Tra gli artisti ospiti a Bologna Marco Chenevier, Sara Vilardo, Nicola Galli e Carlo Cerato
È il terzo anno consecutivo che, a Bologna, Teatri di Vita ospita la Residenza dello Spettatore all’interno di ResiDANZE di primavera, una piccola rassegna, giunta alla sua ottava edizione, che incrocia lavori ex novo, creati in residenza, con spettacoli di danza e teatro fisico.
L’insolito appuntamento nasce da un’intuizione di Stefano Casi (da sempre “ossessionato” dal ruolo del pubblico all’interno dello spettacolo dal vivo), che sceglie di coinvolgere una piccola rappresentanza di spettatori nel programma triennale “Epifania delle residenze”, condiviso da sette strutture, titolari di residenza, in Emilia-Romagna.
Così per un’intera giornata, un gruppo ristretto di abbonati, scrupolosamente selezionato da Casi, prende parte a un incontro informale con un artista e un critico teatrale, invitati appositamente per l’occasione. L’incontro a porte chiuse verte ogni volta su un tema diverso, per guardare il mondo del teatro da più angolazioni.
Quest’anno La Residenza dello Spettatore, avvenuta l’8 giugno, ha coinvolto otto spettatori di età diverse che, in compagnia dell’artista Marco Chenevier e di chi scrive (Giulia D’Amico) hanno accettato l’invito di ritrovarsi a vivere un’esperienza immersiva di condivisione, attorno al tema “Relazioni”. Un tempo e un luogo in cui potersi esprimere e confrontarsi liberamente su opinioni, sguardi, esperienze, a partire dalla propria relazione con il teatro. Alcuni spettatori lo vivono come un luogo di affrancamento in cui trovare rifugio e staccarsi dal caos della vita quotidiana; altri come un veicolo per entrare in contatto con la bellezza; altri ancora lo percepiscono come un’arte elitaria, destinata a una cerchia ristretta di persone che non si rispecchia nelle proposte più commerciali dei mass media.
È interessante dare ascolto ai vari vissuti degli spettatori, entrare in contatto con la loro percezione circa il ruolo di pubblico che si trovano ad assumere, in maniera più o meno critica, responsabile e partecipe, ogni qual volta occupino un posto in platea.
L’incontro prende velocemente l’asset del dibattito, interrogandosi vicendevolmente sulla funzione del teatro oggi e sul ruolo dell’artista in una società altamente capitalista, in cui anche l’arte risponde alle logiche consumistiche di mercato. C’è molta curiosità da parte degli spettatori, che pongono domande sui meccanismi produttivi interni di uno spettacolo, sull’influenza della critica in merito alla circuitazione, sulla politica culturale ed il modo in cui determina il fare teatro in Italia.
Ma lo spettatore che ruolo gioca in tutto ciò? È attivo o passivo? Come rientra nei meccanismi produttivi di un’opera? Come può instaurare un dialogo con la critica teatrale? Che peso assume all’interno delle logiche di politica culturale?
Non tutte le sollecitazioni trovano opinioni condivise e l’incontro prolifera in maniera dialettica, lasciando spazio anche al racconto personale.
Ecco dunque che, poco alla volta, gli spettatori si trovano a riflettere, più o meno consapevolmente, sul proprio ruolo, rintracciando il momento in cui andare a teatro si è trasformato in una vera e propria vocazione, diventando sostenitori della cultura e non più semplici consumatori.
La giornata si chiude con la visione di due performance d’arte partecipata, che, seppur in maniera diversa, offrono al pubblico la possibilità di assumere un ruolo attivo all’interno dello spettacolo.
Il primo lavoro, “Sirene”, a cura dell’artista in residenza Sara Vilardo, propone una camminata poetica per il quartiere di Borgo Panigale, tra alberi e cemento, parchi e ospedali, la chiesa e il cimitero, sottopassi e luoghi liminali, angoli nascosti e scorci di natura selvaggia. L’artista guida il percorso in silenzio, a passo svelto, mentre le persone la seguono, dotate di zainetto e un paio di cuffie. Accompagnati da una musica meditativa e la lettura di un testo, i partecipanti si ritrovano coinvolti in una serie di azioni simbolico-rituali, sperimentando su di sé quanto possa essere forte il legame d’appartenenza alla propria casa, alle persone e agli oggetti che la abitano, da cui non vorrebbero mai doversi separare.
Il secondo lavoro, “Quintetto”, di Marco Chenevier, instaura da subito un dialogo diretto con il pubblico, a partire dal setting teatrale tradizionale palco/platea. L’attore racconta con grande apertura la genesi dello spettacolo e le difficoltà economiche che ha dovuto affrontare, trascinando il pubblico in una narrazione sempre più surreale, dai toni comici e grotteschi. Man mano che gli spettatori si fanno sempre più partecipi dello spettacolo, diventando essi stessi un ingranaggio del motore creativo, gli schemi e le convenzioni teatrali si vanno sgretolando, offrendo alla teatralità la possibilità d’esplorare i propri linguaggi in maniera ibrida e anticonvenzionale. Anche chi del pubblico rimane in platea a guardare riesce a godere pienamente dello spettacolo, osservando la genesi di una nuova relazione tra pubblico e artista.
Un lavoro audace e raffinato, del quale non possiamo raccontare i dettagli per non sottrarre godimento a chi lo vedrà in futuro. Ci limitiamo dunque a dire che Chenevier, giocando sapientemente con la commistione tra i generi, mescolando danza e teatro, dà vita a una performance d’arte partecipata, in cui il ruolo attivo del pubblico amplifica, in maniera genuina ed esilarante, l’effetto comico dell’imprevisto.
Ma la programmazione di Teatri di Vita è sempre sfaccettata. E durante la primavera ha infatti ospitato altri spettacoli che hanno portato il pubblico anche a una riflessione sul presente.
Il testo di Svein Tindberg alla base di “Figli di Abramo”, tradotto e rappresentato per la prima volta al di fuori della Scandinavia grazie a Teatro del Loto – Teatri Molisani, parte da un’intuizione semplice e proprio per questo efficace: usare la storia del profeta Abramo e i legami della sua stirpe con tutte e tre le grandi religioni monoteiste per mostrare la vicinanza tra popoli e gruppi religiosi le cui differenze, viste da quella prospettiva, appaiono così molto piccole.
La drammaturgia a tratti attinge dai tre testi sacri, all’interno dell’escamotage narrativo dell’avventura di un attore in visita a Gerusalemme a cui viene raccontata questa storia. Un monologo che richiede una grande prova fisica a Stefano Sabelli, che la regge sostanzialmente bene, supportato dalla musica dal vivo di Manuel Petti, Marco Molino, Irene Apollonio, Daniele Giradina, Lorenzo Mastrogiuseppe, e da una scenografia composta da qualche tappeto a ricreare immaginari mediorientali, qualche puff e un leggio che a volte si fa pulpito, con cambi di registro interpretativo non semplici ma ben riusciti.
La video proiezione posteriore, tra spezzoni di immagini di libri e persone in cammino, sostiene efficacemente il tentativo di movimentare e dare vita al racconto delle numerose vicende, personaggi, luoghi del mondo, tenuto in piedi da un solo attore.
Nel complesso un’esperienza senza dubbio arricchente, non solo per i contenuti quanto mai necessari nel mondo odierno, ma perché sostenuta da una prova attoriale solida, che richiama arti affabulatorie che da sole trasportano nei mondi che si cerca di evocare.
Lo spettacolo risulta forse troppo lungo, anche per la scelta – da un lato comprensibile – di inserire richiami pop o elementi comici per alleggerire la tematica di fondo (donando a un certo punto uno spiccato accento regionale italiano oppure inserendo una canzone di Ramazzotti per segnare un passaggio della biografia di Abramo) ma che rischiano a volte di ottenere l’effetto opposto, annacquando il focus e risultando un po’ forzate o datate.
“Il mondo altrove” di Nicola Galli è invece una performance che sembra letteralmente aprire sul palco un portale verso l’altra dimensione richiamata nel titolo. Come se la forza della natura e di un’energia primordiale diventassero improvvisamente raggiungibili grazie alle danze che vediamo in scena, eseguite da Galli a torso nudo e con il volto coperto da una maschera, a richiamare un po’ il mondo animale, un po’ una distorsione metallica e inquietante del volto umano, in una scenografia composta solo da un tappeto rotondo nero, da un disco dorato e da alcuni piccoli parallelepipedi di legno che vengono maneggiati dal protagonista per dare il via a questo misterioso rito.
Inquietante, ma allo stesso tempo liberatoria, è la coreografia che, senza apparire mai troppo artificiosa e conservando anzi un’impressione di libertà e spontaneità, è millimetricamente pensata e perfettamente eseguita per rendere uno schema drammaturgico che pare partire dall’evocazione di un rito, di cui inizialmente l’officiante è in controllo, ma da cui poi in parte viene travolto e ferito, ma forse infine anche liberato.
Se inizialmente la danza richiama idee e movenze esotiche, dal teatro Nō giapponese agli sciamani pellerossa, le movenze diventano poi più animalesche e convulse, creando una dimensione allo stesso tempo spaventosa e pericolosa eppure vitale e necessaria, per poi approdare infine a qualcosa che assomiglia a una fase infantile, in cui passo passo – quando i parallelepipedi di legno diventano appigli che sembrano aiutare il protagonista ad attraversare precariamente un fiume immaginario- avventurarsi nel mondo, dopo essere rinati in questo nuovo rapporto più reale con sé e con l’esterno, in un percorso in bilico tra gioco e lotta per la sopravvivenza.
I suoni di Giacinto Scelsi, dapprima più metallici e inquietanti, accompagnano questa sequenza che rende palpabile per gli spettatori la presenza di un’energia in cui sembra possibile venir risucchiati da un momento all’altro, tra inquietudine, fascinazione e commozione di fronte a qualcosa in cui si intravede tutta la forza e la fragilità dell’esperienza di stare dentro un corpo umano, ma esposti al contatto col mondo.
“Llabyellov” di Carlo Cerato, dopo il lavoro di residenza a Teatri di Vita cominciato l’anno scorso, vede la luce per la prima volta in una versione più corta, nata per andare in scena all’aperto, all’interno di un accattivante cubo gonfiabile illuminato nel corso dello spettacolo da diversi colori, che serve a proteggere dal vento i numeri con gli oggetti più sensibili, come le piume di pavone, i fazzoletti o piccole costruzioni di carta. Oggetti particolari che risultano al centro dei numeri più suggestivi e poetici di questa esibizione di giocoleria.
Interessante l’idea di raccontare, tramite una voce metallica registrata che evoca la voglia di non prendersi troppo sul serio, la propria poetica e i propri artisti ispiratori, come Erik Åberg o Michael Moschen, riempiendo di contenuto e di contesto, con intelligenza e autoironia, uno spettacolo godibile, con intuizioni comiche interessanti e caratterizzato da una leggerezza elegante anche per i bei cambi di costume. Il lavoro andrebbe solo messo a fuoco e forse cucito e calibrato diversamente tra i suoi vari capitoli. Perché anche se, come dice Cerato in scena, “se avessi voluto compiere gesti con un senso avrei giocato a pallavolo” (da qui il titolo, “Llabyellov”, letteralmente l’opposto di “volleyball”), è anche vero che il dichiarato desiderio di dare pieno risalto alla forza pura dell’azione, senza imporre sensi e verità, richiede una costruzione drammaturgica molto precisa e pulita.
Sirene
una passeggiata performativa audio dal vivo attraverso la città
concetto, regia e performance Sara Vilardo
drammaturgia e testi Sonja Winckelmann Thomsen
composizione musicale Ricardo Depine
realizzato in residenza a Teatri di Vita nell’ambito del programma Artisti nei territori della Regione Emilia-Romagna
Quintetto
di e con Marco Chenevier
produzione Cie les 3 Plumes
Abrahms Barn/Figli di Abramo. Un patriarca, due figli, tre fedi e un attore
di Svein Tindberg
con Stefano Sabelli
adattamento Stefano Sabelli
traduzione e regia Gianluca Iumiento
proiezioni Kezia Terracciano
responsabile di produzione Eva Sabelli
musiche dal vivo Manuel Petti, Marco Molino, Irene Apollonio, Daniele Giradina, Lorenzo Mastrogiuseppe
produzione Teatro del Loto di Teatrimolisani
durata: 2 h
applausi del pubblico: 2′ 2”
Il mondo altrove: una storia notturna
concept, coreografia e danza Nicola Galli
musica Giacinto Scelsi, 3/4 had been eliminated
maschere e costumi Nicola Galli
produzione TIR Danza, stereopsis
co-produzione MARCHE TEATRO / Inteatro Festival, Oriente Occidente
con il supporto di Rete Almagià
durata: 30′
applausi del pubblico: 1′ 50”
Llabyellov
di e con Carlo Cerato
realizzato in residenza a Teatri di Vita nell’ambito del programma Artisti nei territori della Regione Emilia-Romagna
durata: 40′
applausi del pubblico: 1′
Visti a Bologna, Teatri di Vita, il 17 maggio e il 3 giugno 2024