Viaggio in un Purgatorio poco sovversivo

Teatro Sovversivo in [S]he’s
Teatro Sovversivo in [S]he’s
Teatro Sovversivo in [S]he’s
Continua il percorso di ricerca di Teatro Sovversivo attorno al concetto di Medio-Ego, che pone al centro dell’indagine un mondo dominato da egoismo e violenza. Stavolta però la compagnia marchigiana abbandona la tradizionale messa in scena in “modalità sovversiva” – che predilige il dominio dell’immagine e dell’azione sulla parola – per abbracciare piuttosto forme e percorsi più tradizionali, una ricerca più intima e “domestica”.

L’occasione testuale da cui muove la nuova ricerca è l’opera teatrale “Purgatorio” dello scrittore, giornalista e drammaturgo argentino Ariel Dorfman (già premiatissimo per la sua opera più celebre “La morte e la fanciulla”, da cui Polanski trasse l’omonimo film).

Il testo, un dialogo serrato tra un uomo e una donna in cui si confrontano con le verità delle rispettive vite, è stato riadattato dal regista Lorenzo Bastianelli.
È proprio lui, l’animatore del gruppo, a raccontarmi come questo spettacolo sia nato in primis dall’esigenza di indagare un rapporto più esclusivo interno al gruppo, quello tra lui e due dei suoi attori in particolare. Ma il menage à trois è diventato presto un rapporto a quattro, in seguito all’inclusione della scenografa Giulia Maria Marini che, nell’ideare la scenografia e concepire l’attrezzeria, pare abbia risposto più alle esigenze simbolicamente ed emotivamente importanti per gli attori che alle reali necessità della messa in scena.

In un luogo astratto, un posto di passaggio occupato solo da un’ingombrante poltrona di cuoio e attraversato da una carrucola su binari (che di volta in volta farà entrare in scena gli oggetti necessari: una gonna rigida che impedisce all’attrice di piegarsi, un microfono, un teatrino delle ombre, due bambini a manichino, flebo di sangue…), un uomo e una donna sono chiamati a confrontarsi con la loro vita, per maturare consapevolezza delle azioni compiute e tentare di redimersi.
Il non-luogo in questione è il Purgatorio del titolo, mentre per i due protagonisti Dorfman impugna gli ingredienti della tragedia classica, ispirandosi al mito di Medea e del suo Giasone.

Tutto però è già avvenuto. Siamo in un limbo post-tragedia: Medea ha già vendicato con l’uccisione dei figli il tradimento di Giasone.
In questa dimensione sospesa si svolgono gli incontri tra il peccatore e il suo supervisore, ossia un redentore che obbliga l’anima a fare i conti con le proprie colpe attraverso un gioco al massacro, violento e crudele (se c’è di mezzo la salvezza eterna, il fine giustifica i mezzi).

Tuttavia, se nel testo originale il meccanismo di redenzione ha una sua logica precisa e potente anche grazie a un terzo personaggio, che rende dapprima possibile la redenzione di Giasone – il quale può così salire di livello e diventare a sua volta redentore di Medea –, nel riadattamento dei “sovversivi” rimane un gioco esclusivamente a due, che in certi momenti rischia di perdere quel nitore che rende perfette certe dinamiche sceniche.
Così, come in uno psicodramma, Medea e Giasone diventano l’una per l’altro il solo e unico strumento per far riaffiorare i fatti vissuti, i tormenti dell’esistenza, alternandosi nel reciproco ruolo di anima e supervisore, vittima e carnefice.

L’allestimento di Teatro Sovversivo lancia l’occasione per sollevare degli interrogativi su cosa significhi oggi condurre una ricerca che muove da intenti onesti (col rischio d’inciampare), piuttosto che confezionare prodotti di sicuro appeal, senza correre alcun rischio.

Complessivamente lo spettacolo appare a chi scrive un po’ sciatto, per certi versi noioso e didascalico, senza alcun guizzo particolare.
Il dubbio è allora di aver perso qualcosa per strada, di non esser riusciti ad afferrare tutto quello che era da cogliere, per poi restituirlo.
Da qui la richiesta di un confronto con Lorenzo Bastianelli.

Una delle prime cose che confessa è il suo timore (ironico) di essersi un po’ istituzionalizzato con questo allestimento, così diverso dai precedenti.
Tuttavia, per lui e l’intera compagnia, è chiaro l’intento di questa operazione: rispondere a due esigenze specifiche. La prima è interna, cioè sperimentare percorsi scenici alternativi, diversi dalle “azioni sovversive”. La seconda è rendere conto a una committenza implicita. Teatro Sovversivo infatti fa parte della piattaforma Matilde dell’Amat, una sorta di vetrina di giovani compagnie marchigiane sostenute, caldeggiate, coprodotte e distribuite dall’Amat che può entrare in gioco suggerendo magari nuove vie.
Ulteriore elemento di questa messinscena è che Bastianelli è l’unico professionista della compagnia, e da animatore ha scelto di lavorare con attori non professionisti. Una scelta che potrebbe definirsi politica la sua, magari non condivisibile, ma abbracciata lucidamente al di là delle magrezze produttive. Una scelta vòlta a dare importanza “alle persone, non agli attori”, e soprattutto a rifuggire certe gabbie interpretative che “umiliano l’attore e lo fanno sembrare una scimmia ammaestrata”.

Di fatto, però, questa scelta non ha conseguenze ‘forti’ sulla scena: tra gli elementi dello spettacolo che più restituiscono il senso di didascalicità (e, di conseguenza, piattezza) c’è proprio l’interpretazione dei due attori che, per quanto generosissimi, sprizzanti energia e liberi “da ogni gabbia”, vengono percepiti come due giovani creature piene di foga, commosse, ma purtroppo non commoventi.
La scelta registica sembra insomma aver rinunciato a troppe sfumature, doverose per questo testo. Eppure «per me il Purgatorio è così – replica Bastianelli – Liscio, lineare, didascalico».

[S]HE’S
da Purgatorio di Ariel Dorfman
con: Novella Palandrani e Rama Pollini
regia: Lorenzo Bastianelli
scene e luci: Giulia Maria Marini
videomaker: Stefano Caraceni
sound editor: Claudio Zappi
produzione: Teatro Sovversivo in collaborazione con AMAT
durata: 1 h 20’
applausi del pubblico: 2’ 10’’

Visto ad Ancona, Teatro Studio Mole Vanvitelliana, il 17 marzo 2012

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10 Comments

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  1. says: Lorenzo Bastianelli_teatrosovversivo

    mi dispiace per te Simone, conosciamo martina e carla; non conosciamo ne andrea ne federica foschi.
    E cmq di solito non addestriamo “adepti” per difenderci. non ci interessa. Credo invece sia interessante verificare come uno spettacolo può cambiare da persona a persona, da esperto ad esperto. Per fortuna che ancora si innescano confronti sulla cultura. Sarebbe bellissimo e presuntuoso accontentare tutti. Spero però che se ti capiterà di non essere in accordo con qualcosa che scrive, pensa o fa qualcuno tu non te ne stia zitto, ma dica la tua come stanno facendo queste persone, assolutamente non “ammaestrate” da nessuno. Ignobile accusarci di plagiare/ammaestrare qualcuno per rispondere a questa recensione. Vieni a vedere lo spettacolo e scrivi quello che pensi senza problemi qui o mandaci una mail a teatrosovversivo@gmail.com o diventa amico di teatro sovversivo su facebook per comunicarci i tuoi dubbi.

  2. says: Federica (Da lontano)

    Non conoscevo la compagnia Teatro Sovversivo. Ho cercato qualche informazione su di loro perchè sono stata il 17 marzo ad Ancona e ho fatto svariati chilometri per venire a vedere questo spettacolo, essendo anche una appassionata di testi classici anche se riformulati in chiavi contemporanee.
    Poi cercando ancora ho trovato da pochi giorni questa recensione.
    Faccio un pò di fatica a capirla.
    Non sono uscita dal Teatro Studio della Mole con l’impressione di aver visto uno spettacolo banale, noioso, addirittura sciatto.
    Vedo tanti spettacoli e di davvero poco curato vedo tante altre cose e per sfortuna parlo anche di grandi professionisti.
    Non questo allestimento. Mi è sembrato preciso, pieno di tensione, magari non sempre spumeggiante, ma la storia stessa non sempre prevedeva note di estrema “vivacità” strutturale. Non ho visto attori scadenti, anzi, ho visto un modo diverso dal classico recitare, più vero, più diretto, genuino.
    Sono stata felice di non trovarmi di fronte ad attori di scuole di teatro (questa è una mia impressione e la recensione mi restituisce questa impressione visto che dice che non sono attori professionisti), sempre cosi impostati e finti.
    Ho apprezzato questo spettacolo, chiaramente non sono partita da casa pensando di vedere un capolavoro, ma speravo di vedere almeno una cosa onesta. L’ho vista e questo a me basta. Sono stata piacevolmente coinvolta, emozionata e sono stata contenta di aver intrapreso un piccolo viaggio per vedermi questi giovani ragazzi. Non sono una persona che lascia commenti di solito, ma leggere questa cosa mi ha smosso qualcosa. Complimenti ancora a tutti, spero di ritornare un giorno a vedere altre cose.
    Mi scuso con la giornalista perchè non condivido la sua recensione; magari il mio vedere è diverso in base anche ad una esperienza diversa; non sono una formidabile esperta di teatro ma sono una spettatrice che da moltissimi anni “sovvenziona” il teatro andando a vedere tantissimi spettacoli.

    arrivederci
    Federica Foschi

  3. says: Martina

    Ciao Alessia, mi sembrava giusto rispondere al tuo commento perché ritengo che il confronto, sia sempre il miglior modo di crescere e ampliare i propri orizzonti. La mia analisi nasce dal fatto che anzitutto conosco bene il testo, avendolo letto in passato ed apprezzatolo particolarmente. Di solito ho una mia idea sul modo di assistere ad uno spettacolo teatrale (essendo un’appassionata di teatro) che mi porta a non “subirlo” (concedimi il termine) passivamente ma a interrogarmi e riflettere sui particolari, sulle scelte registiche, l’interpretazione data, insomma a non fermarmi semplicemente al primo impatto. E’ per questo che mentre guardo ciò che avviene in scena la mia mente rielabora tutto quello che vedo. E non è una questione di “intenzioni che stanno a monte” (quelle possono saperle il regista, gli attori e chi lavora allo spettacolo e non è detto che arrivino necessariamente al pubblico così come pensate), semplicemente quando si è aperto il sipario ed ho visto in particolar modo la scenografia e il suo meccanismo di funzionamento, il mio primo input mentale è stato il rimando (proprio in relazione come ti dicevo alle voci che si sentono nei cambi scena) ad una stazione; da lì non ho potuto non riandare per un secondo con la mente al dantesco traghettatore di anime Caronte (in quel caso situato nell’Inferno) e questo ha fatto sì che interpretassi l’ambientazione un po’ secondo questa visione, cioè di un luogo crocevia di anime che passano dalla vita terrena o da un Inferno ad un limbo come quello del Purgatorio, nella speranza di una redenzione che li possa poi far passare ad uno stadio successivo. Mi è venuto automatico il collegamento. Poi ovviamente ognuno ci mette del suo, può cogliere particolari che ad un altro sfuggono, può ritenerli significativi o meno (e da qui l’utilità del confronto), ma credo sia anche questo il bello, il non limitarsi a ciò che ci appare magari di primo acchito freddo, ma fare un proprio percorso intellettivo e- perché no- interiore in linea con ciò che si vede, un po’ come diceva Aristotele quando parlava dello stato di “catarsi” del pubblico durante gli spettacoli. Poi per carità, per quanto quanto riguarda l’interpretazione degli attori, sicuramente l’apprezzare o meno la loro performance è un dato soggettivo, per questo trovandomi in disaccordo con quanto letto ho semplicemente espresso il mio parere dicendo che, a differenza di quanto dici e delle emozioni che possono o meno averti regalato, a mio dire ho trovato buona la loro interpretazione tanto che- ti ammetto- non sono riuscita a trattenere le lacrime specie in alcune scene. Tutto qui. Saluti.
    Martina

  4. says: alessia

    gentili signori,
    intanto grazie dei vostri commenti che non possono che alzare il livello del confronto.
    alcune analisi in particolare mi fanno dedurre che almeno alcuni di questi contributi nascono internamente alla compagnia.
    bene bene, è giusto.
    io stessa ho avuto modo di confrontarmi con lorenzo bastianelli, ma anche se l’incontro è stato molto interessante, purtroppo non è bastato a scalfire l’impressione che avevo avuto dello spettacolo.
    da possibilista quale che sono però, mi fa piacere raccogliere commenti positivi.
    ahimé, io invece non ne ho raccolti di realmente positivi dal confronto che ho avuto con altri spettatori subito dopo lo spettacolo (cosa che faccio sempre).
    ad ogni modo, vorrei rispondere ad alcuni commenti in particolare:

    @martina: la tua analisi capace ed approfondita purtroppo sembra più relativa alle ‘intenzioni’ che c’erano a monte che all’effettivo esito dello spettacolo.
    noi invece, pur tenendo conto dell’idea artistica che c’è a priori, dobbiamo confrontarci in primis con ciò che vediamo. comunque grazie.

    @carla: circa il cronometraggio degli applausi, non è la prima volta che esce fuori la questione.
    in effetti è una abitudine che potrebbe sembrare fuorviante, ma che esiste da sempre.
    la critica, soprattutto in anni (in secoli, sarebbe meglio dire…) in cui godeva di ben altra considerazione, ne ha sempre tenuto conto.
    pensa anche che nelle vecchie compagnie di giro, gli amministratori a ogni recita registravano il ‘numero di uscite’, ossia quante volte la compagnia dopo lo spettacolo usciva-entrava-riusciva per prendere gli applausi. per tutta la tournée poi, la sfida era quella di eguagliare nelle varie città il record raggiunto.

    detto questo, sappi che prima di diventare una rivista a tutti gli effetti, KLP era un blog dove scrivevano ‘testimoni’ di eventi teatrali.
    la volontà era quella di preservare una memoria storica dell’intero evento, comprese queste reazioni del pubblico (anche quando indotte e poco spontanee… come le foche ammaestrate che dici tu).

    un saluto
    alessia r.

  5. says: Carla

    Come gli altri, devo dissentire. Per quanto riguarda la scenografia e gli oggetti, ho trovato che disegnassero un luogo che si accorda senza superbia o eccessi ai toni ed ambienti presupposti dalla narrazione: un luogo di passaggio, freddo, infinitamente isolato eppure sempre soggiogato a forze esterne, un luogo in cui chi esiste non lascia alcun segno, in cui la stessa dimensione temporale pare sfilacciarsi e comprimersi fino a minacciare di paralizzarsi completamente in un “ora” infinito in cui tutto (e nulla) potrebbero accadere nello stesso momento.

    Non avendo letto il testo, non ero a conoscenza dell’esistenza del terzo personaggio, ma la struttura proposta da Lorenzo Bastianelli non è stata assolutamente percepita come poco nitida o confusa, crea anzi una dinamica avvincente in cui i due protagonisti si distruggono e si ricreano nell’alternarsi di ruoli, rimandando a un’anatomia circolare che non concede riscatto.

    Parlando poi dei due giovani interpreti, non ho visto alcuna “magrezza produttiva”, tutt’altro. Hanno fornito una performance fresca e onesta, coinvolgente e straziante. E, per la sottoscritta, “non commoventi” e piatti al punto di essere arrivata alle lacrime a più riprese… e posso affermare di non essere stata la sola a reagire in tal modo.

    Concludo, non potendo esimermi da esprimere una forte avversità all’idea di includere il cronometraggio degli applausi del pubblico: sorvolando sul fatto di quanto un numero imprecisato di sipari e uscite alla ribalta possa costringere gli astanti a battere le mani come foche ammaestrate per durate indefinite -e alzi la voce qualcuno cui non è mai capitato-, ritengo l’applausometro uno strumento che è bene lasciare confinato a squallide trasmissioni televisive.

  6. says: Andrea

    Anche io ho visto lo spettacolo e mi sento di dissentire dalla recensione. Per giustificare il mio disaccordo non voglio scendere nei particolari, ma testimoniare semplicemente che durante l’intera durata dello spettacolo la mia attenzione è costantemente cresciuta, provando una sequenza di emozioni che nell’insieme, al termine, mi hanno fatto pensare ad uno spettacolo ben pensato e ben riuscito.

  7. says: Martina

    Ho avuto modo di assistere personalmente allo spettacolo [S]he’s della compagnia Teatro Sovversivo al Teatro Studio e leggendo questa recensione ho deciso di lasciare un mio commento. Mi trovo in disaccordo con quanto recensito sotto alcuni aspetti. Il Purgatorio ricostruito dalla compagnia, questo luogo asettico, lineare e, si, se vogliamo didascalico, a mio dire (avendo letto il testo di Dorfman) ha reso merito a quel non-luogo descritto dall’autore, gli ha dato vita anche attraverso scelte registiche che non puntano a stupire, ma lasciano, nella loro essenzialità, immagini vivide e per certi tratti struggenti nella mente dello spettatore. L’utilizzo dei carri che portano oggetti di scena non credo vada interpretato come un mero escamotage tecnico a servizio delle esigenze degli attori, quanto invece come la ricostruzione quasi di una “stazione ferroviaria” (in relazione anche agli annunci audio che vengono mandati al cambio scena e che rimandano alla mente in qualche modo quelli degli arrivi/partenze treni), una stazione punto di arrivo e partenza delle anime; quelle due file di binari sono così vicine e così lontane tra loro, un po’ come i due personaggi : Giasone, alla ricerca spasmodica di essere il primo ad ottenere la redenzione, l’unico ad aver battuto il “record”, viene ben interpretato dal giovane attore che veste i panni di un atleta, un Giasone che mantiene in costante allenamento fisico quel corpo che gli è stato dato allo scopo di non dimenticare chi si è nel “limbo” in cui si trovano queste anime, un Giasone che parla continuamente, si perde in ragionamenti cercando la complicità della “controller”, alle volte lascia andare a soliloqui e tenta di ridare un’immagine di sé come di un “superuomo”, una maschera che poi cade nel momento in cui riesce a redimersi tanto da passare “nell’altra stanza” e decidere di aiutare (divenendone redentore egli stesso) Medea. Quest’ultima invece si porta dietro il peso del tradimento subìto, la caduta a pezzi di un amore che l’ha portata alla follia, tanto da uccidere i propri figli per far soffrire Giasone; una follia interpretata dalla giovane attrice con estrema purezza e fortunatamente, a parer mio, senza ricadere nei classici schemi di interpretazione da manuale abusati in teatro. Una Medea che rievoca nel finale, con dettagli precisi e taglienti come lame, l’uccisione dei figli e seppur incalzata da Giasone, con un ritmo sempre crescente dei dialoghi, non riesce e non vuole redimersi, perché l’oltraggio subito e l’amore distrutto sono ancora troppo forti dentro di lei. Ho apprezzato molto, specie in considerazione del fatto che gli attori, come ho letto, non sono dei professionisti questo loro riuscire ad arrivare al pubblico in maniera cosi diretta, con una forza dirompente forse proprio perché non vittime di eccessive costrizioni registiche. Lo spettacolo nel complesso non lo definirei “sciatto e noioso” perché oltre che rendere l’idea di questo non-luogo dove i giorni passano uguali, nel tentativo di “riabilitare” le anime e portarle alla redenzione, l’alternarsi dei toni usati e dei ritmi scenici ma soprattutto l’interpretazione viva e naturale degli attori , secondo me, hanno fatto si che venissero toccate (specie in alcune scene) le corde più intime di un attento spettatore.
    Martina