A Milano il nuovo capitolo del “Decalogo della Civiltà”, firmato insieme a Beatrice Monroy
Il Teatro della Cooperativa ospita ancora una volta Giuseppe Provinzano, per il secondo capitolo del “Decalogo della civiltà”: un ipotetico progetto pluriennale (o di vita) sul teatro civile.
In coda a questa stagione viene presentato “Storie di noi” alle sue prime repliche dopo il debutto a Primavera dei Teatri. Un lavoro voluto e sostenuto dalla Fondazione Falcone e Borsellino, scritto con Beatrice Monroy.
Dopo “GiOtto”, storica produzione Babel, che ha portato Provinzano a calcare centinaia di palcoscenici, “Storie di noi” sembra proseguire sulla stessa strada: il teatro civile come memoria collettiva anche nella scrittura.
Il testo, infatti, racconta piccole porzioni di realtà, attraversando lo sguardo dei palermitani sulle stragi del 1992. E lo fa attraverso lo sguardo dei ragazzini durante un’importantissima partita di pallone tra condomini, che si ritrovano la realtà piombare addosso al loro mondo infantile; lo sguardo dei quartieri di periferia, dove i cognomi valgono più delle azioni. Lo sguardo periferico di una città che in quei giorni doveva scegliere se scendere in strada, oppure continuare a voltare la faccia. Una scelta importante, quella di non riportare un’ennesima visione centrale, un’ulteriore interpretazione dei giudici e del classico pensiero uniformato.
Il punto di vista “periferico” consente qui di raccontare la realtà attraverso gli sguardi delle sue vittime.
A tirare le fila tra le storie un “personaggio” di comodo, un Tony indefinito, vittima o carnefice, in tuta sgargiante anni ‘80, che chiosa lo spettacolo con un’apertura sul tema guerra. In bocca a lui la lotta alla mafia “non è circoscritta, ma assume le sembianze di una guerra di potere”.
Dov’ero io? E’ la domanda che il pubblico si pone durante, e dopo lo spettacolo. Cosa facevo? Cosa ho fatto? Domande che danno un senso al teatro civile: sostenere la memoria collettiva per non sprofondare nell’ignoranza generazionale.
Le scene di Valentina Greco, poco valorizzate nello spazio del Teatro della Cooperativa, sono evocative nel loro minimalismo. I lenzuoli sparsi come sagome, bianchi, durante lo spettacolo vengono issati come lenzuola alle finestre, e su di loro vengono proiettate le visioni in video mapping del collettivo Pixel Shapes: lettere sparse che prendono una forma definitiva solo alla fine dello spettacolo, rimarcando il leit motiv del testo, e infine proiettando famose immagini di Letizia Battaglia.
All’interno di questo impianto, su una mappa di Palermo, due vetture radiocomandate – una Fiat Croma (l’auto di Falcone) e una Fiat 126 Rossa (l’autobomba che uccise Borsellino) – percorrono idealmente i percorsi delle stragi in città.
Provinzano in scena è generoso, eppure minimale. La forza della sua interpretazione sta nell’energia calibrata e nell’uso preciso del personaggio di Tony come narratore e traghettatore tra un racconto e l’altro.
Durante i passaggi da una narrazione all’altra accenna la tecnica del “cuntu”, quasi un omaggio al maestro Mimmo Cuticchio, precisa Provinzano, che incontriamo in un bar siciliano di Milano, dopo aver visto lo spettacolo. Un cannolo, una granita, e poche parole chiave sul tavolo.
“Non mi sono mai voluto identificare nel teatro civile, seppure inevitabilmente la politica sia sempre stata presente nel mio percorso. Per questo ho pensato al Decalogo della civiltà, come per creare una finestra di produzioni da realizzare in non so quanto tempo, dieci anni, tutta la vita… ‘Storie di noi’, per esempio, viene dopo ‘GiOtto’, ed è stato pensato insieme dalla Fondazione Falcone”.
La Fondazione Falcone ha infatti invitato nel 2019 Provinzano e Beatrice Monroy a scrivere un testo che raccontasse delle stragi, ma da un punto di vista diverso: quello dei palermitani. La volontà, sia della Fondazione che dei due autori, era proprio quella di abbandonare il classico punto di vista dei giudici, ma ricercare il senso delle stragi per i cittadini: “Per i palermitani il 1992 è come un undici settembre”.
L’incontro tra due persone, loro stessi palermitani ma assai diversi come Monroy e Provinzano, e il lavoro di ricerca, anche generazionale, su come quegli eventi siano stati vissuti dalla città e dai cittadini è stato lungo e illuminante: “Il testo è stato scritto a tre mani, diciamo due mani e mezzo. Alcuni espedienti sono miei, come l’annagghiu, Mondello, la partita di pallone, ma per lo più la scrittura è stata curata da Beatrice Monroy”.
Il lavoro di ricerca drammaturgica è stato quasi un lavoro antropologico di creazione di una memoria collettiva, attraverso piccole porzioni narrative che i due autori hanno intrecciato miscelando i loro mondi, attraverso un unico suono ricorrente: le esplosioni.
La realtà di Babel, e dello Spazio Franco, sembra quasi quella di un teatro di confine, identità rimarcata dal progetto parallelo, quello della compagnia Amunì. “Babel è un punto di incontro non solo di compagnie siciliane. Ultimamente, con le difficoltà delle piccole associazioni, ci siamo concentrati anche sulle co-produzioni, supportando artisti attraverso la nostra organizzazione. Questa settimana, ad esempio, qui a Milano, c’è un’altra nostra co-produzione in scena all’Elfo. Nelle creazioni Amunì tendo a non entrare, e lasciare che i temi vengano da loro. Ed infatti sono più i temi generazionali a suscitare il loro interesse, che non il tema migratorio”.
Il prossimo capitolo del “Decalogo della Civiltà” è ancora top secret, ma che si preannuncia ancor più trasversale dei precedenti lavori.: “Sarà una storia di cui sono venuto a conoscenza tramite un amico, e riguarda la Sicilia, ma non solo…”.
Decalogo della civiltà
di Beatrice Monroy
regia Giuseppe Provinzano
luci Gabriele Gugliara
soluzioni sceniche Valentina Greco
video mapping Simone Scarpello – Pixel Shapes
drammaturgia sonora Sergio Beercock
oggetti di scena Sebastiano Zafonte
assistente regia Diana Turdo
tutor Turi Benintende
con Giuseppe Provinzano
e con la partecipazione (in voice off) di Dario Aita, Emmanuele Aita, Ninni Bruschetta, Filippo Luna, Lucia Sardo, Manuela Ventura
produzione Babel con il sostegno della Fondazione Giovanni Falcone in collaborazione con Spazio Franco
Visto a Milano, Teatro della Cooperativa, il 23 maggio 2024