Tutto questo sembra avere il fascino e il sapore delle utopie. Di quelle utopie che amava sfidare con la forza del “fare”, dell’essere in azione, Antonio Tassinari.
Ci ha salutati martedì 10 giugno, a mezzogiorno, all’età di 55 anni l’attore, regista e pedagogo del Teatro Nucleo.
Era nato a Firenze, e fin da ragazzo il teatro era stato la sua dimensione: nel 1975 entra nel collettivo CavalloPazzo, gruppo di base fiorentino; due anni dopo, con altri giovanissimi, fonda il Teatro Garobombo, una comune teatrale che ha casa tra le campagne del Chianti.
Quel che andava cercando, tra una sperimentazione e l’altra, Antonio lo trovò a Ferrara nel 1981, dove andò per seguire un seminario diretto da Cora Herrendorf e Horacio Czertok, i fondatori del Teatro Nucleo. Tassinari scelse il Teatro Nucleo come casa, e Cora come compagna di avventure teatrali e di vita.
Chiunque lo abbia conosciuto sa che Antonio non si perdeva nei meandri infiniti e viziosi della parola, prediligeva il fare alla retorica, e amava passare per l’esperienza in azione prima di qualsiasi teorizzazione lingustica. La fatica del corpo, inteso come corpo-mente, era la sua e nostra vera maestra.
Dopo due ore di duro allenamento apparentemente solo fisico Antonio esordiva dicendo: “La fatica si vince, oltrepassate quel limite”.
In quel lontano laboratorio de “L’attore sciamano”, nel 2005, ogni partecipante confermò nella pratica quanto disse l’attore maestro, e ognuno tornò alla propria vita più ricco.
Il limite di cui parlava era l’uomo nella sua natura; oltre quel limite la mente sembrava aprirsi non solo al sé, composto di ricordi, paure, pregiudizi, ma anche agli altri, cominciando così a porre le giuste basi per il lavoro teatrale.
Come maestro non spiegava, non “teneva lezione” in senso accademico, ma insegnava mettendo l’allievo in azione, conducendolo verso azioni limite, costringendolo a fare sotto la sua rassicurante supervisione. Gli insegnamenti di Tassinari passavano per il corpo, lo spazio, il sudore e la voce. Il suo teatro, in ogni sua forma, dalla pedagogia ai suoi spettacoli sino all’esperienza unica del Teatro Comunitario, sembra passare per questa fisicità e tangibilità, il contatto con la corporeità umana, il partner di lavoro o con se stessi “denudati”, e la materialità delle cose: gli oggetti di scena, la concretezza dell’uomo a lavoro con se stesso, in una sala o in un qualsiasi spazio scelto come teatrale. Un teatro che si costruisce attraverso il pensiero in azione.
Il fare teatro per Antonio Tassinari offriva una chiave per aprire quelle porte che spesso rimangono murate da parole ingannevoli.
“Odio il teatro che passa per la mente. Sono contrario al teatro speculativo, vorrei che questo lavoro potesse arrivare ai vari livelli percettivi dello spettatore”, ci raccontava riferendosi al suo spettacolo “Il pagliaccio degli schiaffi” di cui fu autore e attore (da “Uno sguardo nel Nucleo”, in “Teatro e Storia”, anno XXI, n. 28, Bulzoni Editore, Roma, 2007).
Il teatro è una vibrazione tra uomo e uomo. Il teatro è un’arte collettiva. Un microcosmo in cui si presentano tutti gli elementi della vita in una società. Il teatro abitua a rapportarsi ad un gruppo di persone, ad una comunità, e ad organizzarsi al suo interno attraverso la compartecipazione. Avviene una trasmissione di onde energetiche tra due esseri, tra due gruppi di esseri umani. Lo scambio empatico è reciproco tra i due gruppi (attori e spettatori), tra chi agisce da dentro se stesso verso l’esterno a chi osserva aprendo i propri canali. Lo spettatore apre e chiude dighe. Il teatro è quell’energia che viaggia tra l’attore e lo spettatore.
Questo era il teatro di Antonio Tassinari, l’utopia realizzata che lo ha condotto sino alla formazione del Gruppo di Teatro Comunitario di Pontelagoscuro, dal 2006 ad oggi.
Proprio in questi giorni è uscito “Un’avventura utopica“, un volume che racconta la straordinaria impresa culturale e artistica di Antonio Tassinari a Pontelagoscuro, piccola frazione di Ferrara dove risiede il Teatro Julio Cortazar, sede del Teatro Nucleo, nelle cui ampie sale nel 2006 è nato il Gruppo di Teatro Comunitario: la sua utopia realizzata, il sogno di una cosa che si avvera.
Purtroppo l’inesorabile malattia che gli era stata diagnosticata pochi mesi fa non ha lasciato a Tassinari nemmeno il tempo di godersi la presentazione del libro, edito da Titivillus e curato da Greta Marzano ed Erica Guzzo.
Per un attore che ha dedicato gran parte della sua vita teatrale a rendere reale e palpabile l’utopia, presente la memoria storica e tangibile il sogno, ci piace ricordarlo in scena, in quell’impalpabile momento in cui dal buio affiora l’attore e lo spettacolo inizia: “Benvenuti sulla pista del sogno!” (Antonio Tassinari in “Il pagliaccio degli schiaffi”).
Bello… Avrei voluto assistere al meraviglioso lavoro che ha vissuto, di cui solo oggi so qualcosa di più. Soltanto oggi ho saputo che ha affrontato un percorso spesso positivo ai giorni nostri, ma nel suo caso ahimè non lo ha portato a quell’esito di conquista e salvezza che personalmente ho sperimentato.
Grande ammirazione per aver trasformato in azione e realtà tangibile, sentimenti condivisi ed energia positiva quelle aspirazioni che troppo spesso rimangono inerzia, labirinti della sterilità, fino a trasformarsi in tristissima indifferenza.
Un affettuoso saluto e un abbraccio a lui e a Giovanna e a tutta la famiglia.
Avete affrontato grandi dolori ma il distacco certamente non sarà stato tra voi.
Donatella