Il teatro di Alvis Hermanis. “Oggi vedo grandi cervelli ma pochi grandi cuori”

Long life|Alvis Hermanis
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Alvis Hermanis
Hermanis a Roma la settimana scorsa (photo: Simone Pacini)

Ospite d’onore della XV edizione de Le vie dei festival di Roma è il regista lettone Alvis Hermanis che, al Teatro India, ha presentato la settimana scorsa gli spettacoli “Sonja” e “Long life”.

Hermanis, dal 1997 direttore del Nuovo Teatro di Riga, è sicuramente uno dei registi più interessanti della nuova scena internazionale, consacrato dal prestigioso premio Young Directors Project al Festival di Salisburgo nel 2003 per la messa in scena de Il revisore di Gogol e dalle partecipazioni ai più importanti festival europei come quello d’Avignon, il Wiener Festwochen, il Bitef di Belgrado e il festival di Edimburgo.
In Italia abbiamo visto recentemente The Sound of Silence (su musiche di Simon & Garfunkel) al Napoli Teatro Festival Italia e By Gorkij al Vie di Modena. L’ultima apparizione di Hermanis sulla scena romana è datata 2005, quando presentò al festival dell’Unione dei Teatri d’Europa Das Eis/Il ghiaccio (adattamento dell’omonimo romanzo di Vladimir Sorokin), prodotto dallo Schauspielfrankfurt. Das Eis fu anche il primo spettacolo in cui Hermanis diresse attori tedeschi.

Regista mitteleuropeo, lavora facilmente sia con compagnie tedesche che russe. “Vengo da Riga, in Lettonia – racconta rievocando le sue radici – La Lituania, a noi confinante, è la patria di Eimuntas Nekrošius, ma io e lui abbiamo tradizioni teatrali completamente differenti: la sua cultura è impregnata di tradizione e di cristianesimo ortodosso. La mia è sempre stata in bilico fra le due superpotenze che circondano la mia terra, Russia e Germania. La tradizione teatrale lettone è il risultato di una chimica fra queste due tradizioni opposte”.
Per quanto riguarda le esperienze come regista tiene a precisare che non nota differenze fra il modo di recitare tedesco-austriaco e quello russo, “la differenza si trova nel modo di dirigere gli attori”.

La visione del teatro per Hermanis si potrebbe riassumere così: “Mi piacerebbe essere innovativo come Romeo Castellucci – afferma in modo provocatorio – Ma ho capito che, per essere più radicali, nel teatro d’oggi bisogna essere estremamente old fashion, raccontare storie dai sentimenti semplici.

Credo che il vero teatro sia il teatro dell’attore, un teatro che porta all’emozione senza shock. Non sono interessato alle terapie psicoterapeutiche o mediche, ma alle emozioni umane. Nel teatro contemporaneo ci sono molti grandi cervelli ma pochi grandi cuori. In futuro il teatro sarà l’unica cosa che resterà fuori dalla via digitale, perché avrà sempre delle persone che saliranno su un palco”.

Un aspetto interessante del teatro di Alvis Hermanis è la fantasia e l’eterogeneità nella scelta dei testi, che spaziano dal classico al contemporaneo, dal romanzo, al racconto, alla partitura musicale. “Le storie che mi attraggono sono il più possibile semplici ed essenziali – ribadisce – Sono interessato alle vicende delle persone sane e reali, non cerco di indagare gli spazi bui dell’essere umano. Non bisogna prendere il teatro troppo sul serio; è come un gioco con un po’ di “Hocus Pocus”.

I due spettacoli proposti all’India hanno in comune la minuziosa ricostruzione degli ambienti nell’allestimento scenico (complice la matrice stanislavskijana della sua formazione). “Ho una specie di ossessione per gli spazi privati, per quelle piccole scatole che sono i nostri appartamenti, dove passiamo molta parte della nostra vita e in cui succedono le cose più importanti. Nello spettacolo Long life tutti gli oggetti sono stati recuperati in alcune case-ospizio per anziani di Riga. Sono appartenuti a persone, non costruiti nei laboratori teatrali. Essi nascono dalla vita reale”.

L’altro punto in comune nei due spettacoli è il tema della memoria e del ricordo, che in Sonja si esprime attraverso la rievocazione di un’epoca lontana – gli anni Trenta in Russia e lo scoppio della guerra – mentre in Long Life è rappresentato dai personaggi stessi e dai loro oggetti. “Sono profondamente posseduto dalla memoria e dal passato. Questi probabilmente saranno gli ultimi giorni della cultura europea, e purtroppo in Italia e in Europa abbiamo un grande passato che tende ad essere dimenticato. Attraverso il nostro lavoro proviamo a far rivivere gli oggetti e i sentimenti passati. Questo perché mi sento di appartenere al ventesimo secolo. Nel ventunesimo sono come un visitatore mentre il futuro mi appare abbastanza noioso”.

Sonja è uno spettacolo molto poetico nel quale il regista, partendo dal breve racconto di Tatiana Tolstaya, scrittrice russa proveniente dalla dinastia di Tolstoj, fa rivivere il personaggio principale attraverso due ladri che irrompono in una casa abbandonata. I due diventano complici degli spettatori e ci raccontano una storia triste e di solitudine, uno immedesimandosi in Sonja attraverso una specie di trance, l’altro compiendo una narrazione didascalica dei fatti. La vicenda da un lato viene enfatizzata dalla musica (terza protagonista), dall’altro la solitudine viene ridimensionata dagli atteggiamenti comici dei due. “Mi sento al sicuro intendendo l’arte come il giusto equilibrio tra commozione e cinismo”. Intento perfettamente riuscito.

Long life è più radicale, è un lungo atto senza parole che ricostruisce minuziosamente una giornata tra tante, in una casa-ospizio per anziani. Qui il senso di solitudine appare meno evidente, anche se Hermanis svela una sua riflessione legata all’Italia: “Long life ha debuttato nel 2003 a Parma, ma reputo il pubblico italiano non adatto a questo spettacolo, dato che da voi la solitudine delle persone è una fantasia selvaggia, difficilmente comprensibile nella vostra cultura. In questo l’Italia è una società eccezionale; al contrario, noto molta solitudine nel resto d’Europa, e questo non penso sia legato al livello di prosperità del paese”.

L’apparente semplicità delle due messe in scena esalta il lavoro impeccabile e la straordinaria bravura degli attori: comune denominatore agli spettacoli è la capacità di comunicare emozioni al pubblico nonostante le barriere linguistiche. “Spesso mi capita di avere a che fare con le emozioni, ma non bisogna cedere al rischio di fare come nei film di Steven Spielberg, dove la reazione sentimentale del pubblico è accuratamente prevista e provocata. È meglio essere onesti, con sé stessi e col pubblico”.

Long life
Long life (photo: figurentheaterfestival.de)

SONJA
da un racconto di Tatiana Tolstaya
regia: Alvis Hermanis
con: Gundars Abolins, Jevgenijs Isajevs
scene: Kristine Jurjane
suono: Andris Jarans
luci: Krisjanis Strazdits
produzione: New Riga Theatre
durata: 1 h 28’
applausi del pubblico: 3’ 30’’

Visto a Roma, Teatro India, il 16 novembre 2008

 

LONG LIFE
regia: Alvis Hermanis
con: Guna Zarina, Liena Smukste, Kaspars Znotinš, Cirts Kruminš, Vilis Daudzinš
scene e costumi: Monika Pormale
suono e luci: Gatis Builis
direttore di scena: Zane Piraga
produzione: New Riga Theatre
durata: 1 h 53’
applausi del pubblico: 2’ 52’’

Visto a Roma, Teatro India, il 17 novembre 2008

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