Silvio Barbiero nei Groppi d’amore di Tiziano Scarpa

Silvio Barbiero in Groppi d'amore
Silvio Barbiero in Groppi d'amore
Silvio Barbiero in Groppi d’amore

È l’educazione sentimentale di Scatorchio, come definita da Silvio Barbiero, ad andare in scena nella scuraglia del Doppio Teatro a Roma; un teatro che, per la sua collocazione, impone fin da subito al pubblico di infilarsi sotto l’epidermide del rione Prati, il quartiere romano che lo ospita, per calarsi nel buio della scena dove “lu pauro e la bellezza ce s’attizzano battaglio per cunquistà la scuraglia de l’ommeno”.

Forse ascoltando la lingua con la quale il protagonista si racconta, Luigi Meneghello avrebbe affermato nuovamente che “nell’epidermide di un uomo si possono trovare, sopra, le ferite superficiali, vergate in italiano, in francese, in latino; sotto ci sono le ferite più antiche, quelle delle parole del dialetto”. D’altronde quali sono le ferite più ataviche di un uomo, se non quelle dovute all’attaccamento alla propria terra, al proprio concetto di divino, e al proprio amore?

Così, quando la luce in sala si spegne, il monologo scritto in un idioma inventato da Tiziano Scarpa ma nostro, plasmato attingendo ai dialetti centro-meridionali, vibra come un diapason al quale bisogna accordarsi per riuscire ad entrare in contatto con la nostra parte più primitiva, più autentica, emotiva.

L’incomprensione iniziale della lingua si fa metafora dell’educazione sentimentale, il linguaggio nuovo ci impone di imparare nuovamente a sentire, e lascia intuire al pubblico e al protagonista una luce in fondo alla ‘scuraglia’. Ancora una volta il teatro non si ferma alla mera rappresentazione della realtà, ma la ricrea, grazie anche alla regia di Marco Caldiron, alle musiche evocative di Sergio Marchesini e Debora Petrina, e al costume di Anna Cavaliere che disegna l’habitus di uno straordinario personaggio, giullare e solitario, poeta e clown.

La storia che Scatorchio racconta e vive, da solo in scena ma dando l’impressione di tener per mano il paese intero, è la storia di un uomo che procede carponi, per tentativi, seguendo le pulsioni cieche del suo corpo, lasciando che il suo amore per Sirocchia rimanga un’idea immaginata e lontana “comme ne lu distanto de lu stellatico, ne la luntananza de lu ponziero”.
Per far dispetto al suo rivale in amore, il protagonista convince i compaesani ad accettare la costruzione di una discarica in cambio di un ripetitore televisivo.

L’amore di Scatorchio volgerà comunque al termine perché Sirocchia non è disposta ad essere amata ‘al buio’, come immaginata e quindi come assente, al pari dei fantasmi di Scatorchio. Il protagonista perde così l’amore, e al dramma sentimentale fa eco il dramma civile di un paese sommerso dai rifiuti e dal “putro de tutto lu munno miridione” che lentamente muore, mentre Scatorchio, sempre più lontano dal profumo di violaciocca dell’amata, tenterà invano di riconquistarla.

In un effervescente alternarsi di suoni antichi e onomatopeici, di intime conversazioni con Gesù e con una religiosità di provincia limitante, di rapporto tra uomo e natura, Scatorchio si ritrova a placare il suo “doglio d’ammure” con l’asinella del rivale, rendendosi asino anch’egli, perché una parte di lui è asino, gli è nemica, direbbe Platone; ma è proprio sub specie asini che sembra avvenire per Scatorchio la presa di coscienza che lo porterà poi alla sua personale redenzione.

In un paese ormai morto, abbandonato da tutti, il protagonista rimane a nutrire il lutto della perdita del suo amore, impersonificato dalla vedova Capecchia, fino a quando cederà sotto la cattedrale di monnezza. A salvarlo, in un finale intimo e poetico che fa da lavacro rituale, sarà una figura avvolta in uno scafandro.

“Chi è secondo te la figura nello scafandro?” chiediamo alla fine a Silvio Barbiero: “È la donna che arriva quando non la cerchi”. Già.
Silvio Barbiero, vincitore del premio miglior attore al Roma Fringe Festival 2014, solo in scena e senza scenografia alcuna, con indosso soltanto la solitudine del protagonista, è magistralmente tutto questo.

È l’attore stesso, sceso a Roma dal nord Italia ma per metà di origine campane, a raccontarci nel foyer che, ascoltando il testo di Scarpa per la prima volta, ha provato una sorta di ‘vocazione’: “Questo è l’unico spettacolo per il quale non ho bisogno di prepararmi – ci racconta – Mi basta entrare nel buio della prima scena e dopo i primi due ‘Gesù’ è Scatorchio che inizia a parlare. Ogni volta mi chiedo se ciò che racconta sia successo millenni fa o stia succedendo in quel preciso momento. Io non lo controllo, sono solo uno strumento, il premio al Fringe l’ha vinto Scatorchio”.

Ci si sente strumenti antichi accostandosi a questo spettacolo, e accordato al diapason della lingua di Scarpa, Barbiero riesce a suonare un inno al coraggio di sapersi guardare.

GROPPI D’AMORE NELLA SCURAGLIA
di Tiziano Scarpa
con Silvio Barbiero
scene di Paolo Bandiera
costumi di Anna Cavaliere
foto di scena e locandina di Fabrizio Caperchi
musiche di Sergio Marchesini e Debora Petrina
regia di Marco Caldiron

durata: 57’
applausi del pubblico: 1’ 45’’

Visto a Roma, Doppio Teatro, 8 febbraio 2015

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