Se “del doman non v’è certezza” è diventata l’unica certezza, è altrettanto vero che “i Prìncipi” esistono ancora, e ne abbiamo la prova ogni volta che il “venticello” nelle stanze delle amministrazioni comunali cambia direzione, e un festival, o qualsiasi altro progetto che ha una ricaduta culturale importante sul territorio, chiude dalla sera alla mattina. Mica si può far niente.
Quest’anno, a Rovigo, la città veneta racchiusa tra l’Adige e il Po, il nuovo venticello guidato da Alessandra Sguotti, giovane assessore alla Cultura, ha restituito la vita al festival Opera Prima, nato in città quasi venticinque anni fa – era il 1994 – e poi chiuso (sembrava per sempre) nel 2010.
Più che di fortuna qui si tratta anche di merito, perché se il festival non fosse stato in grado di svolgere, allora, una funzione essenziale nel sistema dello spettacolo dal vivo nella regione Veneto e non solo (ricordiamo che divenne il punto di riferimento di quella generazione che si autoproclamò dei Teatri Invisibili), di certo l’assessore non si sarebbe ricordata “dell’entusiasmo, la lungimiranza e la bellezza” scaturita da quelle ormai lontane tredici edizioni, e non sarebbe riuscita a far rinnovare la fiducia dell’attuale amministrazione comunale a una nuova “Opera Prima”.
Sì, perché è questo ciò che è stato: un nuovo festival, ripartito praticamente da zero, con zero, o quasi, certezze se non quella di un prossimo futuro di tre anni all’orizzonte, e soprattutto la certezza di aver costruito da parte del Teatro del Lemming – l’originario promotore e artefice del festival – nel corso della sua lunga carriera, tante relazioni di stima e di affetto; ecco perché questa edizione ha potuto contare sulla presenza di tanti volontari che hanno prestato il loro lavoro, e anche su una buona presenza di stampa e operatori, locali e non.
Uno strappo di nove anni per una realtà artistica non è poca cosa. Il danno è rilevante. Non è che si ricomincia semplicemente da dove si è lasciato, come se nulla fosse cambiato. L’impegno per rimettere in moto la macchina organizzativa è enorme.
Ecco perchè è stata questa, e lo sarà anche per le prossime tre edizioni, una scommessa completamente nuova. Perché non è facile riallacciare il dialogo con la città, tornare a parlare al pubblico spesso distratto, agli operatori, cercare un nuovo radicamento, costruire un nuovo impatto politico, culturale, artistico, ritrovare una nuova identità.
Ed è per questo che aver deciso di agire sul confine tra memoria e innovazione è stato il modo più intelligente e riuscito per il festival di tornare a fare capolino non solo in città ma anche nel sistema teatrale italiano.
Da una parte infatti, fin da subito, Opera Prima ha puntato a coinvolgere i cittadini di Rovigo sostenendo la produzione di “Memoria in movimento – guida alla memoria” un progetto nato dall’idea di Mario Previato rivolto alla città e ai suoi cittadini. Un progetto stanziale per tutti i quattro giorni del festival, che ha avuto il duplice merito iniziale di comunicare, quasi porta a porta, agli abitanti di Rovigo, il ritorno di Opera Prima, chiedendo però proprio a loro, come cittadini, di essere i principali protagonisti di questo ritorno attraverso il dono di un loro personale ricordo della città. Come a dire: il festival è prima di tutto fatto di voi e con voi.
«Ricordo le scale del Comune dove ho passato l’adolescenza con la mia compagna di allora, dai 18 ai 25, e quando faceva freddo ci si trovava nella saletta interna al primo piano del caffè Franchin, dove mangiavamo toast a go go… E quante chiacchiere. Grazie per avermi fatto tornare indietro con la memoria». I ricordi donati sono stati inarrestabili; parlano di adolescenza, amore, lavoro, amicizia, della gioia e della fatica, della fantasia del vivere. Memorie ammalianti, divertenti, semplici, emozionanti, in grado di costruire un caleidoscopio di immagini e far ritrovare qualcosa di sé fra le pieghe di esistenze sconosciute.
Il secondo merito sta proprio nell’aver raccolto questi ricordi in vari modi: si sono potuti guardare, leggere, ascoltare, e sono stati resi condivisibili, stabilendo un dialogo diretto con chi è arrivato da fuori, offrendo non solo un itinerario urbano alla scoperta (e riscoperta) di Rovigo, ma anche un itinerario emotivo ed emozionale della memoria privata e collettiva, riattivando la capacità di ricordare e guardare di nuovo alle città che abitiamo, in cui e con cui siamo cresciuti.
Dall’altra parte Opera Prima non si è fermato a curare il classico orticello veneto, ma si è proposto come spazio aperto alla creatività contemporanea italiana e non – con alcuni gruppi in arrivo anche dall’estero – e alla presentazione di artisti e formazioni giovani o nuove che fanno fatica ad entrare nelle stagioni dei principali teatri italiani.
«Non c’è dubbio che la difficoltà che le nuove generazioni incontrano a emergere rispetto al mondo delle istituzioni resta un interrogativo aperto e molto forte. Per molti giovani gruppi le difficoltà rimangono quelle che avevamo noi quando siamo partiti» ci aveva raccontato Massimo Munaro, direttore artistico del Lemming e coordinatore artistico della neonata Associazione Festival Opera Prima, all’inizio di questa edizione.
Le compagnie e gli artisti emergenti, di cui vi abbiamo parlato nei precedenti articoli, si sono proposti con sperimentazioni nel campo della narrazione in presenza o assenza del performer, la manipolazione minuziosa di oggetti, sperimentando bizzarri modi di coinvolgimento del pubblico, osando la stratificazione drammaturgica o al contrario virando all’essenziale maieutico attraverso domande stringenti per far riflettere sulla portata di concetti dati per scontati, non rinunciando quasi mai all’uso della parola, sempre più protagonista anche nella danza.
Accanto a loro alcune formazioni storiche come Lenz Fondazione, Accademia degli Artefatti, Roberto Latini, quasi a costruire una base solida su cui la nuova creatività può poggiarsi, confrontarsi, e soprattutto farsi mettere in discussione.
È stato chiesto proprio a questi ultimi di scegliere alcune delle proposte più meritevoli di essere conosciute, costruendo così un ponte tra generazioni, e allo stesso tempo chiedendo proprio a chi arriva da un lungo cammino, e ha tutti gli strumenti per poterlo fare, una presa di responsabilità nel riconoscere il valore artistico delle future promesse del teatro e della danza.
Con il suo ritorno Opera Prima sembra essersi fatto carico di importanti e lodevoli obiettivi: riportare a Rovigo la condivisione di un pensiero artistico e culturale, la curiosità di veder qualcosa di nuovo, la voglia di riappropriarsi della propria comunità, farla crescere e renderla sempre più condivisa, occupando spazi collettivi, storici e non, in modo diverso, istigando a una partecipazione artistica, e facendo sì che le persone si riconoscano parte di un progetto che desiderano proseguire.