato a conclusione di mettere in scena un testo cui già Carmelo Bene e Eduardo De Filippo, e poi Vittorio Gassman e altri, avevano pensato nel corso degli anni Settanta.
Ci troviamo di fronte alla produzione di punta di questa stagione dello Stabile di Torino, che Martone dirige, e l’attesa per vedere di nuovo Cecchi è alta: ci aspettiamo un protagonista pronto ad abbandonarsi all’emorragia di parole di Edipo. Vorremmo sentire il testo della Morante, messo in scena per la prima volta a più di quarant’anni dalla sua pubblicazione, vibrare nelle parole di un uomo che, oltre ad essere uno dei più noti attori della scena italiana, fu grande amico della scrittrice.
Purtroppo, però, al Teatro Carignano, ci dobbiamo rassegnare a un’interpretazione già vista. Impossibile non pensare infatti a Hamm, il vecchio paralitico di “Finale di Partita” di Samuel Beckett, cui l’attore fiorentino dedicò una versione nel ‘96.
Certo, il paragone è facile: in entrambi i casi i due protagonisti sono costretti a una posizione di immobilità – Hamm seduto su una poltrona a rotelle in casa propria, l’Edipo della Morante sdraiato e legato a una barella in un sanatorio psichiatrico.
Ma non è solo questo ad accomunarli: di nuovo troviamo un Cecchi che mastica le parole fino a divorarle, in solenni e rantolanti ruggiti che, se in “Finale di Partita” servivano a caratterizzarle voracemente ed efficacemente, qui ne affossano la vitalità.
All’inizio verrebbe quasi da chiedergli di regalarci la sola lettura del testo, accompagnata dalle azzeccate suggestioni musicali di Nicola Piovano e dal vociare confuso e creativo dei matti; inizia a piacere a spettacolo inoltrato, quando ormai ci si è fatti l’orecchio.
Peccato anche per Angelica Truppo, che perde lo slancio di un’Antigone devota e testarda nella studiata titubanza che accompagna pedante le sue battute. Il ritmo di Antigone sta nelle sue parole affamate, nel loro susseguirsi traboccante, in frasi spaesate e mute per chi non vi scorge che una nenia.
La secca determinazione di Edipo non necessiterebbe d’altro che di voce, pronta a insinuarsi libera nei suoi magmatici versi. E allora si avverte troppa interpretazione nei due protagonisti, soffocando a tratti un testo che, come il regista Martone ben comprende, ha una “struttura poetica precisa e implacabile alla quale ci si deve affidare ad occhi chiusi”.
Più apprezzabile allora, nella sua essenzialità, Angelica Ippolito, la suora che accompagna con scherno materno l’alienato-Edipo, preludendone la fine con la sua fagocitante ombra.
Da sottolineare con entusiasmo invece i giochi di luce studiati da Pasquale Mari, che nutrono di suggestione l’atmosfera, ben suggerita dall’allestimento: a sinistra, appena fuori dalla scena, su un palco che non conosce quinte laterali, due musicisti accompagnano discreti alcune battute degli attori; due porte spalancate si spartiscono la quinta di fondo; per terra, microfoni e casse come ruderi fanno da appoggio a medici e pazienti.
Meravigliosa la scelta registica di far crollare il sipario, chiuso lentamente durante gli enigmi che Le Voci propongono a Edipo, mostrando una scena vuota, a conferma della morte del protagonista.
LA SERATA A COLONO
di Elsa Morante
con: Carlo Cecchi, Antonia Truppo, Angelica Ippolito
coro: Giovanni Calcagno, Salvatore Caruso, Dario Iubatti, Giovanni Ludeno, Rino Marino, Paolo Musio, Franco Ravera
guardiani: Victor Capello, Vincenzo Ferrera, Totò Onnis
dottore: Rino Marino, Francesco De Giorgi (tastierista), Andrea Toselli (percussionista)
regia e scene: Mario Martone
musiche: Nicola Piovani
fondale: Sergio Tramonti
costumi: Ursula Patzak
luci: Pasquale Mari
suono: Hubert Westkemper
aiuto regia: Paola Rota
produzione: Fondazione del Teatro Stabile di Torino/Teatro di Roma/Teatro Stabile delle Marche
Visto a Torino, Teatro Carignano, il 24 gennaio 2013
ho visto ieri lo spettacolo e trovo in questa recensione la vera misura della Serata a Colono.
La bellezza e la forza poetica del testo viene ridimensionata dall’eccesso interpretativo degli attori
che non riescono a coinvolgere ..sicuramente leggerò il testo della Morante ma all’Argentina mi sono
lungamente annoiato