Si nota all’imbrunire un certo distacco. I colori sfumano come acquarelli, le pareti delle case sotto quella luce incerta perdono un colore proprio, definito, sembrano palinsesti.
Si nota all’imbrunire una resistenza degli oggetti, non solo quelli tecnologici, alla nostra volontà, ai nostri gusti, un’ostinazione a cui bisogna soggiacere. E comunicare con le persone, anche quelle più prossime, è difficile, sembrano tutte impegnate in battaglie inutili o comunque incomprensibili.
Si nota su sé stessi all’imbrunire un’insistenza, un impigliarsi nelle proprie fissazioni, un’incapacità segnarne la tara, di contrattare tra esse e le vite altrui. Una pigrizia, un desiderio di restarsene seduti, in disparte. La sofferenza, quella che fa piangere, come i colori sfuma. E sfuma, infine, anche il confine, un tempo netto, tra ciò che è e ciò che si vorrebbe fosse, tra la realtà e tutto il resto.
È lo stato, più volte esplorato, dell’approdo alla vecchiaia, che nella attuale tendenza alla ‘patologizzazione’ oggi si chiama solitudine sociale. Ed è il tema centrale del nuovo testo di Lucia Calamaro, messo in scena dall’autrice in prima assoluta per il Napoli Teatro Festival Italia 2018 al teatro San Ferdinando, in una raffinata messinscena con l’unione inscindibile e perfetta tra illuminazione di Umile Vainieri e le scene di Roberto Crea – nonostante qualche imperfezione nell’amplificazione delle voci, schiacciate nei timbri e nelle dinamiche.
Silvio (Orlando) è vedovo da dieci anni e attende nella sua casa lontana e sperduta la visita dei tre figli e del fratello, per la tradizionale commemorazione della defunta, oltre che per il suo compleanno, che cade il giorno prima.
I personaggi dei figli hanno caratteri i cui semi sono rintracciabili negli spettacoli precedenti e nell’interpretazione di attori fortemente caratterizzati, già impiegati con successo dall’autrice: la poetessa incompiuta (Alice Redini), un po’ nevrotica come coloro che mancano di genio, condannata alla pena di un apprendistato infinito, scrive versi di altri credendoli (o spacciandoli per) propri; l’eterno precario, senza obiettivi chiari, perso nei lavori più impensati e meno qualificati (a cui Riccardo Goretti dà una qualità di tenace leggerezza, rimbalzando sulle battute come un sasso sulla superficie dell’acqua); la figlia perbene (Maria Laura Rondanini), che pare aver dato un ordine tradizionale alla propria vita e che invece subisce il ruolo auto-assunto di faro razionale della famiglia come un martirio necessario e un’intollerabile violenza. C’è poi il fratello di Silvio, Roberto Nobile, che impersona un modo incosciente e veramente contemporaneo di invecchiare, personaggio in bilico tra assurdità giovanilistiche e la critica verso un certo milieu intellettualoide citazionista da “borghesia illuminata”.
Silvio, strattonato da questi quattro sguardi, se non forti sicuramente ostinati, anziché cedere alle lusinghe di uno o dell’altro (del sentimentalismo, della pietà, dell’orgoglio, del buon senso) finisce per sollevarsi dal piano su cui queste forze insistono, galleggia, trova e assapora davvero la solitudine, al di là di ogni ritorno. Senza piacere, senza dolore. È quel distacco che si prova appunto all’imbrunire.
La scrittura di Lucia Calamaro esplora questa zona di transizione con preoccupazione sincera, e con una tessitura testuale oggettiva e piana, una giusta oscillazione tra momenti leggeri e meno leggeri, per tenere viva l’attenzione su uno spettacolo non breve, che nello scorrere inarrestabile delle battute patisce pochi silenzi, preferendo piuttosto giovarsi di controscene dalla valenza simbolica o momenti di concertato realistico, in cui le frasi si sovrappongono restituendo la concitazione di un chiacchiericcio di casa.
Debitrice soprattutto di sé stessa, di un’analisi lucida del proprio percorso, l’autrice pare impegnata in un lavoro di sottrazione degli elementi estranei rispetto a una drammaturgia nei temi e nei mezzi completamente tradizionale, espungendone quasi completamente anche quelli colorati di una certa magia e personalissima surrealtà a cui ci aveva abituati, per puntare verso una cosciente emersione al livello della superficie, verso una raffinazione del dettato, sempre meno letterario e sempre più drammaturgico, sempre più “in prosa”, in tutti i sensi, in cui anche le voci dal profondo sono accenni, semplici inviti. Chissà che qualcosa non vada perduto, in quest’operazione.
Qualche momento lirico è pur sempre mantenuto nel testo, e per chi ne ha gusto sono i momenti migliori – come la ricostruzione dell’innamoramento di Silvio per la moglie attraverso la storia dei piedi di lei. Insomma, non si aprono spaventose cave a colpi di dinamite, si gettano semmai sassolini nel collo di un pozzo, aspettando il suono del fondo – che arriva presto o tardi, o magari per niente.
I brevi monologhi di Silvio, la cui intermissione lascia talvolta uno “scalino” nel flusso, interrompono pirandellianamente i battibecchi, e si spiegano davvero e definitivamente solo nel finale, quando si rivelano non tanto dichiarazioni filosofiche (sempre un po’ troppo estemporanee per esserlo), quanto interiori aggiustamenti di un discorso tutto proprio, non comunicativo. Una sorta di riassestamento delle proprie convinzioni, all’imbrunire.
La morte, lei è sempre presente, come lo era, fortissima, nei lavori precedenti. Ma qui non è un mostro alle porte o appeso al soffitto, né una compagna di cui non ci si riesce a liberare, che grida le sue ossessive ragioni. L’oscurità di questa presenza, nel nome di chi non c’è più e nella quotidianità di un lungo “congedo del viaggiatore cerimonioso” (come scriveva Giorgio Caproni), è un silenzioso fiume sotterraneo, il cui mormorio si nota, appunto, solamente all’imbrunire.
Al Festival dei Due Mondi di Spoleto il 12 e 13 luglio.
SI NOTA ALL’IMBRUNIRE (Solitudine da paese spopolato)
di Lucia Calamaro
con Silvio Orlando
e con (in ordine alfabetico) Riccardo Goretti, Roberto Nobile, Alice Redini, Maria Laura Rondanini
scene Roberto Crea
costumi Ornella e Marina Campanale
luci Umile Vainieri
regia Lucia Calamaro
produzione Cardellino srl
in coproduzione con Teatro Stabile dell’Umbria
in collaborazione con Fondazione Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia
Spettacolo presentato nell’ambito del protocollo d’intesa tra Napoli Teatro Festival Italia e Festival dei Due Mondi di Spoleto.
durata: 2h (con intervallo)
applausi del pubblico: 2’ 30’’
Visto a Napoli, Teatro San Ferdinando, il 1° luglio 2018
Buongiorno, chiedo se esiste un testo pubblicato di questo spettacolo, non avendo possibilità di andare a vederlo.
Grazie
Salve Paola, il testo è stato pubblicato da Marsilio. Può acquistarlo anche al link che trova sopra le stelle, nell’articolo… sarebbe un aiuto anche per noi 🙂