Se il fuoco, l’obiettivo delle Baccanti – in scena al Teatro India di Roma – fosse la resa della sensualità delle menadi, consegnata nel testo euripideo come di prassi alla sola descrizione, non si avrebbero dubbi sugli strumenti di Emma Dante, e sul risultato finale. Ci accontenteremmo di fare i conti con lo stesso selvaggio femminino di tanti suoi lavori, qui tradotto con una discreta efficacia in un febbricitante erotismo terragno, sporco di terra e sangue, bramoso di rompere e lacerare, che si avvale di reificazioni sceniche efficaci, come l’infierire su rotoli di carta, sbranati e sminuzzati furiosamente.
Ma Emma Dante sa bene che “Le Baccanti” non è una tragedia sulla sessualità, meno che mai sull’erotismo: non è quello il punto, troppo comodo!
La sfida potrebbe dunque essere quella di volgere a un ulteriore nuovo senso il capolavoro classico, istituire su di esso un discorso critico, venire allo scontro, ad esempio, con la scarsa considerazione di Nietzsche per un testo che egli considerava la punta della decadenza tragica, e che paradossalmente chiama in scena proprio quel Dioniso a cui il filosofo delegava la peculiarità del filone tragico, musicale, dell’ebbrezza mistica; se la sfida fosse quella di aggiungere un’ulteriore pietra alla sfilza di letture o riletture che, dalla perduta tragedia eschilea arriva all’Henze delle Bassaridi, si dovrebbe allora confessare che questa messinscena non aggiunge nulla di nuovo.
I tagli, che riducono il lavoro a un’ora e un quarto appena, non tradiscono nemmeno intenti filologici, così come la traduzione squillante di Sanguineti, e forse solo la conclusione, anticipata prima dell’agnizione da parte di Agave del corpo del figlio, potrebbe suggerire un’inclinazione verso l’irrisolto caos delle Baccanti contro l’ordine costituito del principe Penteo, ammazzato dalla stessa madre, presa dal dio. E pur non mancando qualche chicca d’interpretazione, come la scelta di sdoppiare il personaggio di Dioniso in una coppia uomo-donna, che potrebbe suonare come riproposizione del mito dell’Adrogino, non si tratta di una lettura forte al punto di orientare un intero testo. Né l’immaginario scenico produce scorci inauditi, nonostante eleganti siano le luci, i costumi e le scene, minime ma non minimali, queste ultime: tre quinte “alla tedesca” in un tessuto rosso screziato o damascato, che risente alla bisogna di presenze esterne a scuoterlo; una selva di teste recise appese alla graticcia; un altare con guida e croce fucsia a simboleggiare la “religione” di un Penteo anti-bacchico da associarsi un po’ debolmente con una sorta di castrazione cattolica; un fiorire di pellicce, traduzione delle tradizionali nèbridi di cui le menadi si ammantavano, occhieggianti qui alla Venere di von Sacher-Masoch.
Non è nemmeno una prova di primi attori, questa regia: il testo lo impedisce già da sé. Eppure le personalità sceniche emergono sicure, come il Penteo di Michele Ragno, vocalmente duttile e presente su una tessitura tenorile che sa gestire tanto l’isteria quanto la profondità e i non rari guizzi comici, e la seconda messaggera di Naike Anna Silipo, che squaderna cristallina l’orrore del finale.
I cori sono tenuti assieme da movimenti scenici eseguiti senza sbavature, anche se talvolta mostrano la tendenza a semplificare l’arduo compito della restituzione fisica di un calore dionisiaco con contorcimenti un po’ meccanici.
L’obiettivo di questo “Studio da Le Baccanti”, con cui si chiude la trilogia che il Teatro di Roma ha pensato in collaborazione con l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico e la sua neonata Compagnia dell’Accademia, è dunque un altro, e per una volta è chiaro fin dalle premesse. Un gruppo di attori giovani o neodiplomati, affiancati da alcune notevoli allieve del II anno, è stato affidato alle cure di tre nomi importanti della regia contemporanea: Carmelo Alù, Giorgio Barberio Corsetti e ora Emma Dante. L’obiettivo è stato duplice: fornire scenicamente una precisa e salda lettura registica e drammaturgica, costruita a partire dallo studio per un saggio di diploma, adatta ad accompagnare attori giovani ma già scaltriti, e fare professionalmente da palestra di gran classe e di alto livello. La sfida allora è doppiamente vinta, sia per il risultato che per l’apprezzamento del pubblico.
Studio da LE BACCANTI
di Euripide
traduzione di Edoardo Sanguineti
regia Emma Dante
con Viola Carinci, Irene Ciani, Gabriele Cicirello, Renato Civello, Jessica Cortini, Eugenia Faustini, Angelo Galdi, Alice Generali, Domenico Luca, Paolo Marconi, Eugenio Mastrandrea, Michele Ragno, Naike Anna Silipo
e con le allieve del II°Anno Anna Bisciari, Adele Cammarata, Ilaria Martinelli
Produzione Compagnia dell’Accademia – Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”
durata: 1h 15’
applausi del pubblico: 2’
Visto a Roma, Teatro India, il 23 dicembre 2018