Stretti tra la vita e la morte, a ricercarne un senso

Il Decalogo di Stefano Alleva|Umberto Veronesi e Corrado Augias
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Umberto Veronesi e Corrado Augias
Umberto Veronesi e Corrado Augias su La nascita e la morte (photo: Federica Frillici)
“Diceva Epicuro: ‘Perchè temi la morte? Se ci sei tu non c’è la morte, se c’è la morte, tu non ci sei più’. Ma non è la morte che ci incute timore, è il morire, il modo in cui ci arriviamo, e come questo avviene”.

Continua il sole ad abbracciare il risveglio al Festival dei Due Mondi di Spoleto. È domenica, e il programma prevede l’incontro tra l’oncologo Umberto Veronesi e il giornalista Corrado Augias sul palco del Teatro Caio Melisso – Spazio Carla Fendi, insieme a parlare de “La Nascita e la Morte”.

I due nomi non possono che provocare la  ressa, ma a fatica un posto lo si conquista. Nell’attesa, si scorre su ciò che avverrà in questa giornata, cadendo ancora ne “Le Opere di Misericordia”. Con lo sguardo si raccoglie quale sarà quella di oggi: “Insegnare agli ignoranti”, a rifletterne Suor Catherine Aubin. Ignorare: etimologiamente, lontani da qualsivoglia tipo di giudizio o preconcetto, non conoscere. E si potrebbe riflettere su come forse non sia del tutto casuale questo abbinamento ideale, di due argomenti così pregnanti nello stesso giorno.

Augias prosegue chiedendo al suo interlocutore: “Voi medici, quando dichiarate la morte di un individuo?”. “La nascita di una persona si definisce al primo apparire del sistema nervoso nell’embrione – risponde Veronesi – e si può considerare simmetrica alla morte, perché noi decidiamo che una persona è morta non quando smette di battere il cuore, com’è stato per secoli e millenni nel passato, ma quando se ne va il pensiero: quando il cervello rimane decerebrato, e quindi incapace di formularne. Non tutti forse sanno perché è stato abbandonato il concetto della morte cardiaca: perché quest’ultima è una cosa difficilmente definibile nel tempo”.

“Infatti, il prelievo degli organi avviene a cuore battente – interviene Augias – Il cuore di quella salma batte, ma non c’è più il pensiero”. “L’organo va asportato nella sua condizione di benessere –  conferma Veronesi – e questo ha creato un grande dibattito, perché i più oltranzisti della religione pensavano che non fosse corretto prelevare degli organi da un oganismo apparentemente morto, ma invece vivo nelle sue funzioni. Perché per un religioso tutto può succedere, può esserci un errore diagnostico… di tutto…”.
 
Augias legge, citando Veronesi: “Sono contrario a questa proposta di legge in nome del principio della responsabilità della vita, in base al quale ognuno può decidere per sé e in nome dei diritti fondamentali dell’individuo, tra cui noi laici annoveriamo il diritto di morire”.
“Si tratta del grande dibattito che va sotto il nome di Testamento biologico – spiega l’oncologo – Ognuno di noi, per legge, può scegliere le proprie cure e può rifiutarle. Ma come fare quando qualcuno non può decidere, perché in coma? Molti, in ambito religioso, hanno detto che la morte debba essere decretata solo quando avviene per vie naturali, senza aiuto. L’individuo rimane in vita per mesi, anni, senza avere coscienza. Abbiamo riflettuto a lungo e ci siamo coalizzati, perché ritenevamo che una persona avesse bisogno di una legge che tutelasse il diritto dell’autodeterminazione, per decidere di se stessi. Si è creato un dibattito molto intenso, che purtroppo, a partire dal progetto di legge che avevamo presentato, ha portato a una legge, passata alla Camera, con conclusioni opposte, dove una persona in condizioni anche di incoscienza deve per forza essere tenuta in vita”.

“Legge ora rimasta chiusa in un cassetto, passata al vaglio del Senato… – interviene Augias – La devo sgridare, dottor Veronesi, perché, quando ha presentato questo progetto di legge, si è comportato ingenuamente, ha pensato che, in una discussione del genere, si tenessero lontane le ideologie, e si pensasse per una volta, come dicono negli Stati Uniti, al perseguimento della felicità, forse è un po’ eccessivo dire felicità.. diciamo… al benessere dei cittadini. Il Testamento Biologico non si è risolto, i medici possono violare la mia volontà, e fare come preferiscono. Ed è una cosa aberrante…”. “…Quando il testamento biologico è ormai legalizzato in tutti i paesi del mondo, in tutti i paesi civili” conferma Veronesi.
“Ho parlato con coloro che hanno fatto passare la legge alla Camera, e mi hanno detto che non l’avrebbero dovuto fare, che sono stati un po’ costretti. E questo mi ha doppiamente demoralizzato, perché se fosse stata una ragione genuina, convinta…”.

“Tutto è preferibile alla fine del povero Monicelli – incalza Augias – Poiché non trovava un modo dignitoso per andarsene, ha deciso di sfracellarsi, buttandosi dalla finestra”.
“Io sono a favore dell’eutanasia – afferma Veronesi – perché è la forma civile di terminare una vita che non vuole essere continuata. In determinate condizioni, perché obbligare una persona a vivere, se chiede altrimenti? Non è civile. L’eutanasia è una lotta alla sofferenza. Fa parte della medicina palliativa, quando le sofferenze sono intrattabili, incurabili, e la persona lo vuole fortemente.”
“Si afferma che la vita è un dono di Dio… – ricorda Augias – e quindi non se ne può disporre. Ma dire che è un dono è bello poeticamente, perché se lo fosse davvero, potrei farne quello che voglio. Dovrebbero dire, quelli che usano questo argomento, che la vita è un prestito di Dio, e dunque è un bene indisponibile, e questo aggiusterebbe le cose…”.

Si osserva il pubblico in platea, l’umanità che è in scena, volente o nolente, in questo teatro di vita. E altra ce n’é, fuori, negli altri teatrini, ad aspettare. Il giudizio si sospende, parlano gli echi di logiche e fatti. A volte del tutto imponderabili, cadendo nel rischio della statistica.

Il Decalogo di Stefano Alleva
Il Decalogo di Stefano Alleva – Primo comandamento (photo: Anna Laviosa)
Da sfondo a queste riflessioni c’è “Il Decalogo” di Stefano Francesco Alleva, al debutto qui a Spoleto. Ce le ricorderà con il suo Primo Comandamento, “Io sono il Signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me”.
Il percorso è ambizioso: ha deciso di raccontare tutt’e dieci i Comandamenti. A partire dalla scintilla ideale di Kieslowski, parlare dell’uomo e delle sue contraddizioni, ammissioni di colpa e slittamenti di responsabilità. Comunque, al centro, la vita e i suoi misteri.

A Spoleto56 presenta i primi cinque episodi, in attesa di cosa porterà il futuro. Motivazioni e strada ideale nella realizzazione di questo progetto, che scopriremo meglio insieme, con l’incontro avvenuto con lui e di cui qui si leggerà nei prossimi giorni.

Intanto, ancora addosso il Terzo Comandamento, usciamo all’aperto, a respirare una meravigliosa giornata di sole, e a vivere questa domenica, ricordando a noi stessi di “santificare le feste”.
 

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